“In nome di Eros”, la sessualità poetica di Cristina Tafuri


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Avvampami,
esplorami, perforami.
Annusami,
osservami, esplodimi.
Avvolgimi,
accarezzami, amami finalmente.
Amami con rabbia,
annaspa tra i pertugi del mio corpo,
come un animale fiuta il mio sesso e
poi placando l’onda
che maestosa si alzò
trova porto sicuro nella mia insenatura.

“In nome di Eros”, come tutte le pubblicazioni de l’Arca e l’Arco edizioni, non è solamente una raccolta di liriche, ma un’opera d’arte completa.

Le ventitre (che suona quasi come ventre) poesie di Cristina Tafuri sono infatti armonizzate da sette chine di Antonio Petti, da una copertina di Enzo Lauria, da una dedica di Sonia Tafuri e da una post-fazione di Vinz Notaro.

Già dalla prima lirica ci rendiamo conto della potenza “atomica” e sessuale dei versi che travolgono e incuriosiscono il lettore. Si tratta di un Eros pieno di odori, sapori e sensazioni che si sviluppano oltre il semplice piano fisico e sfiorano sfere mentali e oserei dire spirituali.
C’è una tendenza a trascendere la propria sessualità e a penetrare in quella dell’amante, infatti, Vinz Notaro nella sua post-fazione rende ben presente la perplessità del lettore che più volte torna a rileggere il nome dell’autrice per capirne l’identità: “Siamo dinanzi a un ardito apparentemente eterogeneo di prime persone differenti: se non fosse per il fatto che abbiamo già appreso che l’autore è una donna, probabilmente ci domanderemmo se di autore ce ne sia addirittura più di uno”.

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Le chine di Antonio Petti si estendono e si imprimono nel lettore, creando un sottile filo nero che lega tra di loro le poesie in modo stretto, incatenando il lettore fra le linee dei versi e le macchie della china.
Un percorso erotico che sfiora l’orgasmo ed afferra saldamente il piacere. Un viatico già tracciato, comunque, dalla splendida copertina di Enzo Lauria, che nella semplicità ha trovato la chiave di apertura e di chiusura del testo.

La poesia è “Avvampami”, pag. 20.

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Confini: Il dove della poesia italiana – Margherita Rimi


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Poesie tratte da “Era farsi – autoantologia 1974-2011”

Paginatura

I tempi dei bambini
mi fanno zoppicare
mi segnano col dito

E quando toccano le cose
l’aria comincia a respiare a disegnare
la sua punteggiatura

Di quello scorrere

Di quelle corse che partivano con noi
di quei tre cerchi di rotaie e cielo
Di quello scorrere sugli occhi il passatempo
al sole che riempiva scarpe e vigne.

E cosa su cosa si sarà fermato
nel bicchiere di vino di mio padre
Notti da passare a notti
e figli da sprecare di premura.

Drammatica del foglio

Si fanno passi perchè si rassomiglia
perchè si torna in mente all’illusione
al sogno che ha tenuto labbra e veglia

A ventagli si aggiungono le mani
le ossa le vertigini dell’anno

a muovere questo giuramento
alla bellezza.

*

E’ sbandamento il tempo.

Il corpo è a dismisura
ovulo bianco
gestazione vuota.

Le voci dei bambini

per Agota Kristof

I

La madre pettinava la bambina
lavava la sua faccia
– Mi fai male nella testa –

E lei chiudeva gli occhi
Nascondeva le bambole
prima di addormentarsi

E a chi nascondeva gli occhi
era un segreto
bianco sul foglio bianco.

II

Vado piano per la strada

Gli aquiloni lo chiamavano
per nome

potevo nascere due volte.

– Papà dove mi porti? –

III

Il bambino cattivo

La storia nascosta
ricompare
patto di gomma e di matita

Neanche mia madre se ne accorge

A disegnare quelli che sono veri
ti voglio dire questo “gioco”

Qui ho il vetro nella gola

A disegnare quelli che sono veri:
a disegnare per ultimo mio padre.

IV

Hanno detto che era una bugia
o forse che era un sogno

“Io. Sono. Il bambino cattivo.”

“Non devo parlare”
“Non si tradiscono i segreti”.

Misure

Colpevole di me
mi giro intorno
mi prendo per la taglia e per il collo

Faccio di mani e non fingo intese
orecchio che sibila, ecchimosi di prova.

Non posso nulla. L’altro non somiglia
Vuole risposte e in più misure
al corpo che voleva.

Il figlio delle “donne”
Il figlio cambiato

Io sono il figlio dalla nascita rubata
sono il codice mancato di mia madre
La lettera distonica del soma

Acqua nello specchio
anomalia del rifiuto.

Talé-talé

Talìa talìa
è l’ùmmira ca passa
e occhiu nunn’arridedi

Me matri facìa tanti pinzera
cummigliava la notti e lu spavuntu

E ora
abbissa stu mmurmuriarisi
di corpu
di fogli
a li spartenzi.

Guarda guarda
Guarda guarda / è l’ombra che passa / e occhio non si ferma // Mia madre faceva tanti pensieri / copriva la notte e lo spavento // Ed ora / indovina questo lamentarsi / di corpo / di foglie / ai distacchi.

Simmetrie degli spazi vuoti – Mariasole Ariot


L’al di là dei corpi è un libro che non ho mai letto, le nostre tracce si lasciano afferrare, che viene dopo
avanza e non di testa, chi si ritrae nudo
perde colore dagli occhi

Simmetrie degli spazi vuoti - Mariasole Ariot

[Queste sono parole che non dovrebbero uscire, le mie come le tue, cara Mariasole. Formandosi vorticose a mulinello, dovrebbero sparire nel centro nero profondo del corpo, in quel baricentro che, è fin troppo chiaro, per l’essere umano artificializzato non esiste più. Queste parole non trovano l’esatto spazio esterno, il corrispondente, l’incastro altro dove esistere e così resistere. Scivolano, di qua e di là, tra le pareti, tra i confini, sono perfettamente liquide. Scivolano e noi con esse. E non solo. Incrinano esse stesse lo spazio, lo deformano, se poi è vero che il nostro spazio ha una forma. Queste parole hanno, incredibilmente, una forza dinamica e insieme statica. Sfidano, con passione dolorifica, le nuove leggi globali e le vecchie, quelle locali. Diventano, o già sono, glocali: località dell’io più globalità del voi. Immersione e slancio. Dentro e fuori che si trasformano in simmetria: Simmetrie degli spazi vuoti (Mariasole Ariot, Arcipelago Edizioni, 2012).]

