Prospettive: Omaggio di parole a Jaya Suberg


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Jaya Suberg è una nata a Copenaghen nel 1956. Dal 1980 vive e lavora a Berlino, una città la cui vitalità e diversità hanno aiutato a trovare ispirazione per le sue creazioni. Jaya ricrea le sue foto digitali attraverso la pittura o disegno stampato o collages, dando così un’espressione più profonda.

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Giovani Prospettive: Omaggio di parole a Cristina Rizzi Guelfi


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Cristina Rizzi Guelfi è una giovane fotografa italiana autodidatta.
Ha partecipato a La Poetica del corpo e Il Corpo Poetico con il Collettivo WSF.
Ed è già presente su WSF con immagini e suoi testi.

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Ha imparato a piovere sulle mie emozioni, sulle abitudini abituate al passato, sui pensieri più miei e più scabri, come

un’impronta d’alfabeto, una missiva mancata, un albero piantato da mio padre, storto dei tempi in perpendicolo sui miei umori e sulla casa, sulle finestre incistate tra un alloro e una prosodia, un figlio –

– insegnano a vivere, i figli, come il buio quando si è bambini e a notte si è
più forte
più ancora
bambini.

Ho messo un bacio tra il tuo mento e la mia assenza, hai morso un urlo constatando la mia voce, una sorta di ritorno e di incertezza con la vocale della mia schiena.

Tu semini alloro, io non dormo : imparo.

Continua che ancora piove. Incede e stenta. E dunque. Piove.

(Alba Gnazi)

***

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Prospettive. Omaggio di parole a Veronika Gilkovà


Veronika Gilková è una fotografa slovacca che ha studi di psicologia.
Ha cominciato a concentrarsi sulla fotografia durante i suoi ultimi anni di studio. Le sue foto sono principalmente ritratti dall’atmosfera da sogno e sono presentati in numerose riviste di arte e stile di vita.

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non chiedermi della superficie
la pelle canta ma tu
non puoi sentire aspetta
la crepa
– porta scavata nel tempo
è l’inatteso profondo

Maria Luisa Giaquinto

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Giovani Prospettive. Omaggio di Parole a Francesca Dafne Vignaga


L’esperienza artistica di Francesca “Dafne” Vignaga è maturata soprattutto nel campo dell’illustrazione per l’infanzia. Ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti a livello internazionale: la selezione alla mostra “Le immagini della fantasia” di Sarmede, il Primo premio al concorso “Il gabbiano Jonathan Livingston” a Torino nel 2002, il Secondo premio ad “Illustrissimi: acqua” di Riccione nel 2005, il terzo premio al concorso Baraccano di Bologna nel 2007 e il terzo premio a “Scarpetta d’oro” nel 2010.
Si dedica saltuariamente all’illustrazione umoristica vincendo nel 2007 uno dei premi al Contest “Umoristi a Marostica” e il premio come miglior disegnatore esordiente alla rassegna “Umorismo e satira” di Dolo (Venezia) sempre nel 2007.
Nel 2011 vince il primo premio al Contest Buffetti e realizza le illustrazioni per il calendario ufficiale Buffetti 2012. Ha al suo attivo pubblicazioni per l’infanzia in Italia (Giunti, Edicolors, Paoline, EDT), U.S.A, Malesia e Taiwan.
Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero e realizza laboratori di pittura e riciclo creativo.
Dal 2010 si dedica anche ad una pittura più “cupa” realizzando piccole mostre indirizzate agli adulti. Queste nuove sperimentazioni le permettono di farsi conoscere ad un pubblico più ampio, realizzando la Cover del romanzo “L’ombra” (ed. Miele) e le illustrazioni di due albi (uno sugli Zombie ed uno sugli Ufo) negli U.S.A. Attualmente sta lavorando ad alcuni progetti personali di albi illustrati e sta sperimentando tecniche di face e body painting.
Sua la copertina del disco d’esordio di Irene Ghiotto, cantautrice vicentina che ha partecipato quest’anno a Sanremo giovani.

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Che abbiamo già ospitato con un’intervista: http://wordsocialforum.com/2015/02/23/intervista-alla-disegnatrice-francesca-dafne-vignaga-che-ci-fa-scoprire-il-suo-paese-delle-meraviglie/

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IL PICCOLO CORVO (Omaggio a Francesca Dafne Vignaga) di Francesca Lavinia Ferrari

In un giorno grigio
dentro un cielo grigio
faceva da puntino nero nero
un corvo.

