Recensione di Fosca Massucco: “Nella disarmonia dell’inatteso” di Maria Grazia Di Biagio – Ed. BelAmi (2012)


ph Fosca Massucco

ph Fosca Massucco

Con Maria Grazia Di Biagio ho avuto l’onore di lavorare in Giuria al Premio di Narrativa e Poesia Di Liegro nell’edizione 2012 ed è stato uno degli incontri più intensi dell’anno.
Poi esce il suo nuovo libro di poesia, edito da Bel-Ami.
Io di lei stimavo il cuore e la gentilezza, un po’ da nobildonna un po’ da mamma, mi appassionavo a leggere i suoi scritti on line qui: http://poesia-mariagraziadibiagio.blogspot.it
Poi mi arriva “Nella disarmonia dell’inatteso” e sull’incipit mi si stringe il cuore – early poems, T. S. Eliot e una frase (poco conosciuta normalmente ma che ha accompagnato e quasi perseguitato la mia vita) lì scritta, come se mi aspettasse:

“…i nostri giorni d’amore son pochi:
facciamo almeno che siano divini”

Già quello mi sarebbe bastato a rendere gradito un libro di poesie, la scelta di un incipit che facesse suonare mille campanelli.
Poi però ho letto le poesie e ci ho trovato dentro immagini, strategie di pensieri e scene che mai avrei supposto. Spero non se la prenderà Maria Grazia, ma difficilmente mi sarei immaginata che dentro di lei albergasse una poeta così gioiosa.
Con il suo permesso vi riporto i versi che mi stanno accompagnando in questi giorni:

“Cerco in ogni albero il suono inconsapevole
utile al mestiere del liutaio”

 apre la prima serie di sorprese immaginifiche.

“Tutto quello che ho perso resta
mi aspetta nel deposito oggetti smarriti
di una qualche stazione che non mi rivedrà.
Ho un biglietto di sola andata
tante cose ancora da trovare”

che è un delizioso omaggio alla Wisława Szymborska del “Discorso all’Ufficio Oggetti Smarriti”.

“Presto o tardi fa sera.
Ogni gatto torna al suo padrone
e dai tetti scendono i ricordi”

e mi rimanda alla nebbia gialla che si struscia contro i vetri nella Love Song of J. Alfred Prufrock di nuovo di Eliot, così come le donne che vanno e vengono tra parentesi parlando di Michelangelo diventano:

“(è quasi un’utopia nella memoria
il tuo volto così puro, inconciliabile
con la prosa delle umane preoccupazioni)”

inciso in mezzo ad una poesia.

E che dire di un Salinas femminile? “La Voce a Te Dovuta” riecheggia minimale in

“Se un giorno tu dirai di me al passato 

ti prego, fallo sottovoce, che io non senta”

e anche:

“Se questo amarti è un dono o una condanna
io non te lo so dire,
ma so che il mio presente è nella notte
dei tuoi occhi e l’unico riposo che conosco
è nel tuo palmo caldo
dove poso la guancia per dormire”

Un po’ di cattiveria esce, ma è nostalgica e melò come Dorothy Parker e, come nelle sue poesie, le negazioni sono richieste e preghiere stemperate di ridicolaggini:

“E’ bella la tua voce quando dice non ti amo
[…]
Ma adesso baciami bugiardo. Non ti amo anch’io”.

Insieme ad un poco di Gozzano mi ritrovo a leggere un Qoelet reinterpretato:

“Si sta sciogliendo in gocce l’affanno di questo cielo,
del resto ogni stagione ha il suo tempo
e questo è il tempo delle piogge”

Ma oltre all’elaborazione e alla restituzione personale dell’interpretazione, Maria Grazia è anche una piccola collezione di delizie personali come:

“Sono imperfetta e sono anche futura
nell’idea pura, un’intenzione
prima che si tocchi la materia”

E poi arriva quello che vorrei aver scritto io, un po’ alla Bre:

“Il sole arriva prima
e si trattiene
un po’ di più la sera
non per amore
di quest’angolo di terra.

E’ solo che
la Terra gira
e quasi sembra amore”.

