L’artificialismo erotico di Jindřich Štyrský


082L14122_7KJRS_1

Oggi vi presentiamo, sperando di fare cosa gradita, la forte arte metaforico/onirica di Jindřich Štyrský (1899 – 1942), artista ceco sconosciuto ai più. Štyrský si approcciò, nei primi anni, al cubismo, corrente che abbandonò in favore del surrealismo prima di approcciare al suo stile personale, che aveva una forte componente surrealista e che egli stesso definiva artificialismo.

Continua a leggere

Della Carne e dell’Amore – Intervista ad Atelier du Bizarre


Atelier du Bizarre_ logo

Il nome Atelier du Bizarre evoca visioni potenti e suggestive, che si riflettono anche nel vostro logo: un cuore di anatomiche oscurità, sezionato e con due iniziali. Com’è nato il vostro rapporto con la cultura e l’estetica BDSM?

Il nostro rapporto con l’estetica BDSM è nato da bisogni e sentimenti in effetti viscerali. Così come il nostro logo appunto, un cuore diviso che rappresenta tale dualità: non solo nelle nostre individualità unite nella vita e nel lavoro e rappresentate dalle nostre iniziali, ma anche dalla dicotomia che anima l’estetica che viene rappresentata attraverso le nostre “creature”. Le atmosfere che amiamo respirare, di cui ci circondiamo e che sono fonte di ispirazione, sono sia quelle date dalla cinematografia di genere e ancora più quelle che provengono dalla cultura musicale di entrambi, la quale fa propria l’estetica fetish e BDSM: il punk, il post-punk, l’industrial, il noise e il dark con le loro varie sfumature; senza però dimenticare la mitica coppia dei Cramps, Poison Ivy ed Lux Interior, che del fetish ne hanno fatto un vero e proprio marchio di fabbrica. Insomma, tutte quelle correnti musicali più oscure e marce, che ci hanno formato e che fanno parte della nostra cultura.

no mercy mask + priestess collar + priestess wristbands

No mercy mask + priestess collar + priestess wristbands

cyclop mask

Cyclop Mask

Cosa vi ha portato a creare l’Atelier?
Federica: Atelier du Bizarre è nato sicuramente da un’esigenza: cioè ricreare accessori che avremmo voluto possedere, ma dai costi per noi assolutamente proibitivi.
Roberto era rimasto soprattutto affascinato dalle maschere di Bob Basset e Tom Banwell (i quali, nonostante nella loro produzione abbiano una connotazione nettamente più steam-punk, collaborano talvolta con stilisti d’alta moda, virando per tali occasioni, verso uno stile più fetish) ed aveva iniziato a disegnare ispirandosi sia a loro che ad altre realtà meno conosciute. Roberto, provenendo dall’accademia di belle arti, sapeva come ricreare su carta quello aveva in testa e riusciva perfettamente a riprodurre anche le cose che gli spiegavo avere io in mente. Dalla carta alla pelle il passo è stato breve e anche i primi prototipi avevano dato un risultato più che soddisfacente.
Io invece, dopo varie esperienze nell’ambito dell’abbigliamento come commerciante, arrivavo da un master in management della moda, seguito poi da varie esperienze sempre nell’ambito della moda, tra le quali è stata sicuramente più determinante e formativa, quella fatta nell’ufficio prodotto di Alexander McQueen, dove la componente fetish e sadomaso è sempre stata fondamentale e che mi ha segnato profondamente, sia dal punto di vista metodologico che da quello estetico.
C’è stato un momento quindi, che avevamo intuito che unendo le nostre competenze e talenti, potevamo non solo ricreare gli oggetti dei nostri desideri, ma anche, dare vita ad un’attività nostra. Poter magari un giorno vivere di ciò che amavamo fare: praticamente un sogno, insomma… soprattutto qui in Italia! Ma da bravi sardi, e quindi testardi e tenaci che siamo, non molleremo la presa sinchè non saremo perlomeno soddisfatti dei risultati ottenuti.

Ice devil harness + gynecological chair by AdB

Ice devil harness + gynecological chair by AdB

Il Divin Marchese e Justine, Histoire d’O – e potremmo citarne altri – sono costante riferimento per molti praticanti o semplicemente appassionati. Da dove nasce la vostra ispirazione?