Le simmetrie che c’eravamo dati sfuggono al reale, il suono ci sovrasta, strisciamo a terra come serpi e ci inganniamo: le piccole variazioni sono mutamenti radicali.
Una luce
l’odore del terriccio
il petrolio che hai gettato
le orme che lasciamo per pudore permettono una traccia.

Dove l’esterno è tormenta, noi rientriamo.

[Non più un sistema che si auto organizza dentro l’ambiente, che crea i limiti del suo agire, che si auto produce. Ma un sistema che si liquefa dentro/fuori l’ambiente. I limiti si spostano all’estremo, oltre la percezione umana. Non c’è più produzione o distruzione, c’è solo un esistere per quello che si è. Sistema e ambiente, dentro e fuori, esistono al contempo. La frontiera è superata. Permane una solidarietà salvifica. Ma solo per pochi attimi. Non più spazio, ma posto, riparo, per la vita. E tutta la vita. Queste parole conducono al passaggio, arrendevoli più che coraggiose. Perché non può che essere così. Lì giù, quando toccheremo il fondo. Ci scioglieremo, sembra che dicano. Si liquiderà tutto, porteremo con noi anche le pareti. Non c’è speranza. Non più dentro. Non più fuori. Persa ogni simmetria. Sarà anomia. Sarà caos. Non un ritorno a casa. Infesteremo con la nostra vita tutto l’essere possibile. Né dentro né fuori, saremo tutto l’essere possibile. Per un attimo appena. Poi torniamo qui. Tornano i muri, tornano le sbarre. Torni in te. Torna il limite. Ancora immerso nel sistema. Torna l’oltre che agogniamo. In sé, non c’è speranza alcuna, ma dentro queste parole sembra di carpire che c’è. Forse.]

Perché qui la vita è al suo grado zero: pura vita che si frantuma senza il peso dell’altro come macigno ma per decomposizione interna. La vergogna è perduta per sempre, non c’è mai stata, è un gatto che piscia sul letto, una donna senza denti che getta la dentiera sul piatto, un urlo senza oggetto aggrappato ad un carrellino feticcio, i giornali di tre giorni prima, la porta che si apre a tratti da un carrello di alluminio come una visione straziante, e tutto segna esattamente questo: non la perdita di dignità – semmai il suo superamento – ma la perdita del rossore, della vergogna.
G. mi chiede di giocare a calcetto, e io non so giocarci, ma sto vincendo. A metà partita mi chiede di farci fuori a vicenda: sbatto la tua testa al muro, e tu la mia, contemporaneamente, e così ci salviamo.

Perché l’inferno è sempreverde, ciò che può cambiare non cambia, la muta è al di là delle sbarre, i rampicanti siamo noi che finalmente decidiamo di uscire.

Mariasole Ariot è nata nel 1981. Nel 2012, ha pubblicato su «fiabesca.blogspot» il racconto La bella e la bestia. Altri testi si trovano su «Nazione Indiana», «Il primo amore», «Metromorfosi Infocritica». Collabora alla rivista «Lo squaderno» e al blog letterario «Poetarum silva». Simmetrie degli spazi vuoti è la sua prima raccolta.

[Chiappanuvoli]

Luciano Nota: alcuni testi da “Tra cielo e volto” – Edizioni del Leone


NOTA copertina seconda

NEL CIELO

Ho più nidi di te
un platano in meno.
Ma tu che vivi sui picchi
sul miele
lasciati cantare
la camera informe.
Ho amici tra i cirri
uccelli
dalle larghe vedute.
Proprio oggi
uno di loro
m’ha detto
che nel cielo
è più facile perdersi.

VITA

La tengo immortale
poco distante
dalla tomba di mare
che potrebbe inghiottirla.
E’ una sacca essenziale.
Mi chiama per nome.
Mi porta con sé
sui prosceni del mondo.
Da attenta signora
mi offre con tatto
arnesi e stivali.
Sa bene che il tacco
è uno squillo ad incastro.
Non sa che il ventaglio
è una scatola chiusa.

ORA

Dobbiamo sfare ora
gli schermi allo specchio
vederci alla maniera
di due probi barboni.
Abbiamo intriso gli ormoni
in lavabi assai lustri
troppe volte soffocati
da stridi in giuntura.
E’ ora che il tuo riso
si mescoli al mio
ti dia il mio solco
carminio di fuoco.
Puoi certo annoverarmi
tra i folli ordinati.
Posso io seguitare
a pensarti
a cercarti
ad amarti?

MARE

Prendi il mare.
Ma se proprio non puoi
prendi il fiore più vicino
quello che nel giardino non si stanca
di urlare amore.
Nello stesso luogo
prendi l’ape
ma se essa ti sfugge
cerca l’insetto tra le mura di casa
nel posticino più anelante
che porta al sangue.
Quando questo sarà fatto
e il pezzo d’occhio
sparso sullo strato
dal girone degli ingorghi
passerà ai ponti
allora vedrai
sarai tu il mare.

LASCIATEMI SOLO

Lasciatemi, lasciatemi solo.
Cerco nel mio regno
un cunicolo di cielo.

ioio

Luciano Nota è nato ad Accettura in provincia di Matera. E’ laureato in Pedagogia ad indirizzo psicologico e in Lettere Moderne. Vive e lavora a Pordenone svolgendo l’attività di Educatore. Ha pubblicato: “Intestatario di assenze” (Campanotto 2008), “Sopra la terra nera” (Campanotto 2010), “Tra cielo e volto”(Edizioni del Leone 2012, prefazione di Paolo Ruffilli, postfazione di Giovanni Caserta). Sue prime poesie sono state pubblicate su varie riviste letterarie e in diverse antologie: “Solo buchi in un barattolo” (Ibiskos- Ulivieri 2011, a cura di Aldo Forbice), “Poesie del nuovo millennio” (Aletti 2011), “Arbor poetica” (LietoColle 2011), “Dedicato a…Poesie per ricordare” (Aletti 2011), “Parole in fuga” (Aletti 2011), “Tra un fiore colto e l’altro donato” (Aletti 2012), “Agenda 2012” (Ibiskos-Ulivieri), “Verba Agrestia” (LietoColle 2012)., “Le strade della poesia ” (Delta 3 Edizioni, 2012) “Poesia contemporanea” (Kairòs Edizioni, 2012, a cura di Ninnj Di Stefano Busà e Antonio Spagnuolo). Nella trasmissione di Rai RadioUno Zapping a cura di Aldo Forbice sono state ospitate molte sue liriche. E’ presente sul blog di Poesia Rainews24 a cura di Luigia Sorrentino, sul blog di Nazario Pardini “Alla volta di Leucade”,il blog “Poetrydream”di Antonio Spagnuolo, il blog “Moltinpoesia”, “LucaniArt Magazine”, 2 liriche sul sito di RaiRadioTre. Una sua lirica è stata ospitata nella trasmissione “L’uomo della notte” sezione “Poetando” condotta da Maurizio Costanzo.