Da una finestrella
sopra una finestra
guardava il velo opaco sulle cose.
Che noia!

Una tapparella
di listelli verdi
lo fece d’improvviso sobbalzare.
Perbacco!

Silenziosa e attenta
annusava l’aria
una bambina, lì con il suo cane:
Contento.

“Ehi, Capelli Neri
vedi qualche cosa?
Sospetti che verrà la primavera?
Io no!”

Ma una farfalletta
rossa d’energia
accorse a pennellare l’aria grigia
di vita

e il piccolo corvo
nero in mezzo al grigio
sganciando un punto sul noioso inverno
andò.

***

Guarda… un pensierino rosso!
Posso…
prenderlo e portarlo via?
Prima
che diventi nostalgia…
Prima che il vento lo porti lontano
posso tenerlo un istante nella mano?
Posso sentirlo che batte lieve
per un momento minuscolo… breve?
Posso provare a tenerlo sul cuore
prima che il tempo gli rubi il colore?
Che tanto lo so che non devo, non posso
Ma solo un attimo…
Più bello e rosso
del resto che passa e che nulla resta
Un pensierino, felice, nella testa

di Roberta Lipparini

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Un viandante di Luca Ispani

Chiedo elemosina
non denaro
solo sorrisi
dentro la mano.
Passa un viandante
passo pesante
patimenti e sofferenze
viso schiacciato, deforme, inerme.
“Dammi un sorriso”
gli chiedo esanime, corpo al limite
mi riempie d’aurora
l’anima allegra ora gioca
giugulari autunnali e cuore incerottato.

***

Lui taciturno e schivo
coinvolto da cambiali con cappello
sospiro abbottonato di sbieco per papillon
e per palpito di lei che è vuoto scatto inevaso.

di Afasia

***

L’Uomo senza cappello di Rosario Campanile

L’Uomo senza cappello ascoltava tutti i bambini e tutte le donne.
Ne raccoglieva confessioni di peccati altrui, scene imposte da altri, parole che massacravano anima e cuore, levavano speranza e sogni.
Seduto sull’angolo di uno sgabello aveva cura di mettersi in maniera che lo guardassero dall’alto, che piano piano i tremori delle voci potessero mutare in cascate di pianto dirotto, e dopo in urla di disperazione.
Solo così, alla fine dei racconti, arrivava il momento delle farfalle.
A tutti i ricordi dolorosi spuntavano le ali, e iniziavano a volare per la stanza.
Le donne osservavano stupite, i bambini intimoriti. All’inizio. Poi incominciavano a rincorrere le farfalle, e giro in tondo e giro girotondo, e le bocche ricamate di sorrisi e il cristallo delle risate ancora fragili, fino alla c orsa affannata tutti assieme.
Quando erano stanchi, quando si fermavano, e solo allora, L’Uomo metteva il cappello, e con un semplice gesto invitava le farfalle a entrargli in petto.
Poi, sorridendo, chiudeva la giacca, e le portava via.
Un ultimo sguardo indietro, e se ne andava.

***

Non ho labbra di Patrizia Sardisco

Non ho labbra, forse
ha pronunce imprudenti
l’asola nel chiostro
passeggiato dai nomi
delle più bianche cose:
dal plesso del respiro
un offertorio d’ali,
il prologo di un canto.
Un silenzio di palpebre
veglia la dispersione
dai quaderni privati:
un bacio, un’eco
la foglia tra le pagine

***

Che danza, un vivaio nella pancia!
Tamburelli e campanelli, rondinini e pure due tre violini;
clandestinavamo un’orchestra
intenta ai provini, ai solfeggi, ai concertini,
corde nascoste
accordi e non accorti
qualche colpo di tosse per nascondere l’imbarazzo
uno spartito intrallazzo ci portavamo appresso;
ma come tardare l’un l’altro
come attendere il segnale
se le pupille furono aperte
se le farfalle nacquero
se appena mi mostrasti il cuore
si alzarono bianche, gelsomini senza gambo
senza bisogno d’altro, senza direzione,
ci invasero la bocca e, come echi di fondali, di madreperle l’orecchio.