Il libro si chiude con uno scoglio immenso:

“Ho mentito.
Non è vero che sto scrivendo
sono solo versi bianchi
ma ho finito i fogli colorati”

che i versi, quelli veri, terminano così: con l’attesa dei prossimi, ancora bianchi.

Novità Editoriale – L’occhio e il mirino di Fosca Massucco (Ed. L’Arcolaio, 2013)


In una goccia d’inchiostro c’è una buona scorta
di cacciatori con l’occhio al mirino,
pronti a correr giù per la ripida penna,
a circondare la cerva, a puntare.
W. Szymborska

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Quello che subito balza agli occhi leggendo queste poesie è la stilizzazione degli elementi di una mitologia quasi panteistica in funzione dell’elaborazione lirica. Un poetico “Mikrokosmos” bartokiano – argentino, agile, sapientemente infantile – caricato però di nuovi significati in un clima dickinsoniano.

Per un orecchio poco avveduto l’armonia di queste poesie é apparentemente tonale: il tono non é fumoso, il ragionamento non é contorto ma lineare nell’uso di un solo io lirico. Le tonalità utilizzate sono, però, più di una come nelle “Bagatelle” di Bartók. Poi, invece, la musica delle “Danze rumene” prende il sopravvento con le sue magnifiche scale modali. In effetti, il centro tonale è l’occhio: punto di riferimento indispensabile dell’osservazione le cui fasi – “Mattino”, “Pomeriggio”, “Sera”, “Senza notte” – rappresentano le linee melodiche concomitanti. Tutto torna! La musica in risonante anticipo sulle codificazioni del pensiero ha un senso: è proprio in India, infatti, che esiste forse il più complesso sistema modale del mondo; ed é proprio l’India la terra natale della mitologia sulla quale si erge questa delicata poetica.

Lung-ta imbizzarrite a simboleggiare l’anima, dalbergia (con essa si costruiscono anche strumenti musicali), rosari da cui distillare la Grazia separandola goccia a goccia grano a grano: di queste cose è scritta la Bibbia di Fosca Massucco, questa è la sua mitologia. E nel dio pellegrino c’è la ricerca e la gioia della condivisione intesa come viaggio della mente che dalla testa va al cuore (ci sono luoghi in cui è dio pellegrino a trovare me).

Tra eros e morte, immobilità e pellegrinaggio interiore, dimensione domestica e celeste si snoda, dunque, questa cosmogonia dove l’io è l’occhio che detta, estraneo alla storia, autoriferito. La grammatica colta si fonde con gli esiti di questa esplorazione che registra con precisione scientifica il punto in cui andrà inciso il carattere. La Grazia qui è precisione affilata come un coltello e serve a costruire per sottrazione lo spazio di un rifugio, di “una stanza tutta per sé” (V. Woolf). Non è la poesia ad essere vista come problematico distacco dalla vita ma è al contrario la vita che, sissì, deve rispettare questi spazi. I voli all’improvviso non hanno bisogno di aggettivi: il loro pregio sta, appunto, nello scavo. Il coriandolo del davanzale e i sonagli dell’usuale sono i segni di un ritorno intenzionato alla quotidianità.

Fosca Massucco gioca a fare Nusch consapevole che essere solo musa è riduttivo. O meglio, lei é Musa ma non di un poeta, di un musicista o di un artista tout court: é Musa della Bellezza! Esattamente come Nusch.

L’ironia di unduettrè, unduettrè, così come quel Natale che non arriva a convincere fanno da corollario al rifiuto delle convenzioni della vita. Ricorda molto la Dickinson ribelle che tenta di superare le finzioni dell’esistenza con un linguaggio nuovo. Ma qui la parola si ancora alla realtà nel suo essere scientifica mentre la fusione tra verso (che si ripiega su se stesso) e prosa, libera la versificazione dai confini della metrica. L’ispirazione splende maggiormente dove si affranca dalle lacerazioni quotidiane, dove è più lucida, dove osserva per elencare senza desiderio di modificare il reale perché c’è identità tra corpo e poesia, e trapassare il diaframma è la sua vocazione. Perché “l’uomo circondato da pensieri già fatti, la ragione degli alberi e delle pietre, la ragione della luna e dell’acqua, non ha altro intento che enumerare e contemplare” (J.-P. Sartre).