Livia Signorini


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Livia Signorini vive e lavora tra Roma e Milano. Collagista di livello, specialità a cui si dedica da molti anni, ha esposto in diverse gallerie nazionali e internazionali.  Nel 2012  ha illustrato per Tara books la ristampa del libro di Charles Dickens “Pictures from Italy”. Questo importante lavoro artistico le ha dato modo di esercitare al meglio la sua capacità di “narratrice per immagini”, qualità che la contraddistingue, così come il paziente e certosino amore di ricerca per immagini insolite e antiche. Ho acciuffato per un soffio Livia Signorini, in procinto di partire per Parigi; lei, scusandosi per la brevità delle risposte perché molto di fretta, ha comunque accettato gentilmente di rispondere alle domande della mia intervista. Le immagini relative al testo di Dickens sono rigorosamente  strette nel copyright che appartiene a Tara Books. Al fondo dell’articolo ho però indicato il link di Amazon dove è possibile acquistarlo o  concedersi una Preview del libro e di alcune bellissime illustrazioni. A seguire anche il link al sito personale di Livia e della casa editrice Tara Books. Enjoy.

Copertina di Pictures from Italy - Tara Books 2012

Copertina di Pictures from Italy – Tara Books 2012

Salve Lidia, grazie di essere qui. Come è avvenuto il suo incontro con il Collage come forma d’Arte e cosa rappresenta per lei questa scelta?

È un incontro dell’infanzia: mia nonna ne faceva di bellissimi, decorativi, su temi cromatici. Poi ho cominciato a interessarmene e ad apprezzare quelli di grandi artisti, molto diversi tra loro, come Switters o Ray Johnson. E’ un’arte molto onirica; come in sogno si tratta di associare forme o soggetti all’apparenza diversi tra loro ma in realtà uniti da un legame sottile.

Lei ha realizzato le illustrazioni della riedizione del libro di Charles Dickens  “Pictures from Italy”curata da Tara Books, un lavoro molto ampio, composto da undici tavole a colori e bianco/nero in cui ci racconta con i suoi collages le impressioni Dickensiane del viaggio che compì nel Bel Paese nel 1841, in giovanissima età. Vuole parlarcene?

Nel leggere il viaggio di Dickens, quando mi è stato proposto, ho avuto la sensazione di una visione molto a volo d’uccello, anche se particolareggiata, dell’Italia. Ho quindi cominciato ad immaginare delle carte geografiche, magari antiche ma non troppo, su cui svolgere le illustrazioni. Per il resto ho seguito le impressioni più forti ricevute da ogni descrizione di città: l’uccellino del Colosseo, le montagne oltre il Duomo, Venezia notturna, il Vesuvio innevato. Ho fatto un lungo lavoro di ricerca sulle immagini da collagiare:  sono tutte rare e antiche, pescate in diversi mercati o da antiquari di libri, e poi adattate attraverso un lungo lavoro di fotocopiatura e photoshop.

Storia 1, 2009, collage, cm 300 ca.

Storia 1, 2009, collage, cm 300 ca.

Cosa ha significato per lei illustrare un autore così noto e amato in tutto il mondo e quanto ha influito sulla creazione del suo lavoro in termini di sensibilità artistica e affinità intellettuale?

E’ stata una grandissima avventura e sfida, e un onore, non c’è altro da dire.

Ho avuto modo di vedere sul suo sito i suoi collages di grandi dimensioni; alcuni superano anche i quattro metri. Perché  la scelta di una così grande dimensione e quale messaggio “narrativo” intende comunicare tramite essi?

I grandi collage raccontano delle complicate storie oniriche e hanno quindi bisogno di un lungo percorso. Una di queste storie è stata anche poi scritta – a collage finito – quindi potrei dire “interpretata”, dallo scrittore Giovanni Nucci.

Film 1, 2008, collage, cm 300 ca.

Film 1, 2008, collage, cm 300 ca.

Quale è la nota di unicità che la tecnica del Collage è in grado di comunicare rapportata ad altre forme artistiche?

A me interessa la profondità che si riesce ad ottenere e mi diverte sempre combinare associare mischiare immagini diverse, stampe con vecchie foto, cartoline e miei disegni. Ottenere una sorta di piatta tridimensionalità che la pittura non è in grado di restituire.

Federica Galetto

§

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Livia Signorini

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Immagini di Livia Signorini e Tara Books ©

Presentazione di “Walter Ego”, un corto di Alessio Perisano, a Portici


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La serata di presentazione del nuovo corto di Alessio Perisano, intitolato Walter Ego, ha avuto luogo nel cuore di Portici in uno stupendo locale con entrata gratuita. Nel pubblico c’erano anche l’attrice Nunzia Schiano e l’attore Niko Mucci.

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Dopo una veloce presentazione del regista parte il corto. Come è intuibile dal Trailer, il protagonista che non è molto attraente esteticamente, per piacere alla donna dei suoi sogni si traveste. Dopo un discorso con un suo amico decide di cambiare tecnica per sedurla con la sua vera personalità.
Il corto risulta davvero simpatico e molto accattivante, ed è difficile trattenere più di un sorriso. L’intero film, dà continui spunti di riflessione allo spettatore attento: dalla comprensione di come le piccole cose possono in alcuni casi diventare grandi e soprattutto di come troppe volte ci interessiamo ad apparire e ci dimentichiamo di essere.
È sempre piacevole pensare come questi ottimi prodotti vengano oggi realizzati da giovani che pensano più a soddisfare e ad assecondare le proprie passioni, che a trarre un continuo profitto economico da qualsiasi produzione loro facciano (fra l’altro, molte delle persone che hanno collaborato con questo corto hanno anche lavorato al film VITRIOL di Francesco De Falco).

Il regista ha annunciato l’intenzione nel produrre prossimamente un corto sul noto romanzo di Herman Melville, Moby Dick.

Di seguito inseriamo il cortometraggio che dopo la serata è stato caricato su YouTube per consentire la visione anche a chi non ha potuto direttamente partecipare alla prima.

