Vendere svastiche e vivere felici. Intervista a Max Papeschi


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benvenuto su Words social Forum Max

“I messaggi arrivavano da tutto il mondo e si potrebbero classificare in tre gruppi:

  • complimenti generici
  • richieste d’interviste
  • insulti

L’ultima categoria , la più nutrita ed originale, si potrebbe a sua volta suddividere in quattro sottocategorie:

  • Attivisti di sinistra che mi danno del neonazista
  • neonazisti che mi danno del comunista
  • patrioti americani che mi danno dell’anarchico
  • un pubblico eterogeneo che mi dà dello stronzo.

(Vendere svastiche e vivere felici, pg. 26 – 27, Sperling &Kupfer) 

Come Max Papeschi descriverebbe se stesso. Come uomo prima e artista poi?”

La mia ex fidanzata mi ha definito un “stronzo insopportabile, come darle torto.

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“Non ci vuole niente a diventare famoso per 15 minuti, se ti abbassi i pantaloni a Piazza San Pietro. (Andy Warhol) Tu i pantaloni li hai calati letteralmente per girare il corto soft porn Max Papeschi fuck Minnie. Il tuo é stato uno splendido modo di sfruttamento di ogni sito. Se i nuovi mezzi di comunicazione come My Space, Facebook, Istagram, non fossero esisti, che direzione, credi, avrebbe preso la tua carriera artistica?”

Impossibile prevederlo, però se consideriamo il fatto che prima di usare i social network ero un regista cinematografico sull’orlo del fallimento e che non faccio uso di sostanze stupefacenti,  forse l’alcolismo sarebbe stata la mia successiva attività artistica.

“Dopo aver sposato Minnie, creato un Topolino nazista, venduto tua madre, fatto cadere il governo Berlusconi, essere diventato uno degli artisti più richiesti al mondo, cosa ti manca per essere completo?”

Spero di non scoprirlo mai.

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“Come nasce tecnicamente un tuo lavoro e dove trai la giusta ispirazione?”

Per quanto mi riguarda la fase di documentazione prende una parte importantissima del mio tempo, mi riferisco un po’a tutto, dal leggere libri e giornali al guardare film e documentari a viaggiare per il mondo incontrando persone interessanti. La realizzazione dell’opera in senso stretto è solo una fase successiva del mio lavoro.

“In una tua recente intervista descrivi la tua arte come una serie di “multipli e d’immaterialità”, puoi spiegarci questo concetto?” 

E’ un discorso molto complesso, riguarda il fatto che nel mio caso i lavori potrebbero tecnicamente essere stampati in centinaia di copie o non esserlo del tutto e questo non cambierebbe nella sostanza il nocciolo del mio lavoro.

Per dettagli consiglio di leggere “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” di Benjamin.

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“Un tuo grande merito è comunque quello di aver riscritto ed aggiornato in maniera allegorica le grandi tragedie del dopoguerra. Opere come: Duck eat Duck, Greetings from Auschwits, It’s a bird, It’s a plane, It’s SuperJesus, That’s the Napalm Show! 

Sono grandi opere quanto colpi di teatro. Ti chiedi mai, (volendo citare Damien Hirst) “For the love of God” What you have done?”

Non, je ne regrette rien (volendo citare Édith Piaf)

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“It’s on America’s tortured brow

Mickey mouse has grown up a cow

Now the workers have struck for fame

‘Cause Lennon’s on sale again,

See the mice in thier million hordes

But to the Ibeza to the Norfolk

Broads rule Britannia is out of bounds

To my mother, my dog, and clowns

(David Bowie)

Guardando le tue opere mi è tornata in mente questa famosa canzone di Bowie, un attacco alla società occidentale e in particolare all’America, capitalistica in cui tutto pare essere in vendita. 

Come il pubblico americano ha accolto la tua arte e il tuo stile dissacrante?”

