È sabato mattina presto. Per i corridoi della scuola non c’è quasi nessuno.
I pochi assonnati che incontro mi sorridono e chiedo di aiutarmi ad allestire la nostra lezione improvvisata. Reagiscono con l’entusiasmo che li caratterizza. Sorrido mentre porto nel giardino della mia scuola elementare quelle sedioline su cui ho imparato a leggere, scrivere e contare. Sorrido quando le vedo in mano a questi giganti colorati. E soprattutto sorrido quando ce li vedo seduti sopra con le ginocchia che arrivano al mento.
Ho paura che sia un flop. Che non venga nessuno. E mi sento in colpa per non aver organizzato meglio la cosa. Intanto arrivano mio padre e mia madre. Lui emozionato come se stesse parlando di fronte a dei capi di stato. Lei fiera al suo braccio.
Vado su e giù a chiamarli e quelli che conosco meglio mi rassicurano che stanno chiamando i loro amici. Esco di nuovo in giardino e ne trovo alcuni già seduti e sorridenti. Prima ancora di cominciare sono in dieci ad aspettare. E alla fine siamo tanti. Un successo.
Comincia la lezione. Tema del giorno: libertà e dignità umana.
Mio padre comincia con delle domanda: Cosa significa essere liberi. Qual è il valore della libertà. A cosa si accompagna la libertà. Cosa la caratterizza.
E comincia a distinguere le tre categorie fondamentali dei diritti: civili, sociali e politici. Spiega che nessuno può essere perseguitato per le sue idee religiose, politiche e per le sue convinzioni. Spiega il valore fondamentale delle costituzioni nazionali come strumento per garantire questi diritti. E l’introduzione al loro interno di pene per che le viola.
Parliamo della Nazioni Unite e della Carta dei diritti dell’uomo e del cittadino. Tutti annuiscono quando chiedo se conoscono le Nazioni Unite. La voce ferma di mio padre aumenta di tono quando parla della colpa occidentale in merito alla catastrofe africana. È il suo modo di chiedere scusa a questi figli della terra che noi abbiamo violentato e impoverito per arricchire le nostre vite arroganti. Per alimentare la perversione di un mondo ingiusto e sterile di Amore.
E loro annuiscono. Vedo lo stupore di questi ragazzi –gli occhi lucidi- che ascoltano un bianco parlar loro di diritti, rivendicazioni, dignità umana. Un padre che spiega che tutti hanno diritto ad essere amati e loro lo meritano ancora di piu´ per via delle loro storie. Quel padre li ringrazia per essere venuti ad aprire i nostri occhi volutamente miopi. Quel padre li incita adimostrare al „civilizzatissimo“ mondo occidentale -tramite le loro azioni e il loro comportamento- come siano un dono e un prezioso contributo al progesso di ognuno.
I loro occhi sono uno spettacolo di emozione, commozione e dolcezza. E´ la prima volta che scoprono di avere DIRITTO a essere istruiti e curati, a essere trattati con rispetto e avere accesso a una libera informazione. Le catene della tortura non potranno mai privarli della loro anima e della loro dignita´ di esseri umani.
Qualcuno si commuove e si asciuga una lacrima. Ma cio´ che domina e´ lo stupore. E da quello stupore arrivano le parole di Mohammed. Un adolescente del Gambia che supera la vergogna e parla davanti ai suoi fratelli africani. Ci ringrazia per questo incontro e dice che finalmente conoscono la Pace e non hanno paura per la loro vita. Ci racconta come in Libia la vita non valga nulla e di come per la prima volta abbia sentito parlare di diritti. Mohammed conclude dicendo che il loro compito e´migliorarsi in Italia per poi tornare nei paesi di provenienza a insegnare la liberta´ nella loro terra. Per educare ai diritti i fratelli e le sorelle africane.
L´incontro finisce con un applauso e tanti ringraziamenti. Io termino dicendo che la mia personale speranza e´ che il prossimo presidente del Consiglio delle NU sia proprio in mezzo a loro. Dentro di me spero che fra loro ci siano i Mandela, i Luther King, i Ghandi e i Che Guevara del futuro. Dei combattenti per l´Amore e la Libertà.
di MariaGrazia Patanìa
grazie grazie grazie per questo regalo, leggere questo articolo mi ha fatto sentire bene.
felice di ospitare la parola di Marigrazia. felice di dar voce, attraverso lei, ai nostri fratelli immigrati