Dopo la proiezione del film ed un’altrettanto simpatica discussione con gli attori si è dato spazio al gruppo musicale “Resistance” che si è esibito con cover che spaziavano dai Muse agli U2. Intanto al buffet venivano offerte alcune piccole consumazioni offerte dal regista.
C’è stata molta partecipazione all’evento, e tra gli spettatori c’erano molti giovani (e personalmente ho anche avuto modo di chiacchierare con persone deliziose).

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Il regista ci ha rilasciato l’intervista che segue.

Benvenuto su Words Social Forum, prima di tutto quanto è importante ottenere un buon prodotto e diffonderlo gratuitamente?

Innanzi tutto, salve e un grazie a voi tutti. Ti risponderò parlando proprio di “te”. Infatti tu fai parte di quella grande opportunità che noi filmmaker adoperiamo per poter diffondere i nostri lavori. Oggi internet rappresenta la vera arma vincente per tutti noi.
La mia passione, non è solo fare cinema, ma utilizzare il cinema per emozionare il pubblico con i miei racconti: racconti che vengono raccontati da altre persone, attori che vivono quelle storie come se fossero le proprie. E solo il pubblico ha il diritto di esprimere e dire se quel racconto, è un buon prodotto. In effetti, noi parliamo di persone, ed è alle persone che è rivolto il tutto. Con questo affermo la bravura degli attori e la loro professionalità. Hanno fatto davvero un ottimo lavoro.

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Qual è stata la parte più difficile nella produzione di questo cortometraggio?

 In base alla mia esperienza posso francamente dirti che, il campo di battaglia è fondamentale per la vittoria della guerra. Molte cose si decidono in pre-produzione. Devi sapere, che il corto è completamente autoprodotto. Risparmiare su tutto per racimolare la quantità giusta di denaro che ti serve per realizzare il tuo progetto, è tanto sacrificante quanto gratificante. Decise le pedine sulla scacchiera, scelti i giusti collaboratori (tra cui un grande sceneggiatore nonché filmmaker come Giovanni Mazzitelli), non ti resta altro che girare. Credo quindi, che la parte più difficile sia stata la pre-produzione. Con questo non ti nascondo i numerosi imprevisti che mi sono capitati, tipo: subire la rottura della cinepresa all’alba delle riprese, girare con un braccio ingessato, e … mi fermo qui.

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Cos’è significata per te l’esperienza di VITRIOL?

 Per me VITRIOL è sinonimo di maturità e di conoscenza dei mezzi, oltre che delle proprie possibilità. Per me VITRIOL è scoprire se stessi, e capire ancora una volta che la mia linfa vitale è il cinema.
VITRIOL è stato un lavoro del mio carissimo collega (e prima di tutto amico) Francesco Afro De Falco; mi ha permesso di capire che quando ci sono delle idee veramente valide – e si è determinati a volere una cosa – la si ottiene … ma come dicevo prima il gruppo è importante, e su VITRIOL c’era un grande gruppo di professionisti del settore che ha sacrificato tutto per il compimento del lavoro. Molti di loro hanno accettato di lavorare su WALTER EGO proprio perché si fidavano di me. Non dimentichiamo poi il grande e unico protagonista … il produttore del film Salvatore Mignano: è grazie a lui se il film si è potuto concretizzare.

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Sei soddisfatto della presentazione?

Si, sono molto soddisfatto e dalla reazione del pubblico, credo che sia piaciuto. Volevo cogliere l’occasione per ringraziare ancora una volta, tutti coloro che hanno lavorato. Posso?

Cast Artistico
GIUSEPPE CERRONE
VALERIA LUCHETTI
FRANCESCO PROCOPIO
GIACOMO MANNA

Cast Tecnico
Sceneggiatura: GIOVANNI MAZZITELLI
Assistente alla regia: MARIO VEZZA
Fotografia: LUCA CESTARI
Assistente fotografia/Macchinista: ALESSIO CELENTANO
Trucco e costume: MARY SAMELE
Scenografia: FLAVIANO BARBARISI — ANNA SENO
Assistente trucco: SVEVA GERMANA VIESTI
Presa diretta/mix and Sound design: STEFANO FORMATO
Musiche: ADRIANO APONTE
Disegni e grafica: LUCA PERISANO
Assistente disegni e grafica: UMBERTO COPPOLA
Sottotitoli: ORNELLA DE CAPRIO

Ringraziamento speciale va anche a mio fratello Andrea e alla sua collaborazione per gli effetti visivi sul corto, anche lui nell’ormai famoso gruppo di VITRIOL nel settore però degli effetti visivi.

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Hai idee per il futuro?

Come sai mi è stato fatto un regalo. L’artista Sara Petrella ha dipinto per me una straordinaria immagine che ritrae il capitano ACHAB E LA MOBY DICK, come augurio del mio prossimo lavoro.
Spero di aver soddisfatto le tue domande e ricomincio subito a lavorare. Ringrazio te e il tuo staff per questa occasione e ti porgo i miei saluti.

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Tra gli attori siamo riusciti ad intervistare Giacomo Manna e Valeria Luchetti riguardo ciò che per loro ha significato partecipare a questo corto.

Giacomo: La partecipazione a questo corto ha significato principalmente credere nelle potenzialità di Alessio. Se un giorno sarà fortunato potrò dire “quando girò il suo primo film c’ero anche io”.
Per la mia prima esperienza da “attore”, ti dirò che mi sono molto divertito e ho capito che fin quando c’é un gruppo di lavoro unito e leale, ci sarà sempre un ottimo risultato. Spero che ci saranno altre occasioni, anche in ruoli diversi, per farvi divertire ancora.

Valeria:  Trovo assolutamente indispensabile che giovani del territorio con la passione per il cinema si uniscano per portare avanti progetti anche a basso costo; tutti impariamo qualcosa e l’importante non è realizzare il capolavoro ma lavorare e crescere insieme. Alessio e Giovanni sono stati molto bravi a tenere insieme il gruppo, a comunicarci le loro immagini, le loro idee e a credere tanto nel loro progetto. Io sono stata molto contenta di parteciparvi e ho imparato molto dai miei errori e dal lavoro degli altri. Lo rifarei!