di Daniela Andreis

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Viviamo diversamente,
vacilliamo al contrario come fiori in tempesta.
Ci guardiamo negli occhi senza riuscire a baciare le labbra,
anime perse in un mondo senza ideali.
Tristi, solitari,
vaghiamo tra le nebbie più dense,
ma abbiamo bisogno dell’altro.
Vogliamo curarlo come si curano i mali nocivi, gli schiaffi sul cuore.
Vogliamo tenerlo stretto ma non possiamo abbracciarlo,
cingergli le spalle e accarezzargli le gote.
Siamo distanti da tutti, ma vicini a tutti.
Col nostro ego un po’ forte, un po’ agonizzante.
In attesa di sorridere e veder fiorire il sorriso altrui.

di Giulia Fraioli

***

Riflesso
in controverso
di pensieri pettinati
occhi in incroci di rimando.

di Afasia

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E il mondo sembrò una direzione
da percorrere in silenzio
senza stonare.
Fuori dal coro
per baciarti.

di Romeo Raja

***

Mio tenero amore
di acqua di onda
di riva di sponda
di breve pensiero
di bacio leggero che poi scorre via
mi dici “sei bella”
ed è già… poesia
Poesia di mare
di acqua di fonte
di bacio leggero
qui, sulla fronte

di Roberta Lipparini

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Il nirvana dei gatti di Paolo Polvani

Nasce così la promessa del nirvana dei gatti:
in forma di carezza. Gli alberi belli dritti
e compunti, braccia in alto e compatti. Le code
dei gatti disegnano piccole virgole di felicità,
si aggrappano a minute beatitudini, sognano
lische di pesci fritti, una moltitudine
di cuscini, un popolo di divani, una cucina
da riempire di lenti miagolii, un topo
per dimenticare gli assilli metafisici, un fuoco
da guardare, tempo bastante a sonnecchiare,
a dischiudere pigramente le finestre
di quegli occhi matti.
Abita in quella carezza la promessa
del nirvana dei gatti.

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Il tram è partito
dalla foresta esaltata
con tratti di matita
non sosta
non avvisa
sommessa sto bassa
la chioma è samba rossa.

di Afasia

***

E’ buio e fitto il bosco
ma io ne conosco
ogni albero e sentiero
Ne conosco ogni fiore
eso una storia che inizia
“C’era una volta un amore
Un amore che non aveva paura
ne’ del buio, ne’del bosco nero”
Me l’ha insegnata la luna
che racconta solo il vero

di Roberta Lipparini

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Picchiettii volatili
d’ intenzioni fritte
scritte al mattino
e poi rimasticate
su labile crine di Medusa.

di Afasia

***

Mongolfiera sola andata di Alba Gnazi

più non sarò
che il tuo dio irrespirabile
sepolto nel sottoscala

un palloncino tra monocoli d’ idee
– svolgerò
il ruolo del filo, o della nuvola
che lo sbranerà –

come quei
significati a margine vita
di cui s’ignora il codice,
il ritmo, perfino
l’esistenza

forse
come un capogiro
da confondere ancora
con una mongolfiera sola andata

cercherai un’alba
prossima alle mie chiavi, ma
avvezzo all’impeto
non ti perderai.

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Vedi, fatti bulbo,
contieni
luce e immagini, mondi,
un piccolo terremoto, un nido.
Fatti minutissima,
una viola,
racchiudi risonanze, il timbro
intenso del silenzio.

di Emilia Barbato

***

Volevo farti rossa
un piccolo pulpito che scroscia a destra

Mentre la casa lacrimava
sfibrando le teche dei rami contorti

E darei i miei occhi
al palmo che sguscia – nelle planimetrie
dei gesti

Rimango vicina alla scelta
lo sguardo lungo oltre le forme nere degli alberi
dandomi –
limpida sposa all’oscurità

di Antonella Taravella

***

Rosso di cuore, lontano mio amore
e luce di attesa
di veglia di voglia
Il buio m’imbroglia
Il sentiero è nascosto, mio rosso di cuore
ma ho mille notti per aspettare
mia attesa, mia veglia
mia voglia di amare