Come dicevamo già prima, le nostre non sono ispirazioni specifiche, ma nascono dall’insieme della cultura musicale, letterale e cinematografica che ci accomuna: possiamo affermare che il nostro immaginario comune, si intreccia e trova delle costanti stilistiche, e che queste molto spesso riportano all’estetica BDSM. Per quanto riguarda l’aspetto visuale, ci sono sicuramente N. Araki ed E. Kroll, la video-arte di Inside Flesh e la pornografia di genere, come ad esempio le produzioni di Kink.com o Infernal Restaints. Parlando invece di pura cinematografia, i nostri riferimenti vanno sicuramente in una direzione molto più cruda e diretta rispetto ai film da te citati: Tokio Decadence di R. Murakami, , Rubber Lover di S. Fukui , Tetsuo di S. Tsukamoto, Videodrome e Crash di D. Cronenberg, giusto per citare i primi che ci vengono in mente. Film che ci coinvolgono, oltre che per la dimensione estetica data dagli oggetti/feticci che divengono parte integrante delle storie raccontate, anche per l’analisi che va a sondare gli abissi dell’animo, le più profonde e primitive pulsioni e perversioni che si annidano nella mente dell’essere umano.

fede-black-inferno harness + mask

fede-black-inferno harness + mask

La creazione di un oggetto implica – nell’ambito della produzione artigianale e di qualità – impegno e devozione estrema, oltre alle numerose collaborazioni artistiche. Tra queste abbiamo notato quella con l’Artista visivo Marco Malattia. Potete raccontarci come queste esperienze vi hanno arricchito e trasformato?

Roberto: La nascita di ogni creatura di AdB comprende diverse fasi. C’è una prima fase che è squisitamente immaginifica. Dopo averci scambiato l’intuizione iniziale che uno dei due o entrambi stiamo maturando (stando assieme anche come coppia nella vita, molto spesso ci capita di avere le stesse idee…), la fisso su carta con degli schizzi che poi danno vita ad una ricerca molto approfondita di immagini soprattutto tramite il web, ma anche tramite libri illustrati, mercatini dell’usato, ecc. che possano aiutarci a focalizzare, a visualizzare ciò che abbiamo in mente, dandoci così degli spunti per dare forma, nonché arricchire la creazione ancora alla stadio embrionale. Dopo di che, inizia la fase esecutiva con la ricerca di materiali e colori sia per la pelle che per la minuteria; poi passiamo alla creazione del prototipo, per valutare le possibili difficoltà ed ostacoli nella fase della realizzazione e studiarne le soluzioni ed infine, l’agognata nascita del prodotto finito.

Big Red Nose Mask

Big Red Nose Mask

Parlando poi di devozione, possiamo sicuramente dire che Atelier per noi è proprio come un figlio, a cui dedichiamo tutto il nostro tempo libero, le nostre disponibilità economiche e tutte le energie fisiche e mentali che ci rimangono in corpo (considerando anche il fatto che per poter portare avanti Atelier, abbiamo entrambi un secondo lavoro).
Le collaborazioni, invece, sono molto utili per uscire di tanto in tanto dal confronto intimo tra noi due e per re-introdurre la parte più sperimentale che ci ha caratterizzato sin dalla nascita del progetto. Le consideriamo infatti una preziosa occasione che funge da valvola di sfogo: un momento prettamente creativo, non indirizzato unicamente al mercato.
La nostra prima collaborazione è stata appunto con Marco Malattia, che è prima di tutto un nostro grande amico. A parte un’immediata corrispondenza di idee, c’è stata anche una complementarietà in senso estetico e pratico. Alcune sessioni fotografiche ed un video con le nostre maschere, firmati VLF, hanno suggellato l’inizio della nostra collaborazione. Dopo di che abbiamo fatto una maschera appositamente per lui, su sua richiesta e che talvolta usa nei suoi video. Tra le alte, non potremmo mai dimenticare l’esperienza, a tratti ascetica – Liguria. Agosto. Noi tutti che indossiamo maschere ed accessori vari di pelle -, che è stato il primo servizio fotografico ufficiale dei nostri prototipi e di cui Marco M. si è reso complice: è stato chiaro a quel punto che avremmo potuto affrontare qualsiasi cosa assieme!
La sinergia tra le competenze diverse che caratterizzano in generale il concetto di collaborazione è la vera crescita personale e professionale: vedere un risultato comune che si, si allontana dalle produzioni autonome, ma che contemporaneamente ne porta le tracce, è il compenso che tutti i “compagni di viaggio” si aspettano.
Ritornando all’idea di sinergia, un progetto altrettanto interessante è quello che stiamo portando avanti con Stefano Idili, mente ed organizzatore di Versatile, un appuntamento che ha sede in Sardegna e che da qualche anno, ha come principale protagonista la musica elettronica di altissima qualità, ma che si contamina anche con ricerche visual e performance che accompagnano l’intera durata dell’evento.
Quest’anno Atelier du Bizarre è stato scelto come partner nella promozione, fornendo materiale fotografico e video, che poi i bravissimi Luca Ciabatti e Gianfranco Fois della MouseADV, hanno rielaborato in modo del tutto in linea anche con la nostra estetica. Per le tre serate principali, che si terranno ad Alghero il 24-25-26 luglio, invece “officeremo” l’evento con delle performance che vedranno protagoniste le nostre maschere e dei costumi realizzati appositamente.

