O-scena ovvero l’ Irrappresentabile in teatro di Nausica Hanz


“Se la processione che fanno e il canto del fallo che intonano non fosse in onore di Dioniso, ciò che essi
compiono sarebbe indecente; la medesima cosa sono Ade e Dioniso, per cui impazzano e si sfrenano.”
(Eraclito, frammento 15)

Da un’intuizione di Carmelo Bene prende spunto questo articolo e precisamente dalla reinterpretazione etimologica del termine osceno, che in Bene viene posto come o-skené: “osceno vuol dire appunto, fuori dalla scena, cioè visibilmente invisibile di sé” afferma Bene durante la trasmissione del Costanzo Show del
1990 .
Osceno è tutto ciò che non esiste sulla scena, che viene posto ai margini del vedere perché di natura sporca, lurida, ripugnante, offensiva; eppure molte opere performative contemporanee sono riconducibili ad una oscena perché si collocano nella sfera dell’irrappresentabile, in quanto introducono nello spazio teatrale elementi taboo, perversi e vietati dalla norma.
È in questa tensione tra il poter vedere e il vedere tutto che si situa il perturbante, un teatro estremo in cui lo spettatore diviene destinatario di quell’atto di dis-velamento della scena da cui non è escluso nessun elemento: tutto è in superficie, viene annullato qualsiasi spazio nascosto, non ci sono più segreti e il confine tra dentro-fuori, vero-falso, arte-vita è stato rimosso per permettere allo spettatore di poter abbracciare l’opera nella sua interezza.
I lavori performativi di Jan Fabre e della Societas Raffaello Sanzio sono due esempi di teatro in cui la dimensione dell’irrappresentabile assume un carattere principale, la loro è un’arte che svela, un palco che conduce lo spettatore a vedere ciò che prima era vietato allo sguardo: l’inguardabile viene ora esposto nella sua forza cruda.
L’osceno è esploso (o per usare l’efficace immagine di Castellucci) ha subito un’emorragia, ha riversato in teatro l’indecente e portato l’arte verso una zona perversa, limite, pericolosa. In questo teatro è la materia

Socìetas Raffaello Sanzio - Tragedia Endogonidia

Socìetas Raffaello Sanzio – Tragedia Endogonidia

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Je suis sang di Jan Fabre e le sue lodi al Sangue


“L’uomo è fatto di sangue e al sangue appartiene”, questa è la frase chiave che viene ripetuta nella messa in scena teatrale di Je suis sang (Conte de fées médiéval) di Jan Fabre.

Presentato in occasione del festival d’Avignone nel 2001, l’intero spettacolo è stato realizzato ispirandosi ai fatti storici medievali, riflessione che in primis coinvolge il luogo della scena, a fare da palco al festival avignonese sono infatti le antiche mura del Palais del Papes.

In questo confronto con l’età medioevale il regista, in un intervista rilasciata a Luk Van den Dries, presente in Corpus Jan Fabre, si domanda se dal Medioevo a oggi sia avvenuta una evoluzione oppure sia rimasto tutto immutato: “Siamo nel 2003 dopo Cristo e viviamo ancora nel Medioevo. E viviamo sempre nello stesso corpo, che dentro è umido e fuori secco. Continuiamo a vivere con un corpo che è molto più colorato all’interno che all’esterno.”

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Wonge Bergmann Ph

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