di Roberta Lipparini

***

La Vita Sottile di Rosaria Iuliucci

Questo in fondo non è altro che un mondo solo , una sfera goliardica di terreni spezzati fra loro che non mi dona gravità , umanità , ne il contro senso di un disimpegno terrestre che mi spinge nell’altrove , migliore , o alquanto singolare , e fa in modo ch’io resti scalza con passi incerti verso quella penombra notturna che viola ogni singolare logica di luce , e mi si stringe dentro la nuda carne come un cavo elettrico necessario a darmi l’ultimo istinto , con un grido impulsivo , un ultimo respiro , per mutare dentro questi passaggi senza uscita di un oggi assente squamati di domani .
Questo , in fondo , non è altro che il mio mondo , inaccettato , in discesa , in continua stanchezza , con eterni chiarori smielati sulla faccia a svelarmi senza pianto .
Niente mi salva da questa natura . Resto attratta da finestre nere sul mio essere , gravida di un’ esistenza insistente che becca l’ultima illuminazione di un corridoio irrisolto senza uscita .
[ sono stanca di questa vita troppo sottile ]

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bara
e vive
il dritto
è sul rovescio
il rovescio sul dritto
l’altro aspetto della forma è punto di vista
è una maglia in sostanza accapigliata
accigliata su se stessa che culla
e contiene culla congruente
filata per gechi di legno
in appesi paralleli
di vite in tralci
arti addotti
e diritti
nascosta la carta
a palmo aperto
l’origine e il cuore
protetti dall’aria
nella mano
mai
morta.

di Afasia

***

Gramigna di Guido Mura

Angoscioso risveglio di crisalide,
già quasi morta, mi scuoto e rielaboro sogni;
germino nella polvere e assimilo terre
sconosciute e fugaci, volando ricchezze sonore,
miracoli e foglie, dovizie di luce, ferite
di linfe perdute, di palpiti fervidi e lievi.

Dove andrò, dove andranno le mie foglie?
Invasioni sinuose e inarrestabili
a scivolare strade mai percorse,
altopiani brumosi, palcoscenici
che la notte lunare discolora,
là dove il vento cala e si riposa.

Nel secco crepitare della sabbia
sarò gramigna, sarò l’allusiva fornace,
che genera fiabe, che schiude orizzonti di trame
di fervori lanosi, di balzi inquieti e furenti,
che la cenere placa, indifferente
a lotte, offelle, suppliche, improperi.

***

TI PIACE LA PAROLA CUORE? di Antonella Lucchini

Lo espongo questo crogiuolo
sanguigno

(ti piace la parola cuore?)

come una sindone.

Così vedi, puoi toccare

dove sei piantato
dove urli e mi spolpi.

Sono nell’utero delle tue radici,

lì nuoto, respiro, ondeggio
e mangio l’amore.

VIGNAGA

indispensabile questo silenzio
al rumore del nido quando cade
la grazia redenta di ogni oggetto
è tutta in mano – tu testimone
nessun colore muore

nella bellezza irrimediabile
corrispondenze
da nominare appena

certe mattine
che nascerei di nuovo
nel primo fiato la primavera
certi giorni scrosciano dentro
certi tramonti
che morirei da capo
ancora amerei

di Carmen Morisi

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Moto perpetuo

Connessa con le stelle, viaggiava.
Quei filamenti argentati la connettevano all’universo.
Poteva vedere soli che esplodevano, civiltà nate e perdute, e perle lucenti nella galassia.
Anche quando i fili sembravano intrecciarsi, sgusciavano via come filamenti di gomma bagnata.
Quel razzo era stato assemblato da lei; ogni tanto qualcuno le lasciava un pezzetto di qualcosa.
Un giorno unì le parti e incominciò a viaggiare.
-“Cosa cerchi, portatrice di stelle?”
-“Al mio razzo manca un pezzo di cuore”.

*

Stelle fiorite

Luminose gemme allargano pensieri melodiosi.
Vedo in te una carezza nel cielo.
Filamenti argentati muovono l’universo,
hai accolto la vita nel tuo ventre metallico.
Artefice del moto cosmico fatta di lastre pesanti:
benvenuta genitrice del mondo.

di Angelica D’Alessandri

Giovani Prospettive: Alex Stoddard – Omaggio di parole – 2° parte


Prima parte: http://wordsocialforum.com/2014/11/25/giovani-prospettive-alex-stoddard-omaggio-di-parole-prima-parte/

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Morte in rosso di Alessia Marini

Il tempo fugge e la vita ti scivola dalle mani ogni istante nell’inesorabile susseguirsi di minuti, ore, giorni. Concetti formalmente riconosciuti vedono un barlume di praticità nel momento esatto in cui tutto sta per finire, in cui la vita sta per spegnersi. Inesorabile, come l’acqua che precipita da una cascata, quel tremendo momento arriva per tutti. C’è chi lo implora e chi lo teme. Chi lo ha sfiorato e chi non ci ha mai nemmeno riflettuto.
L’inconsistenza della nostra esistenza prende forma nel momento in cui finisce.
È come un concetto o un pensiero che diventa reale solo e soltanto quando smette di essere se stesso: quando trasmigra da uno stato di trascendente eternità ad uno di tangibile consistenza. Una parola che si forma nella nostra testa smette di essere un pensiero nel momento in cui la enunciamo.