Diffido degli approcci di genere; la poesia non è uomo o donna, la poesia è stupore, l’essere umano è stupore. È innegabile, però, che esista un dialogo silenzioso interno alle donnepoeta italiane e straniere per via d’una sorta di naturale linguaggio metafisico femminile: un filo sotterraneo che unisce al di là dei confini ed é presente in questo libro. Ma non é forse un privilegio?

Ora attendo che a questa poetica segua la costruzione di una cosmogonia ancora più maestosa. E spero che nel suo cammino l’autrice continui a non salvare nessuno (sale l’arcobaleno in quota; Pomeriggio), a lasciare tutto com’è (Viver come drappo rosso non è facile) salvo forzare poi i tempi di un arcobaleno inteso come miracolo che scardina l’ordinario.

Questo è il primo luminoso passo di Fosca Massucco. Se davvero, come dice il matematico Benoit Mandelbrot, i frattali hanno corrispondenza con la struttura della mente umana, probabilmente il ‘frattale-Fosca’ deve essere molto simile a quello di un fiocco di neve. Qui in Inghilterra nevica e dopo la lettura di queste poesie giurerei d’aver sentito le nevi ciangottare…

Un tintinnio di cimbali –

a l’entrada del temps clar

ciangottano le nevi sciolte.
[…]

Maria Grazia Insinga

 occhioemirinowsf

un assaggio di testi…

2 di 4 – Pomeriggio

La rosa rampicante, ad esempio, non rispose più
inchiodata dal sole, fiorita di pidocchi;
nemmeno la lumaca passò indenne
sul marciapiede della bignonia in rigoglio,
secca nel prato la rigettò un calcio.

Non salvai nessuno,
la rosa, la lumaca – neppure la lucertola
sgranocchiata impassibile dal gatto –
accolsi quello sterminio di universo angusto;
quando cercai un arcobaleno a forzare i tempi,
aprii l’acqua del giardino in controluce.

***

Un tintinnio di cimbali –
a l’entrada del temps clar
ciangottano le nevi sciolte.

Preghiere brevi,
la lievità di dio
in un giardino dei semplici.

***

“Guarda gli alberi lungo la bealera(*),

li vedi in cima i nidi neri tra i rami?”

Non ricordo più come fosse guardare
e cime degli alberi spogli e scorgere solo rami.
Ma conosco ciò che avvertì Thomson (**)
– trapassare il diaframma tra visione e modello.
Il baratro liberatorio della scoperta,
ognuno in proporzione sua.

Chissà cosa fui, prima di me –
quando scoprii i nidi le altre volte,
se l’atterrimento fu il medesimo,
identica scoperta disperante.

E il traboccare di formiche
nei prati – osservarne una,
percepirle a migliaia con le code
degli occhi, migrare dall’uno.
Non nasco sarta di diaframmi,
non v’è rimedio alle scoperte della vita.

(*) bealera [be–a–lè–ra] s.f. region. Canale che trasporta acqua utilizzata per irrigazione o per produrre forza motrice

(**) Joseph John Thomson (Cheetham, 18 dicembre 1856 – Cambridge, 30 agosto 1940) fisico britannico, noto per aver proposto il primo modello fisico dell’atomo e scoperto l’elettrone.

***

MARIA GRAZIA INSINGA (nota meta-biografica) : Faccio capriole polverose per vedermi da fuori e scrivere di me, ma debordo come da una rilegatura che non tiene. Laureata con lode in Lettere e pianista, sono giunta tre anni fa in anticipo all’ora del tè in Inghilterra dove ho deciso di vivere dopo aver mollato anni di concerti e di insegnamento nelle scuole. Mi disincontro qui a centellinare trifogli siculi aspri e gialli. Due mondi sono troppi ma la Sicilia, sogno conchifero, è esausta d’essere se stessa. Non ricordo d’esser morta e sento due notti in luogo d’una. Ora mi leggo come se avessi gli occhi sulla nuca dell’Altrove. Chissà come mi leggerete voi.

FOSCA MASSUCCO (nota biografica): Fisico Acustico e Tecnico del Suono, moglie del Jazzista e Compositore Enrico Fazio. “L’Occhio e il Mirino” ed. L’Arcolaio, [2013] prefato da Dante Maffia è il suo primo libro.

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