In realtà la mia non è tanto una critica nei confronti della cultura americana quanto verso i poteri e i mezzi di comunicazione di stampo occidentale di conseguenza globalizzati. Che poi le icone occidentali siano rappresentate in massima parte da personaggi d’oltreoceano è un altro discorso. A San Francisco ho già fatto due personali e l’accoglienza del pubblico non è stata molto differente da quella che ho avuto in Europa,  sarebbe interessante vedere le reazioni in stati un tantino più conservatori, posti dove ancora non hanno digerito l’abolizione della schiavitù per capirci.

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“Che cosa ti fa paura e ti spinge a creare/dissacrare?”

Mi fa paura il fatto di vivere in mondo dove una SuperElite composta dallo 0,00001% della popolazione controlla tutte risorse economiche di questo pianeta e di conseguenza prende tutte le decisioni politiche, al di là di singoli governi ormai creati solo per la facciata.

“Tutto sembra essere concesso all’arte contemporanea, le tue opere hanno una dissacrante intelligenza, ma qual é il limite che un artista deve porsi? Ci sono limiti nell’arte che non vanno superati o tutto è da considerarsi lecito?”

Bisogna avere qualcosa da dire, se la provocazione è utile a far passare il messaggio è sempre lecita, altrimenti è solo un esercizio di stile.

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“Chagall disse di Picasso: “Che genio era quel Picasso… un vero peccato che non abbia dipinto nulla” Hai mai paura che qualcuno possa fare  una  critica simile al tuo lavoro?

Ne hanno fatte talmente tante che una in più o una in meno non cambierebbe nulla e comunque, resti tra noi, ma non mi è mai piaciuto Chagall.

“Com’é cambiato il modo di fare arte e vivere l’arte dopo la strage di Charlie Ebdo? E’ stata un’ulteriore conferma di quanto sia importante la libertà di poter dissacrare e ridere su ogni cosa o tutti hanno già dimenticato?”

La seconda, purtroppo.

“L’arte, deve abbracciare o temere il denaro? Si può vedere svastiche e vivere felici?”

Il denaro serve per fare arte e facendo arte è più facile essere felici. 

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Grazie Max, infinitamente

Grazie a te.

All images and materials are copyright protected and are the property of Max Papeschi

Official Site: http://www.maxpapeschi.com

Official Facebook page: https://it-it.facebook.com/maxpapeschi

Christian Humouda

L’Icastica di Hirst


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E’ inutile dire il contrario.

Questa seconda edizione di Icastica é stata per molti versi contrassegnata dalla polemica contro “The black sheep”. Una protesta pacifica, che ha avuto una grande adesione facebookiana, non replicata con altrettanta partecipazione attiva nelle piazze d’Arezzo. Continua a leggere

Icastica 2014


Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi porta progressi; e’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie, chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato, chi attribuisce alla crisi i propri fallimenti, dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi é la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni é la pigrizia nel cercare soluzioni; senza crisi non ci sono sfide, senza crisi non c’é merito: nella crisi emerge il meglio di ognuno di noi. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa: la tragedia di non voler lottare per superarla!”

Albert Einstein

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Occupy Hirst e la fenomenologia della coglion’arte – Artribune


Ho deciso. Julian Spalding mi piace proprio. Basta sentirlo parlare sul suo sito per convincersene: oltre a essere un signore veramente distinto, ha una bella dose d’ironia, verve e anche coraggio che non può che renderlo simpatico.