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Inediti di Antonella Lucchini


AMORE

*
Sempre lì

premuta contro il costato schiantato
dalla peristalsi dell’addio.

Una spina piccola e dolce
che non può essere tolta.

*

Ti corrono sempre sopra le frasi
che partorivo per te?

Ti slacciano ancora le resistenze?

Vorrei ti passassero
tra i capelli come le mie dita

come non fanno più le mie dita

(riccio per riccio ad incresparti pelle
e parti vive e sesso).

Ho un potere pazzesco
che mi si sfila dalle dita morto

più del fiore che avevo.

*

Mi hai reso impotente.

Il fallout a cui mi stai esponendo
mi sta disseccando

(sto venendo via da me stessa
a piaghe)

E’ stato deciso ante litteram

– un frangente prima che la mia lingua
ti entrasse in bocca –

che avrei perso

che tu avresti ceduto

che mi avresti ceduta
riconsegnata
ributtata

alla mano nera.

Perché?

*

Vorrei che questa poeta fosse un’idiota,
e nella pioggia
vedesse solo una perturbazione
non le tue dita infinite
a filarmi la pelle;

nel vento che incespica sui vetri
solo il vento che incespica sui vetri

non la trasposizione della tua voce;

nell’ossario che ho dentro
un morso di fame

non l’ossario che ho dentro;

nelle parole maligne
le colpe che hai tu
le colpe che ho io

e l’amore al tempo dell’amore.

*

Ho scritto il tuo nome invisibile
e colloso dentro ogni verso,

EmmE.

A causa di una sinapsi difettosa

(credo)

tu hai deciso di scriverti fuori
dal gioco dell’inchiostro simpatico.

Posso maledirti?

Perché
il mio romanticismo subacuto
mi imporrà di logorarmi comunque
di te,

a memoria senza toccarti senza mangiarti
delusa digiuna devastata
distonica.

Il coltello che mi hai piantato
darà i suoi frutti

rossi come l’amore

neri come l’amore

morti
come l’amore.

*

Hai uno squarcio d’occhi
che mi spalma di sabbia e sale

oro e argento.

Attraversi l’oasi,
che mi crei in mezzo
alle bruciature e alle devastazioni,

come mare silenzioso

fluida e piena di vita
chiara e piena di me.

 

EROS

La poetica del corpo
_________________________

Stai lontano dalle mie labbra?

Ti farò una lezione
sulla poetica del corpo

che ti resti cucita
dove senti male e piacere insieme.

Prendi una bocca

svuotala e riempila

– avvolgile il viso con le mani –

prendi e dai nell’ordine che vuoi
ma fallo fino alla morte del respiro.

Scivola sul collo
che sarà ritmico e cadenzato

– se avrai ben esordito –

appoggia le labbra alla giugulare,
ti parlerà di lei.

Spingi le mani fino dentro al cuore

facendoti largo tra le areole,

sentirai il suo sangue chiamarti.

Sei mai stato più vivo di così?

Osservale il ventre
– l’altura deiforme –

schiantarsi e rinascere

(la danza della vita)

e scegli

cosa sia meglio.

Oh lei ti risponderà!

Mi stai ancora lontano?

*

Vuoi vedere come amo, hai detto?

Ti devi spogliare
di abiti legami sovrapensieri

(per essere più nudo di me).

Sentire le tue dita contarmi
le ossa
è la chiave che apre Xanadu,

lo vedrai.

Il corpo
(così il mio così il tuo)

si muove con un linguaggio di gesti
che si consacrano
l’uno sull’altro l’uno dentro l’altro.

Io sarò un coltello
che fende entrambi

– dolore/amore rimano solo in collisione –

con versi e umori fluidi segnerò
ogni piega percorsa
ogni eco estratta.