Gruppo Facebook: https://www.facebook.com/groups/APProduction/
Canale YouTube di Alessio Perisano: http://www.youtube.com/user/Alexander055

Exit – Alicia Giménez-Bartlett (Sellerio Editore 2012) – di CorpiFreddi Itinerari Noir


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Stupefacente è il primo aggettivo che mi viene in mente. Come ci immaginiamo la nostra morte? Vorremmo pianificarla, organizzarla, recitarla? Ci si può uccidere senza una apparente buona ragione? E decidere di morire deve per forza averla una buona ragione? E’ stato il romanzo di esordio della Bartlett, pubblicato solo adesso in Italia e per quanto, di solito, insospettiscano uscite tardive di opere prime di autori all’apice del successo, EXIT non delude. E’ una storia di paradossi, un romanzo dai toni vagamente surreali, che porta la mente ad ondeggiare, come la risacca sulla battigia, tra il tragico e la parodia.

EXIT è il nome, evocativo, di una residenza di classe, di una clinica per privilegiati, che si permettono il lusso di scegliere, quando e come congedarsi dalla vita. Sono assistiti da due medici, fini esteti e da una spigolosa infermiera che ha, fra le sue doti, capacità culinarie sopraffine. E si, perché ad EXIT si passano giornate allegre, fra pranzi, balli, banchetti, cibi raffinati e litri di champagne, discussioni e piacevoli chiacchierate. E’ un posto accogliente, elegante, circondato da un parco lussureggiante, dove si paga perché la vita sia gioiosa, fino a quando ciascuno non decida modi e tempi per andarsene. Il contratto, però, è a termine, scade allo scadere della stagione: chi non si suicida deve salutare e lasciare spazio agli ospiti successivi. Non ci sarà un secondo giro, non ci sarà una seconda possibilità. E la morte arriva, a interrompere per un momento la gioia artefatta della vita di comunità. E’ accompagnata da cerimonie bizzarre, che richiedono coreografie dettagliate. In un mondo che ha perso il senso del vivere e forse del morire, le vecchie liturgie non consolano più, se ne cercano altre, probabilmente vacue, ma su misura, come se fossero l’ultimo vestito da indossare per l’estrema rappresentazione di una vita che non si sa più vivere, ma solo recitare e rivedere nello sguardo degli altri, non amici, non parenti, neppure nemici, bensì pubblico.

Potrebbe sembrare un romanzo sull’eutanasia, in realtà è molto altro, ad EXIT non vanno i malati, anzi, per essere ammessi, occorre certificare di non essere affetti da patologie fisiche né tantomeno essere depressi, serve solo la volontà di farla finita. Badate bene, la volontà, non una presunta, ragionevole, socialmente accettabile, buona ragione per farla finita.

La Bartlett ha l’animo dell’investigatore e questa volta indaga, senza ipocrisie e con i tratti ironici che contraddistinguono il suo scrivere, nell’anima di una borghesia e di una società annoiata, alla quale sono venuti a mancare gli strumenti tradizionali e gli anticorpi per affrontare alla vita. Fra situazioni grottesche e colpi di scena, la tensione resta alta ed è facile scivolare nel mondo surreale di EXIT, sentirsi parte della strana compagine li radunata per morire, ma che ne frattempo vive, ama, odia, soffre e finisce, in poco tempo per diventare intima, un gruppo di amici, pronti a vivere e a confondersi nella partita del fato, del sentimento e dell’estrema decisione.

Non è un romanzo sulla buona morte, ma sulla cattiva vita, sulla mancanza di senso, o dell’incapacità di trovarlo, in noi e in quelli che ci stanno accanto, compagni scelti od occasionali di viaggio. Non c’è consolazione, non c’è disperazione, c’è una visione laica del vivere e del morire, che si apre con sguardo estetico ed estatico verso la bellezza della vita. Il senso del tragico scolorisce nell’ironia della prosa, nel fraseggio teatrale del testo, nello spazio chiuso della villa e nell’arco temporale di un’estate.

E’ un testo attuale, capace di molti registri e di strappare qualche risata, sicuramente di accompagnare verso riflessioni che prima o poi tutti incontriamo sul nostro cammino. E’ anche una sorta di manifesto del pensiero dell’autrice, si trovano già tutti i temi della produzione successiva il femminismo, il senso del tragico della vita e il tentativo di affrontarla sorridendo, senza prendersi troppo sul serio, mostrando quanto la vita, con i suoi paradossi, possa essere comica, per coloro che abbiano voglia e il coraggio di ridere.

articolo di Francesca Fossa – Corpifreddi Itinerari Noir

ULYANA TURCHENKO: il segno ritrovato


turchenko4Ulyana Turchenko, classe 1980, è una giovane artista      ucraina. Illustratrice, graphic designer, ci racconta il mondo attraverso il segno nero e sfumato dei suoi disegni un po’ fantasy, un po’ escheriani nel tratto preciso e senza sbavature degli scorci urbani. Le sue litografie ci portano in un universo grottesco popolato da bambini, animali, paesaggi tratteggiati con un segno consapevole e maturo.  Le sue ambientazioni, i suoi personaggi, immersi in un’atmosfera misteriosa e dai toni dark, ci rimandano al popolo di troll, gnomi e folletti di Brian Freud e Allan Lee, sebbene con tocchi personalissimi e di distinzione grafica che rendono il lavoro di Ulyana unico. Le atmosfere sono spesso cupe, pensose, surreali e per certi versi apparentemente distanti in questo dal rivolgersi ad un occhio infantile, ma le sue creature mostruose ideate per rappresentare simbolicamente un mondo adulto contaminato, ma sempre dipendente dalla Natura, raggiungono magicamente senza vie traverse l’immaginario dei bambini anche attraverso la rappresentazione di oggetti d’uso comune. Il mondo fantastico si integra nel quotidiano dal quale pare dipendere, le forme anomale diventano verità da osservare con occhi diversi e nuovi. I tocchi di rosso dei fiori ne sono un simbolo potente. Non possiamo esistere al di fuori di un contesto naturale, pare dire Ulyana, non possiamo ignorare ciò che si cela nelle nostre profondità. Forse, il poco uso del colore nei suoi lavori  mira ad evidenziare la nostra fragile condizione di essere umani, riscattata quando all’improvviso comprendiamo che riconoscere la Terra, la Natura, è il nostro unico mezzo di salvezza. L’immaginazione non si ferma al sogno o ad una forma esteticamente perfetta, ed è proprio nel tratto spesso duro e intricato che si libera pienamente.

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FG. Benvenuta su WSF, Ulyana. Molti tuoi lavori mi ricordano in qualche modo le illustrazioni di fiabe e storie per bambini anche se la tua matita è spesso affilata e non votata ad una bellezza classica. Da dove trai la tua ispirazione?