psycho evil red harness

Psycho Evil red harness

La cultura BDSM negli anni si è aperta ed estesa fino a raggiungere la cultura mainstream; dai libri, alle passerelle d’Alta Moda, alle serate tematiche, questa “sottocultura” ha sdoganato alcuni pass di accesso rendendo più fluida la comunicazione tra i due mondi. Cosa rispondereste a chi considera questa pratica, e stile di vita – nell’accezione più ampia del termine – “pericolosa” o “deviata”?

Partendo dal presupposto che nella pratica BDSM c’è sempre la consensualità delle parti coinvolte, per quanto ci riguarda non pensiamo che ci sia devianza in nessuna pratica sessuale dove sussista appunto la consensualità. Ovviamente c’è sempre un margine di pericolosità legata all’incoscienza e alla leggerezza con cui tanta gente si approccia a questa, come ad altre pratiche sessuali considerate “non convenzionali”. Onestamente quindi rispondiamo che si, è pericoloso nel momento in cui non si fanno i conti con le proprie carenze pratico/teoriche e che no, non c’è nulla di deviato fin che i “giocatori” sono consenzienti.
Per quanto riguarda il discorso legato alla moda invece, noi non riporteremmo tutto a questi ultimi anni, ma si potrebbe partire dai più eclatanti casi che iniziano a manifestarsi dalla metà degli anni ’70, con stilisti entrati a far parte successivamente del circuito del lusso e dell’alta moda: nomi come Vivienne Westwood, J.P. Gaultier e successivamente Alexander McQueen e Galliano, per citare i più famosi, ma con un sottobosco di studenti di moda e stilisti meno noti, che vanno avanti con l’autoproduzione…proprio come noi. Tutte realtà che proponevano e continuano a proporre accessori, a volte presi tali e quali dal repertorio BDSM, altre volte, reinterpretati ognuno con il proprio personale stile. Tutti questa folla di stilisti, designer, creativi più o meno conosciuti, sono strettamente legati per quanto riguarda l’immaginario e la cultura, ai generi musicali ai quali abbiamo fatto riferimento all’inizio dell’intervista. Il caso e la storia poi di V. Westwood fa scuola, essendo lei la partner e socia con M. McLaren – manager dei Sex Pistols – del negozio “Let it Rock”, chiamato poi nel ’74, non a caso “SEX; tutto questo proprio negli anni in cui iniziavano a farsi strada prepotentemente proprio i generi musicali di cui parlavamo sopra e dove sia i “seguaci” che i protagonisti di queste correnti, andavano ad acquistare abbigliamento e accessori/feticci in stile BDSM.

Red Plague Doctor Mask

Red Plague Doctor Mask

Nel percorso dell’esistenza tutti ricopriamo un ruolo, e nel BDSM questo aspetto è potente e marcato rispetto alle cosiddette pratiche “regolari”. Il gioco e il ruolo vengono definiti all’inizio – secondo il Safe, Sane, Consensual (SSC), e l’Atelier ci accoglie nel suo paese delle meraviglie, attraverso forme evocative di estrema bellezza. Quali sono i vostri progetti futuri e le nuove collaborazioni?