Ti accorgerai
delle resistenze cessate
(le mie mani come morte)

e saprai di volermi raggiungere

presto
fino in fondo
fino alla mia fine.

*

Volerti

e guardare.

Gli occhi sono le mani
che preferisco

su di te.

Ti apri,
corolla trepidante

e mi cerchi

a petali a spasmi a gocce,

Le mie iridi
ti sfiorano col loro nero

lasciandotelo in bocca.

Mi accechi lo sguardo
con la mano.

Ti sento con le labbra.

Volerti

e berti.

*

Ricordati di metterti
di schiena
quando aspetti l’amore,

l’amore che tocca;

la mia lingua muore
sempre un po’

quando penso alle tue vertebre

al modo in cui le intersecava
entrando ed uscendo.

Se anche lei
volesse prenderti da lì

tu non permetterglielo

fatti solo guardare,

lì ci sono morta.

anto

Antonella Lucchini nasce a Mantova, dove tuttora risiede, nell’aprile del 1964. Diplomata al liceo linguistico, dopo aver avuto una breve parentesi universitaria, lavora per un decennio, come segretaria, presso una grande azienda del mantovano. Ora è casalinga. La passione per la scrittura si affaccia al liceo, ma resta un esercizio personale, privato. Abbandonata per molto tempo, tre anni fa ritorna prepotente, dopo una serie di vicissitudini personali, famigliari che, evidentemente, trovano nella scrittura, nella poesia in particolare, la via di fuga perfetta per alleggerire l’anima.
Inizia a pubblicare le sue poesie sul web (e continua a farlo), iniziando prima con la poetica haiku, dedicandosi poi completamente alla poesia tradizionale mantenendo però le caratteristiche di sintesi e di illuminazione (per dirla alla Baudelaire). Partecipa ad alcuni concorsi letterari, ottenendo premi, segnalazioni e l’inserimento di alcune sue opere in diverse antologie. Una sua poesia è inoltre presente nel volume “L’indice delle Esistenze – Vite in frammenti “L’AMORE” dell’editore Aletti. Agli inizi del 2013 pubblica la sua prima raccolta, “Tra morsi e strida”, per la casa editrice REI. “Il margine bianco” (Ed. Divinafollia) è la sua seconda raccolta, con la quale focalizza lo sguardo su Amore ed Eros.

Prospettive: I fotografi che hanno fatto la storia della Fotografia – Francesca Woodman – Omaggio di parole


Ho sentito spesso chiamarla come un giglio malato da sé, senza riuscire a non fare altro che farsi pensare, per la realtà che scavava ben oltre le sue fotografie, quei rituali domestici e gli spazi che sapeva riempire con poco.
Lei potrebbe apparire come angelo caduto, una foresta nel pieno dell’inverno o una casa che all’apparenza può sembrare abbandonata. C’è tutto questo ed altro, la sua nudità e il suo smarrimento.
Avvolge e fa sentire il suo dolore. L’omaggio per me era dovuto, ed ho cercato le voci che pian piano sono arrivate a fare parte della mia vita e che adoro, per quello che sono, Donne, Mamme, Poetesse e Vita…si vita.

in questo quando d’ombra e presagio
trattienimi parola sul limite oscuro:
è una cicatrice d’alabastro la pelle agli occhi del giorno
dove lasciare polvere di trascorsi e sabbia
assente d’orma che non siano i miei fantasmi
.
scivolami addosso nelle pieghe
di un’ora di pioggia e pagine cancellate
raccontami di cieli sottosopra nello specchio
di quanto è stato tolto al ramo e gettato nello scarico
imbiancato da rimorsi e ripartenze
.
e poi – soltanto allora, però –
ingannami col ci saremo ancora
all’imbrunire di quel sogno (non più nostro)
mentre accanto al corpo la croce
già esige chiodi e non più mattini.

Angela Greco

Francesca Woodman (Denver, 3 aprile 1958– New York, 19 gennaio 1981) è stata una fotografa statunitense. Suicida a 22 anni. Volò verso la terra da un palazzo di New York. Scelte da non discutere. Non distrusse i propri lavori, prima del salto: quindi il suo passaggio in una particolare era e in una particolare fetta di mondo ha voluto lasciarlo. Addentrarsi in questo passaggio non è come partecipare a un ballo mascherato, o forse sì? C’è da comprendere chi indossa la maschera: Francesca o noi, spie sollevatrici di lapidi. Per trovare che cosa? Una ragione? L’Arte? Una ragazza?
Dire lo sguardo altrui sulle cose, accavallando le gambe e anche fumando. Dire il proprio sguardo, rimasto senza possibilità di replica. Dire.

