Ma chi esercita il diritto di essere deboli in mezzo a questo mormorio bretoniano, in mezzo a questa arroganza e che cos’è questa debolezza se non la cifra delle nostre mancanze. È qui, a mio avviso, l’interrogativo che si apre leggendo questa agile raccolta di Finucci per Eretica edizioni, qui in questo tentativo di riconciliazione non tanto con la parola, ma con l’onda emotiva che la costituisce. Con l’uso di una versificazione pulita e mai sopra le righe Finucci dipana i ricordi in una memoria che ha un che di primitivo e di gestuale, una memoria che è cammino iniziatico molto più che odore evocativo. Inevitabilmente la silloge paga la disorganicità delle prime prove, ma è bilanciata dalle intuizioni e dalla bellezza di molti versi incisivi. Credo che leggendo il lavoro di Luigi senza preoccuparsi della titolazione dei componimenti si possa arrivare ad apprezzare la sua scrittura in un modo che si apre a un discorso che diventa quasi narrazione, testimonianza di un attraversamento compiuto con occhi attenti.
di Alessandro Assiri
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Alcune poesie presenti nella silloge:
AL MARE HO VISTO I GABBIANI
Quando il bianco era nel cielo
andavo al mare di mattino.
Tra due barche e una conchiglia
i piedi calpestavano
l’arena del gioco
dove il confine tra
la spiaggia e le battaglie
era il tempo.
A maggio il mare
era basso di statura,
i castelli erano lontani
[dalla riva,
così nel silenzio
lo stridio tornava dalla burrasca
ma non ricordo quel mattino.
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