Una collaborazione appena avvenuta è stata fatta con la performer Tiger Orchid. Abbiamo creato apposta una maschera per l’occasione che ha indossato alla serata della data italiana del Torture Garden a Roma. E’ stata una grande soddisfazione ed onore, vedere una creazione di Atelier indossata da una delle principali performer dell’evento, in un appuntamento così importante per la comunità BDSM. Questa è stata l’ultima collaborazione in ordine cronologico.
Poi, oltre al più prossimo e vicino appuntamento con Versatile, per il futuro ci sono diverse cose in cantiere, sia con realtà già rodate e consolidate, che con “nuovi compagni di viaggio”. Per correttezza e anche per scaramanzia, non vi sveleremo i particolari ed i nomi delle realtà coinvolte…. Diciamo solo che molte di questi progetti, sono legati al mondo della musica: ciò anche per ribadire la preferenza ed il nostro forte coinvolgimento con questo universo.

Grazie Federica e Roberto, e parafrasando Videodrome di David Cronenberg: “Lunga vita alla nuova carne“.

Psycho Evil red harness Mask

Psycho Evil red harness Mask

Letteratura e prigionia: dal Marchese De Sade a Oscar Wilde


L’arte in ogni suo aspetto, intesa come pura forma di comunicazione umana, non è solo un’espressione di bellezza o della sua ricerca; è anche sofferenza, paura, drammi irrisolti, malinconia. È un percorso spirituale che non si ferma alla conoscenza della tecnica, o all’allenamento, o al talento. E non può concedersi pause. Esistono molti tipi di dolore, tutti molto diversi e impossibili da mettere sullo stesso piano, così come lo sono gli artisti e le loro forme di espressione.

In una società tesa verso la standardizzazione degli uomini e le cose, un simile percorso è quasi un affronto; ma, al tempo stesso, è proprio la sua volontà livellatrice a spingere l’artista a fare il suo percorso, rendendosi così necessaria al suo svolgimento, facendosi parte attiva nella sofferenza dell’artista. È “nemica”, sì, e proprio per questo indispensabile.

Riflettendo sulla società nemica e, per contrasto, creatrice d’arte, si possono mettere a confronto due esempi estremi di soppressione socialmente approvata e delle sue conseguenze: l’esperienza in carcere del Marchese Donatienne Alphonse François De Sade e di Oscar Wilde, condannati rispettivamente per libertinaggio e sodomia, raccontata dagli stessi autori in forma di lettera.

D.A.F. De Sade a Vincennes

“Quando una detenzione deve essere lunga come la mia, non è un’autentica infamia accrescerne l’orrore con tutto ciò che piace a vostra madre di inventare per moltiplicare i miei tormenti? Non basta esser privati di ogni cosa che rende la vita dolce e piacevole, non poter neppure respirare l’aria del cielo, vedere quotidianamente ogni nostro desiderio spezzarsi contro quattro mura, non basta passare giorni dopo giorni in tutto simili a quelli che ci aspettano quando saremo nel sepolcro? Questo orrendo supplizio non basta, secondo quella creatura terribile: bisogna ancora aggravarlo con tutto quello che è possibile immaginare per raddoppiarne l’orrore. Solamente un mostro, confessatelo, può essere capace di spingere ad un tale eccesso la sua vendetta…”

[Lettera di De Sade alla moglie, 20 febbraio 1781]

Vittima di un piano diabolico della suocera, la “presidentessa” Madame de Montreuil, De Sade finì nel carcere di Vincennes, dove avrebbe passato molti anni della sua vita, e in cui avrebbe visto la luce il Marchese conosciuto ai più. Questa trasformazione umana e spirituale è visibile e chiara nelle lettere scritte dal Marchese in quegli anni, indirizzate principalmente alla moglie e alla suocera. L’ingiustizia della propria condanna, l’insofferenza verso la propria vita da detenuto, i continui pensieri tormentosi sull’infelicità della propria condizione formarono il nuovo De Sade, sia a livello umano che letterario e filosofico.

Il bene per me costituisce uno stato di fastidio e malessere, per cui non domando di meglio che di rimanere immerso nel mio brago, in cui mi beo. […] Si presentano mille occasioni in cui tollerare un male può evitare un male peggiore: ad esempio, chissà quale pensata sublime credete di aver fatto riducendomi alla più feroce astinenza sul peccato della carne; ebbene, avete sbagliato, raggiungendo l’unico scopo di riscaldarmi il cervello e di spingermi a dar forma a certi fantasmi che un giorno dovrò realizzare.”

[Lettera di De Sade alla moglie, luglio 1783]

De Sade e i suoi "fantasmi"

De Sade e i suoi “fantasmi”

Fu in questi anni di detenzione, diviso fra i sentimenti d’amore per la moglie e l’odio feroce per la suocera, che De Sade completò “Dialogo fra un prete e un moribondo” e la prima stesura sia delle “120 giornate di Sodoma” che di “Justine”.