Eliminato il colore dagli scatti, ché sia spietato il primo doppio offerto: il bianco, il nero.
Il corpo è quasi sempre aspro, scarno, per ciascuno di noi imprendibile se non nella superficie di sé, vero Francesca? Tanto non puoi replicare, e io dei critici me ne infischio.
Corpi.
Due sono i seni, due le mani, due le gambe, i reni, i polmoni. Speculare non è il volto, ma ha due occhi, troppi denti, una lingua, due tonsille, un palato, amaro come il fegato, solo, sotto un costato.
E allora hai preteso un ritaglio di specchio, tagliente, perché ciò che era uno ti faceva sentire patetica, sola?
Specchio, perché il tuo corpo non fosse obbligato ad essere unico. Avere un compagno di sé, identico, scabroso, rassicura? Capirti, adesso, non ha un vero valore: è interpretazione sterile. Le tue immagini, eredità per crearci turbamento: che scherzo in strazio!
La ragazza, per metà sotto ciò che io vedo teca, ha palpebre spalancate in odore nauseante di giglio-purezza. Ha paura, la ragazza? L’hai saputo tu. Ma ho paura io nel vederla sotto una lastra, pesante, benché non di marmo.
E quell’altra – vestita di carta da parati marcita in fiore – nascosto il volto e il sesso, ha freddo nell’inverno che si è decisa addosso.
Donne, con poca carne sulle ossa. Donne eburnee. Gigli e calle. Vento che non si innamora, che non si ferma.
Porte, per suicidarsi i polsi appesi, come un volo saltato da una sedia. Capelli tirati dalle dita: ed è la forca. Prove pratiche: ancora basse le distanze.
Porte mai spalancate alle nuvole. Che sia viziata l’aria, come una peste, una lebbra, un contagio mortale. L’aria pulita ammorba, soffoca, insudicia le calle.
Ancora teche di vetro, per sante imbalsamate con le volpi, astute bestie non addomesticabili. E poi macerie di case, per ectoplasmi femminili.
Abbandoni di donne, così ti sei voluta rappresentare, sapendo dal tuo inizio che l’immaginario apparente ha più peso del troppo raccontare, che il nulla ha più spessore delle filosofie sofferte pensate e ripensate. Teche, gigli, calle. Specchi per frantumi di arti e Arti.
Mutilare la vita intera, dal principio. Invecchiarla e concederla morente, anticipando.
Poche le fughe, se le conseguenze sono il ritrovarsi murate nelle calci.
Posate sulle mani, le quotidianità gelide e appuntite.
La sporcizia in ogni angolo di stanza, ché sia distante il perbene agire da borghese. Vivere nell’immondo e forse, poi, lavarsi in una vasca priva d’acqua.
Sei stata accondiscendente alla comprensione di te, in parte anche alla compassione, ma di toccarti a lungo, se pur con la pupilla, non mi sento. Ti sfioro e vado via, sotto altre carte da parati a brandelli. E dei fiori, neppure il ricordo.

Savina Dolores Massa

Le emozioni della Woodman ci giungono attraverso un linguaggio surreale e onirico. Nei suoi lavori il soggetto si sposta dalla modella e/o dalla disposizione degli oggetti nello spazio all’insieme che rappresentano. Alla parola sommessa cui Francesca da voce. Così, le cose e i corpi sussurrano una sola fragile lingua che ci racconta non solo del disagio che la porterà, con un gesto estremo, a difendersi dalla paura del mediocre e a proteggere le sue opere delicate, ma anche della voglia di usare l’ironia del vivere per sperimentarsi.
Il fulcro della scena si sposta dai dettagli alla dimensione. Il bisogno di comunicare le coordinate della sua anima la spinge ad utilizzare le immagini per costruire il luogo cui appartiene e che le sopravvivrà. Una dimensione in cui bellezza e minimalismo sono in perfetto equilibrio e rappresentano la chiave per entrare e conoscerla. Così uno specchio trasmuta in una porta aperta sul suo universo parallelo, distinto ma integrato con il nostro, ed il procedere a gattoni il simbolo delle esperienze verso l’autoconoscenza e l’interazione con il mondo.
La nitidezza dell’immagini riflesse, i nudi lisci e perfetti dei corpi, in luce, sembrano lasciare scivolare le ombre ed emarginarle ai limiti della dimensione e l’uso di una lunga e doppia esposizione si presta perfettamente alla realizzazione del luogo rifugio dal reale. Così il corpo vuoto di una stanza e il corpo della donna diventano un solo vuoto, un’unica solitudine che pietrifica gli istanti ed inventa una nuova forma di comunicazione nel silenzio.