Damien Hirst

Come si fa a non parteggiare per Julian Spalding? Dopo aver scritto un articolo di fuoco, apparso sul Mail on Sunday e poi ripreso dall’Independent, contro l’onnipotente Damien Hirst, proprio alla vigilia della megapersonale alla Tate Modern, a Spalding è stato impedito di partecipare alla conferenza stampa sulla mostra, e si è visto elegantemente sbarrare la porta (come riporta lui stesso sul sito del Daily Mail, 7 aprile 2012). “È uno scandalo”, ha ribadito Spalding. “I responsabili della Tate non mi hanno permesso di entrare perché ho punti di vista diversi. Sono stato direttore di musei, ho scritto libri, sono una figura di riferimento internazionale nel campo dell’arte. La Tate dovrebbe incoraggiare il dibattito sull’arte, non affossarlo”.
Il motivo di tutta la polemica sta nel fatto che Spalding ha da un bel po’ preso di mira non solo Hirst, ma tutta l’arte con-temporanea/con-cettuale, che ha ribattezzato “Con Art” – che più o meno si potrebbe tradurre come “arte-truffa” (e se ci fosse un richiamo francese, diventerebbe… coglion’art). Secondo lui semplicemente non è arte, e chi ha commesso la leggerezza di comprarla, farebbe bene a rivenderla presto, perché, un po’ come i famosi titoli subprime, al momento ha quotazioni altissime, ma presto potrebbe crollare, rivelandosi semplice spazzatura.

Bazzana

Spalding spara a tutto campo: riprendendo la polemica anti-Hirst già innescata da David Hockney, che aveva polemicamente sottolineato che i suoi quadri lui “li dipinge da sé” (mentre, come è noto, Hirst fa lavorare una sessantina di assistenti), Spalding dice che quella di Hirst, che fa dipingere i quadri a punti colorati dai collaboratori, imbalsamare squali e vacche da artigiani specializzati ecc., non è arte. Non solo: per lui tutta l’arte “con”, indietro a Carl Andre, e su fino al padre Duchamp, allo stesso modo e per lo stesso motivo non c’entra niente con la “vera” arte.
Anzi, si leva pure qualche sfizio da “intenditore”, e arriva a sostenere che la “madre di tutte le opere d’arte-bluff”, cioè Fountain, 1917, il famigerato orinatoio, datato e firmato R. Mutt, unanimemente attribuito a Marcel Duchamp e considerato il primo ready-made della storia, ossia la prima, autentica opera d’arte compiutamente “contemporanea” – non è di Duchamp. L’artista francese infatti si sarebbe appropriato dell’idea della (allora) sua spasimante, la baronessa Elsa von Freytag Loringhoven, e l’orinatoio non avrebbe dunque un significato dadaista, ma femminista… Insomma: neanche il pezzo più noto e storicizzato della “con-art” sarebbe vera arte, non solo perché è un semplice pezzo di fornitura da bagno, ma anche perché nemmeno l’idea sarebbe “originale”! Troppa grazia Sant’Antonio.

Tanto Hirst è un antipatico supponente, tanto Spalding mi sta simpatico, ma con lui bisogna andarci piano. Se Duchamp abbia raccolto o meno i suggerimenti della eccentrica baronessa Freytag è del tutto indifferente. Tutti sanno che Fountain, come opera d’arte, non esiste, ma che il valore di provocazione che essa suscitò (testimoniato fra l’altro dalla “vera” opera di Duchamp, cioè la rivista Blindman) fu, ed è ancor oggi, di importanza epocale. Già per quanto riguarda l’opera di Andre qualche dubbio è legittimo, e senz’altro ancor più giustificato nel caso di Hirst. Se però il problema è che questi personaggi non sono artisti perché non “fanno” le opere con le loro mani, allora siamo completamente fuori strada: l’arte contemporanea è tale proprio perché è in grado di mettere in discussione la propria identità profonda – anche la propria radice “tecnica” e manuale, che invece, nella tradizione, era pacificamente accettata.
D’altra parte, per una cosa falsa Spalding ne dice due vere: la prima è che il successo commerciale nel caso di un artista non significa affatto valore culturale e importanza storica. Nell’Ottocento i pittori pompier spadroneggiavano nelle accademie e nelle gallerie, ma oggi le loro enormi e oleografiche tele stanno nei sotterranei dei musei, nessuno ne ricorda nemmeno il nome, e tutti corrono invece a visitare le mostre degli impressionisti, allora minoritari e rifiutati. Seconda cosa: il comportamento della Tate, se è andata davvero così, non è grave, ma, semplicemente, inquietante.

Marco Senaldi di Artribune: http://www.artribune.com/