Seguendo il corso delle sue lettere, troviamo i passi che lo hanno condotto lungo il cammino della sua battaglia contro l’uomo in ogni sua forma esistente e ai temi che avrebbe ripreso appunto nelle sue opere: nel Dialogo ritroviamo l’estremo contrasto fra il libertino morente e il prete, che possiamo identificare rispettivamente come De Sade e la sua visione dell’uomo in genere: ottuso e facilmente corruttibile.

Nelle “120 giornate”, invece, ritroviamo il tema della reclusione: quella volontaria per i quattro libertini della storia, quattro dei “fantasmi” citati nella lettera di luglio del 1783 – liberi di allontanarsi dalla società per dedicarsi alla propria lascivia, determinati a porre un limite eterno ai contatti esterni – e quella forzata dei servi, sacrifici da offrire alla libertà dei potenti.

È chiaro il desiderio di invertire la situazione che il Marchese sta subendo: dove lui è vittima di un complotto, calunniato, imprigionato e messo a tacere, nel romanzo è signore e padrone incontrastato, diviso nei volti dei protagonisti; dove nella vita vita vera i suoi persecutori, gli altri, sono liberi di decidere della sua vita, nel romanzo non hanno potere neanche sulla propria.

La prigione ha, in un certo senso, “liberato” il De Sade letterario. Leggendo le sue lunghe lettere dalla prigione, chiara testimonianza del percorso spirituale che questa gli ha imposto, è possibile vedere il “semplice” aristocratico libertino trasformarsi nel Filosofo De Sade, l’infaticabile narratore della perversione, teorico della distruzione, conoscitore del buio profondo che agita l’animo umano.

Oscar Wilde nel carcere di Reading

Il mio solo errore fu di limitarmi esclusivamente agli alberi del lato soleggiato del giardino e trascurare gli altri del lato ombroso e triste.

Insuccessi, infamia, povertà, dolore, disperazione, sofferenza, le lacrime persino, le parole spezzate che mormorano le labbra di chi soffre, il rimorso che costringe a camminare sui rovi, la coscienza che condanna, l’umiliarsi che avvilisce, la miseria che ricopre i suoi capelli di cenere, l’angoscia che si avvolge nell’abito di sacco e versa fiele nel suo bicchiere: tutto ciò mi spaventava. E così come avevo deciso di non conoscerne nessuna, fui poi costretto ad assaporarle tutte, a una ad una, a nutrirmene, a non avere altro cibo all’infuori di esse per un’intera stagione della mia vita.

Neppure per un attimo rimpiango di aver vissuto per il piacere. Ho vissuto per il piacere fino in fondo, poiché tutto ciò che si compie lo si dovrebbe compiere fino in fondo. Non ci fu piacere che non sperimentai. Gettai in una coppa di vino la perla della mia anima. Scesi il sentiero fiorito al suono dei flauti. Vivevo nutrendomi di miele. Ma continuare a vivere la stessa vita sarebbe stato un errore, perché mi avrebbe limitato. Dovevo andare oltre.

Anche l’altra metà del giardino aveva dei segreti per me.

[Lettera di Oscar Wilde ad Alfred Douglas, 1897]

In una situazione curiosamente simile sotto certi aspetti si ritrovò Oscar Wilde, che nel carcere di Reading compose “La ballata del carcere di Reading” e una delle sue opere più famose, il “De Profundis”: un’altra lunga lettera, altra testimonianze dal vivo dei cambiamenti interiori dell’artista in condizioni di prigionia, in cui si narra di un’altra cocente ingiustizia e di una trappola tesa ai danni dell’artista stesso. Trappola tesa, nel caso di Wilde, dal padre dell’amico Alfred Douglas, che lo avrebbe fatto arrestare per sodomia.

Oscar Wilde ed Alfred Douglas

Oscar Wilde ed Alfred Douglas

A differenza di De Sade, però, la prigionia arrestò quasi del tutto la produzione letteraria di Wilde, che morì in miseria tre anni dopo la scarcerazione. Le sole due opere sopracitate che hanno visto la luce in quegli anni sono considerate il capolavoro ultimo di Wilde, le sue opere più ricche e complete, piene di tragica consapevolezza del sé.