UT.  L’ispirazione è intorno a me. E’ ciò che sento su ciò che accade, cosa ho visto, cosa ho letto, chi ho incontrato. Ho bisogno delle mie matite per “mostrare” la mia opinione su tutto questo. Le immagini e le figure nascono da sole; ho solo bisogno di ridisegnarle portandole dalla mia mente alla carta o sulla superficie di incisione.

1. Welcome on WSF, Ulyana. Many of your works remind me in some way of illustrations for fairy tales and children’s stories also if your pencil is often very sharp and not voted to a classical beauty. Where do you get your inspiration?

My inspiration is around of me. That is feelings on what happened, what I’ve seen, what I’ve read, whom I’ve met. I need my “pencils” to show my own opinion about it all. Images and figures are born by themselves; I just need to redraw it from my mind to paper or on the etching surface.

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FG. Come hai scoperto il tuo talento artistico e quando hai iniziato a disegnare?

UT. Disegnare è la cosa che ho sempre voluto fare da che mi ricordo, sin dalla mia infanzia. Non avevo amici, non passeggiavo e non giocavo.  Devo ringraziare mia madre che capì tutto questo e non cercò di cambiarlo. Ho frequentato la scuola d’Arte dai cinque anni e da allora sono stata appagata da ciò che amo fare. Mia madre aveva alcuni amici artisti che l’ hanno aiutata nel procurarmi diversi libri sul disegno e che ci hanno dato buoni consigli, talvolta buone matite e carta. Tutte queste persone mi hanno aiutata a fare le scelte giuste.

2. How did you discover your artistic talents and when did you start drawing?

Drawing was just one thing that I wanted to do since I can remember my childhood. I didn’t have friends, didn’t walk and play. And I thank to my mother that she understood it and didn’t try to change it. I went to the child art school from 5 years and from that time I just satisfied myself what I like to do. My mother had a few fellow artists and they help her by giving the different books about drawing and they gave us good advises, sometimes good pencils and paper. All these people helped me to make right choose.

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FG. Stampi personalmente le tue litografie. Pensi che questo sia un importante passo del tuo lavoro e perchè?

UT: Si, è molto importante per me lavorare nel modo più perfetto possibile. Solo io so come deve risultare un lavoro e quando stampo le mie litografie aggiungo un ulteriore tocco che aggiusta il processo, ottenendo così una impronta unica. Penso alle sfumature della stampa simultaneamente alla creazione dello schizzo per un nuovo lavoro. Le due cose non possono essere divise per me. Se scelgo la pietra, non posso lasciarla o darla a qualcun altro perchè la finisca perchè la pietra è il mio unico e importante collegamento in questo processo.

3. You print your lithographies on your own. Do you think that’s an important step of your work and why?

Yes, it is very important for me to done work as close to perfect as possible. Just I know how should it look and when I print my lithography I get an additional way to affect the process, get really unique imprints. I think about nuances of printing simultaneously with the creation of the sketch for new work. It can’t be divided as for me. If I choose the stone, I can’t leave him or give somebody to continue because the stone is as my unique and important colleague in this process.

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FG. Qual è il significato intrinseco del tuo lavoro?

UT. Mi piace l’arte grafica perchè ogni lavoro è come una piccola storia da leggere. Penso che disegnare mi aiuti a spiegare alcune cose che non potrei raccontare a parole perchè è difficile o impossibile. Sento che posso tirar fuori concetti dal profondo e renderli disponibili, comprensibili agli altri. Tantissime trivialità appaiono differenti se si cambia il punto di osservazione. Qualche volta è buffo o serio, altre volte strano o eccitante ma è sempre interessante.

4. What’s the inner meaning of your work?

I like graphic art because each work likes a little story that could be read. I think that drawing help me to explain some things that couldn’t be told in words because it is difficult or impossible. I feel that I can get out some things of the depths and make them available, understandable to other. A lot of trivial things will look different if you change the observation point. Sometimes it’s funny or seriously, sometimes it’s strange or excitingly but it’s always interesting.

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FG. Ci sono artisti noti che ti hanno influenzata o ispirata? In che modo?

UT. Se parliamo di ispirazione dovrei menzionare due artisti che formano la prima forte percezione del disegno e dello stile grafico. Gustave Dore e Oleg Dergachov sono stati i primi artisti che mi hanno impressionato quando ero giovanissima. Gustave Dore, con la sua tecnica e il suo disegno dai tratti incisivi. Oleg Dergachov, l’artista di Lviv che vive ora in Canada. Mi piace il suo occhio sarcastico e le sue idee filosofiche che coincidono con la mia visione del mondo al momento. Zdzislaw Beksinski, che ho scoperto molto più tardi. E’ difficile spiegare il perchè ma ora è il mio artista preferito.

5. Are there any well-known artists that you have been influenced or inspired by? In what way?

If we talk about inspiring I should mention two artists that form first strong perception of drawing and graphic style. Gustave Dore and Oleg Dergachov were the first artist whose works impressed me when I was a young girl. Gustave Dore – with his technique and strong drawing. Oleg Dergachov – the artist from Lviv that now lives in Canada. I liked his sarcastic and philosophical ideas and they coincide with my view of the world at that moment. Zdzislaw Beksinski – I discovered about this artist much later. It is difficult to explain why, but now he is my favorite artist.

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FG. Quali sono i tuoi progetti professionali per l’anno che sta per arrivare?

UT. Ho piani che potrebbero andare ben oltre l’anno prossimo. Un secolo fa c’erano molti studi specializzati in litografia nella mia città. Per ragioni diverse sono svaniti tutti. L’ultimo è andato a fuoco circa 15 anni fa. Alcuni anni addietro iniziai a mettere in piedi il mio studio e ora molti sforzi sono diretti ad allargare lo spazio di lavoro siccome vorrei condividerlo con altri artisti per far rivivere questa tecnica nella nostra regione.

6. What are your professional plans for the upcoming year?

I have plans that could go much far than upcoming year. One century ago there were a lot of specialized litho-studios in my city. For different reasons all they vanished. The last one was burned about 15 years ago. A few years ago I started to make my one studio and now a lot of efforts are directed to enlarge the workroom as I’d like to share it with other artists to revive this technic in our region.

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Ulyana Turchenko, il suo sito:

http://artgraphic.at.ua/

Intervista e traduzione di Federica Galetto

Daniel Nevoso&Martina Masserente – Ibsen e l’incontro fra gesti e parole: il corpo nei chiaroscuri di certi sussurri.