Bisognerebbe mettere in posa i miei pensieri razionali
e affollarli in una fila regolare,
per sorprenderli in atteggiamenti equivoci
e deriderli, quasi fossero modelli compiacenti.

Oppure, tentare un’analisi surreale delle foto,
sorvolando la superficie liscia delle cose e la metafora dei nudi
che ci restituiscono alla bocca dell’universo parallelo
dentro cui spariscono i corpi stessi e le cose.

Solo dopo la sottrazione di quello che siamo,
potrei pensare alla mitezza di uno sguardo
che smarrisca la parola vilipesa
e affidi alla poesia le linee della mano.

Emilia Barbato

Francesca-Woodman—From-Angel-Series,-Rome,-Italy-1977

Cercai l’angelo alla tavola
che imbandivano a Dunedin,
mille incanti, un coperto.

Bastava un angolo a quel tavolo,
l’ascolto delle anime toccate –
servir loro un caffè, farmi sfiorare
la veste- ma quando giunsi
già l’angelo scuoteva la tovaglia.

Hush-hush – riverberavano le pareti
mescolando il frullo d’ali
e la stoffa in volo – hush-hush.

Fosca Massucco

just-around-midnight: Francesca Woodman

Ditemi tutti i segreti
insegnatemi, lasciatemi sapere
con un segno sulle ginocchia.

Io sarò cauta, vi somiglierò piano piano, un po’ per volta.
Resterò nel mondo, prometto, ma voi ditemi.
Non chiederò altro.
Mi farò crescere, resterò.

Datemeli ora, in mano.
Serrerò subito il palmo e manterrò, nessuno intuirà cosa stringo.

Se me li dite, io starò buona, mi contenterò.
Adesso, qui, così: vedete?
So stare quieta e quieta ancora di più.

Ma loro sapevano che stavo mentendo.

Sara Trofa

restare così nell’attesa
una parola pronunciata
appena prima di una piuma

seguo la linea del sonno
una carta imbavaglia le ore
il filo – forma l’agiatezza del martirio

restami – completamente ala
nella sottoforma disperata
che sgualcisce le forme

[la tendenza delinea l’imbrunire contorto
di un ago che cuce un avampasso di sensi]

Antonella Taravella

Altri Testi:

di Luca Ispani

Pietra mesmerica
raccogli fluidi armonici
fili sottili
ragnatela di illusoria speranza .

Trovi pietre sul cammino
i rovi,le tue braccia
pungolo desolante il destino
tra te e il declino.
Lascia le parole prendere peso
[saliscendi costante il tono]
accendi un fuoco
scaldando l’anima
un segno.

Negli ossari apprezza il silenzio
nelle dita consumate
una gioia ghiacciata da involuzione sintetica
il respiro infinitesimale del tempo che fugge.
[un corpo libero in spazi asincroni].

Nel fondo soltanto una voce
litania poetica
urlo asperso di indifferenza ammorbata.

fw

di Antonella Lucchini

Non finirai più di scartavetrarmi
il cuore

o qualunque cosa sia
che ti contiene

e mi fa a pezzi.

Sylvia- Francesca Woodman

vivo dietro
un angolo il tuo
paradiso.
tutto il visibile
faccio l’inferno che mi porti all’estremo
bianco spogliato di bianco.
la terra di mezzo non basta
a ricoprirmi il cuore possibile
tra l’azzurro e il suo incendio.

di Sylvia Pallaracci

Immagine3

la tua voce
raffica incendiaria cerebrale
nel giardino sbucato della bocca
è il verso dell’onda che sfonda
la vena d’inchiostro, un galoppo di mare il sangue
che mi fai e la vita
dilaga ovunque le mani per portarti
alle labbra la bellezza
da sfinirti dentro

di Enzo Moretti