Io volevo solo tirare un unico filo; ma sciolto quello, si sfilò ogni cosa. E allora mi sono resa conto che questi punti erano fatti a macchina.[…] e io sto qui a combattere con gli spettri di dentro e di fuori.

H.Ibsen

Il corpo è il potente medium di comunicazione tra l’esterno e sé stessi. È la consapevolezza “dell’esserci”: realtà che può manifestarsi come tale o “altra”, a seconda delle sensazioni scoperte o ritrovate nel profondo dell’esperienza dall’osservatore.
La gioventù si guarda allo specchio e ritrova l’eros in un sorriso complice, in un gesto che accarezza desideri sopiti, inconfessati, uno sguardo che fruga nel buio cercando la solitudine per vivere l’emozione del momento. Momenti che fanno vivere questo corpo che palpita, che attende, che vive, respira.
Dietro a queste immagini si cela un mondo di sensazioni, di sussurri.
L’obbiettivo della macchina fotografica entra nella stanze delle città, registra con il suo fascino magico il fruscio delle tende dalle finestre aperte, il micro rumore che la seta genera a contatto con la pelle.

Il libro nasce dalla passione per il teatro, in particolare per i drammi ibseniani, che l’autrice legge e rielabora con le modelle.

Martina Massarente

Scoperti nel frastuono giornaliero che tamburella ogni giorno facebook, Daniel Nevoso&Martina Massarente, hanno da subito attirato la mia attenzione, per l’insieme che hanno composto e sono molto felice di averli qui su WSF, con un’intervista.

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AT: Come nasce questo progetto?

M.M: Il progetto che porta il titolo della pubblicazione edita da Sagep editori “Sussurri”, nasce da un momento di passaggio del mio percorso artistico e culturale.
Mi sono appassionata al teatro nordico nello specifico ibseniano durante il mio secondo anno di università, quando ho iniziato a seguire il corso di Storia del Teatro presso l’università in cui attualmente sto conseguendo il titolo di laurea magistrale in Storia dell’arte contemporanea, la facoltà di Lettere e Filosofia di Genova.
Ho iniziato a fotografare sette anni fa e in questo tempo ho potuto studiare moltissimo la storia della fotografia, i grandi autori del passato e quelli più attuali che fanno parte della realtà contemporanea.
Da qui è spontaneamente arrivato il momento in cui ho sentito delle esigenze che mi hanno portata ad esprimere qualcosa che alle volte non si riescono a risolvere dentro di se soltanto pensandoci o parlandone con qualcuno. Il mio “sentire” è diventato parte integrante del lavoro condotto con le mie modelle, amiche di una vita che mi hanno aiutata a maturare sia intellettualmente che tecnicamente. Da sola ho imparato ad ascoltare le esigenze che le immagini della mia testa mi chiedevano. L’uso delle luci, le impostazioni di lavoro tecnico le ho scoperte sperimentando e osservando tantissimo libri ed esposizioni fotografiche. Ho cercato di capire tecnicamente come gli effetti e i contrasti potessero essere stati ricercati e resi dal fotografo o dall’artista.
Ho iniziato a riflettere sui testi teatrali e da questi ho estrapolato una modalità di lavoro che mantengo in ogni progetto che affronto. Questo progetto legato a Ibsen nasce quindi da una mia personale esigenza di fare il punto sulla mia situazione attuale e cercare di andare oltre, di non accontentarsi mai e continuare a ricercare la propria strada senza farsi condizionare troppo dagli altri.

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A.T: Scoprirsi? Ritrovarsi?

M.M: Certo il progetto riflette molto di me stessa e delle ragazze che con me hanno collaborato. Mi rendo conto che il lavoro è un inizio e un punto che va superato e approfondito ma è anche stato per me importante far confluire tutte le cose che avevo dentro in questa importante occasione per fare ordine nel mio universo interiore.
Sussurri mi ha dato la possibilità di scoprire cose di me e delle mie modelle Alice e Francesca, amiche e persone fondamentali nella mia vita oltre che nel mio percorso artistico. Tutti i progetti e le cose nuove nascono e si sviluppano a partire da loro che sono una costante fonte di ispirazione per me. E’ certamente stato un momento di nuove scoperte ma anche un modo per ritrovare dentro di noi alcuni aspetti che solitamente, nella vita quotidiana vengono sacrificati, tralasciati, abbandonati per tirare fuori da noi solo le parti che sono come dire “più convenienti”.
Questo lavoro ha dato la possibilità a tutti coloro che lo hanno reso possibile di potersi mettere in gioco con il loro comportamento, la loro identità e carattere senza negare nulla.

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A.T: Ibsen fonte d’ispirazione, nella fotografia come è arrivato?

M.M: Da quest’anno ho avuto il piacere di fondare con Daniel Nevoso, mio collaboratore oltre che autore dell’apparato poetico del libro, un gruppo artistico che abbiamo chiamato Matrëška.
Matrëška è diventata la nuova casa di entrambi, la accudiamo, cerchiamo di fornirle man mano una vera identità che possa
configurarsi ed entrare a far parte a tutti gli effetti del mondo della produzione artistica e teatrale.
Matrëška lavora con una propria modalità che mira prevalentemente a progetti artistici basati su esperienze di tipo autoriale e testuale. A partire da un autore e dai suoi lavori teatrali, letterari, cinematografici ecc. noi cerchiamo di entrare nel suo universo e prelevare gli aspetti che più si rispecchiano nella nostra interiorità, affini alla nostra personalità.
Ecco come ho scelto Ibsen. Inevitabilmente mi trovo a dover parlare di me stessa quando discuto sulle modalità di scelta o della derivazione delle mie idee e ispirazioni lavorative.
Non mi faccio molti problemi a parlare di me, Ibsen mi ha da subito affascinata per i suoi aspetti contemporanei, io sono una persona solare ma nascondo alcuni aspetti più misteriosi e interiormente tormentati, ho uno spirito un po’ decadente sotto alcuni aspetti, mi affascina il suo mondo fatto di salotti, di porte chiuse e socchiuse, di misteri e di insidie, mi piace il fatto che i personaggi si muovano in questi sotterfugi, in pensieri nascosti e i tormenti della psiche.
Mi piace, questo mondo, lo trovo erotico, affascinante come le sue figure femminili, come il volto della morte che spesso si incontra nei suoi testi. Ne sono attratta come una calamita. L’universo dei salotti borghesi mi ha rimandata a un’altra grande passione che ha molto integrato la ricerca legata a queste tematiche, il cinema di Luchino Visconti.
Troppe persone hanno pensieri tormentati, perversioni, lati oscuri che non fanno emergere pur essendo questi i lati che rendono interessante l’individuo, spesso costipato nella sua stereotipizzazione sociale. Il compito dell’arte è quello di saper
tirare fuori questi aspetti, farli emergere per riuscire almeno in parte a partecipavi e a condividerli con proprie esperienze personali.
Questo universo ibseniano così controverso, fatto di menzogne e di grandi spinte identitarie, in particolare da parte dei personaggi femminili, hanno molto condizionato il mio modo di lavorare soprattutto con l’ausilio della fotografia, strumento che mi permette di non fare delle ragazze degli esseri perfetti e fantasmatici, ma di restituirle realmente per quello che sono. Le mie fotografie cercano di mantenere forte attinenza al realismo delle donne e dell’ambiente, modificato solo da forti ombre che tolgono temporalità all’immagine.
Sono “Quella degli scuri” come mi chiama la mia attuale gallerista Bruna Solinas, questo perché le mie immagini sprofondano nel nero. Devo dire che il soprannome mi si addice, pur non essendo assolutamente una dark lady.

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A.T: Parlateci della voce da dare alle parole e al corpo.

M.M: In questo caso mi sento di lasciare la risposta a Daniel che certamente ha affrontato da vicino questo tema, essendo lui ad aver partorito questo straordinario concertato di voci.
Le parti poetiche non sono da intendere in senso meramente didascalico, sono un continuum parallelo che scorre accanto alle immagini, le quali si rapportano al mio modo di intendere il lavoro in relazione a Ibsen.
Attraverso le sue poesie emerge anche il pensiero dell’autore stesso, il suo modo di intendere la persona, la figura femminile, la scrittura poetica/teatrale. Sono versi che nascondono tante confessioni dalle diverse sfumature.
Il contatto con i testi teatrali originali non lo abbiamo mai perso, Daniel in alcuni punti ha usato dei tecnicismi che rimandano a quelli utilizzati da Ibsen per il teatro solo trasposti in poesia.
Credo che lui abbia fatto un lavoro straordinario perché non solo ha studiato Ibsen attentamente, a livello storico e testuale, ma anche perché con estrema empatia è entrato nella mio lavoro per produrre un testo che fosse strada parallela alle immagini e che, proprio per il fatto di non esserne didascalia, abbia potuto diventarne vera integrazione. Le due cose si sono fuse insieme.
Per questo quando abbiamo presentato la mostra a Palazzo Rosso dal 20 aprile al 27 maggio 2012 non abbiamo voluto inserire accanto alle immagini le parti poetiche, ma renderle vive attraverso una installazione sonora che potesse accompagnare mentalmente il visitatore.

A.T: Il corpo come luogo da cui ripartire?

M.M: Certamente il corpo è ciò che per le donne ha un valore molto particolare. Al di là del semplice dato estetico, il corpo è la prima parte di noi a soffrire direttamente dei nostri pensieri.
Il corpo riflette tutto e nasconde molto poco.
Il corpo è il confine tra ciò che siamo e ciò che mostriamo all’esterno, lo vestiamo, lo cambiamo, lo modifichiamo, lo sottoponiamo a riflessioni e a interventi di ogni tipo.
Non starò qui a elencare tutte le cose che possiamo conoscere sull’uso che del corpo è stato fatto nella storia dell’arte o non avrei abbastanza spazio per contenerle tutte.
Certamente il mio non è un lavoro di Body art così come possiamo intenderlo nell’accezione della corrente artistica nata negli anni Sessanta, un fotografo che sento particolarmente vicino come
modalità di approccio alla fotografia è senza dubbio Duane Michals, così come Irina Ionesco, la grande maestra degli scuri…
Mi piace usare il corpo per narrare qualcosa, far parlare i corpi di altri per raccontare le proprie individuali esperienze in modo crudo e del tutto vero mostra un punto di vista diverso sulle problematiche che lo riguardano.
A partire dal mio interesse per Ibsen, non ho scelto le mie modelle casualmente. Io sono rimasta folgorata dalla bellezza di Alice dalla prima volta che l’ho vista tra i banchi di scuola e mi sono detta “questa ragazza deve diventare la mia musa” e così è stato effettivamente.
Alice l’ho scelta anche per altri motivi ben più profondi, la sua personalità camaleontica, in grado di cambiare ad ogni circostanza e situazione, può mostrarsi simbolista o contemporanea, può essere vittoriana o déco, riesce a essere tutto quello che vuole oltre sé stessa.
E’ una persona particolare, dal carattere freddo e impassibile; questo mi ha facilitata, oltre ad avermi affascinata, nella realizzazione della prima parte di Hedda Gabler, uno dei personaggi tra i più complessi dell’universo di Ibsen; Alice inoltre ha saputo sfoderare tutte le sue sfumature senza recitare.
Sia Alice stessa che Francesca, la ragazza che ha vestito i panni di Nora di Casa di Bambola, non sono né attrici né modelle professioniste, sono persone che hanno saputo mettere in gioco loro stesse e il proprio corpo per creare qualcosa, a partire da un testo d’autore, una nuova vita, una nuova discussione su loro stesse.
Si parte dal corpo… ma non solo.

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Alcuni testi di Daniel Nevoso, presenti nel pregevole libercolo:

da Nora – disattenzione nel buio

III

Sono sola.
Nessuno gestisce la mia parte.

Stanotte la luna non è buona.
E’ solo una luna.

Senza nastri e colori.

cosa potrebbe rallegrare la vista in questo momento?

Anche lei stasera
si è tolta il lume
del balocco Meraviglioso.

da Sussurri nella polvere

Seconda voce

Vivere.- – Eseguire, provare, soddisfare, placare – –

Portare a termine la missione
ciò che appare divino.
Ora l’idea mi distrugge,
la fedeltà mi sconfigge.

Ora sotto la sofferenza del corpo, schiacciata
fino in fondo, non capisco l’incombenza
del desiderio dentro di me.
E’ troppo forte,
divina e serena senza illusione,
incapace di prendere il volo.

da Risveglio dell’antico

Anziana

Avevo da ragazza
dolcezza sessuale nel viso
era l’enigma
che del sangue altrui
lasciava ardere i corpi.

La bellezza alla quale appartenevo
sventola ora appesa ad un ramo
accarezzata dal frivolo vento.

Ora non c’è più importanza
resta soltanto
l’antica sfilata di un personaggio
di cui tutti conoscono
le estinte passioni.

Oh la mia bellezza!
La mia bellezza è durata solo trent’anni.

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