Non ci è dato sapere se, vivendo più a lungo e scampando alla miseria, Wilde avrebbe continuato a scrivere o se la prigione gli avesse dato o tolto troppo per continuare a scrivere. Non a caso, forse, a poco meno di un anno dalla morte, disse: “I wrote when I did not know life; now that I do know the meaning of life, I have no more to write.” [Scrivevo quando non conoscevo la vita; ora che ne conosco il significato, non ho più niente da scrivere]. Il quasi assoluto silenzio letterario di Wilde può essere interpretato in molti modi diversi, quasi sicuramente tutti sbagliati; ma si può apprendere molto dalle lettere raccolte nel De Profundis, in particolare nell’ultima parte, dove Wilde saluta Douglas con una rinnovata consapevolezza:

Ciò che mi si spiega davanti a me ora, è il mio passato. Devo riuscire a guardarlo con occhi diversi, devo costringere anche il mondo, devo costringere anche Dio a farlo. Ma ciò non può avvenire se ignoro il mio passato, o lo riduco, o lo lodo, oppure lo rinnego. Potrà avvenire solo se lo accetterò come parte inevitabile dell’evoluzione della mia vita e del mio carattere: chinando il capo di fronte a tutto quanto ho patito. Ma come io sia distante dalla vera essenza dell’anima te lo dimostrerà assai chiaramente questa lettera, nei suoi umori mutevoli e incerti, nel suo sdegno e nella sua amarezza, nelle sue aspirazioni e nella sua incapacità a realizzarle. Non dimenticare in quale terribile scuola io sto svolgendo questo compito.

E, per quanto incompleto, imperfetto io sia, tuttavia da me puoi avere ancora molto da imparare. Venisti da me per conoscere i piaceri della vita e i piaceri dell’arte. Forse io sono destinato a insegnarti una cosa assai più splendida: il significato del dolore, la sua bellezza.”

[Lettera di Oscar Wilde ad Alfred Douglas, 1897]

Daniela Montella

Ps: mi si può obiettare che quella di De Sade non è arte; l’uso della parola, in questo caso, può considerarsi sconsiderato. Tengo quindi a precisare che, per me, De Sade è un filosofo; e, per me, la filosofia è una forma d’arte.

Le citazioni del Marchese de Sade sono tratte da “Lettere di Vincennes e dalla Bastiglia”, ed. Classici dell’Eros, a cura di Luigi Baccolo
Le citazioni di Oscar Wilde sono tratte da “De Profundis”

La biblioteca delle meraviglie di Bizzarro Bazar


Angela Carter
LA CAMERA DI SANGUE
(1984-95, Feltrinelli, f.c.)

Femminista innamorata del simbolo, del mito e del fiabesco barocco, Angela Carter è stata una delle voci più distinte e originali della letteratura britannica del Novecento. I suoi romanzi e racconti vengono talvolta inseriti nella vaga definizione di “realismo magico”, in ragione dell’irruzione del fantastico nel contesto realistico, ma la scrittura della Carter unisce alla piacevolezza dell’affabulazione una complessa stratificazione di rimandi culturali che la avvicinano per certi versi al postmoderno. Non fanno eccezione queste fiabe classiche, rilette dalla Carter alla luce di una sensibilità moderna che ha metabolizzato stimoli distanti ed eclettici (la tradizione orale, i maudits francesi, Sade, la psicanalisi, ecc.).

Le favole reinventate ne La camera di sangue (fra le altre, Cappuccetto Rosso, Il gatto con gli stivali, la Bella e la Bestia, ecc.) sono di volta in volta crudeli, comiche, inquietanti o suggestive, ma sempre costruite alla luce di una particolare ironia che ne esalta i sottotesti sessuali o sessisti.

Il femminismo di Angela Carter, per quanto radicale, non è certamente manicheo ma pare anzi ambiguamente affascinato dalle figure maschili oppressive e dominanti (davvero esclusivamente per “denunciarle”?). In questo senso la vera e propria perla di questa antologia rimane il racconto d’apertura che dà il titolo alla raccolta, una rilettura libera della favola di Barbablù. La raffinatezza della descrizione dei sentimenti della sposa-bambina “acquistata” e segregata dal marito-orco è tra i punti più alti del libro: l’attrazione e la repulsione si confondono in modo quasi impercettibile nell’insicurezza virginale della protagonista. La prima notte di nozze avviene in una imponente camera del castello in cui il marito ha fatto istallare una dozzina di specchi – indicando la folla di ragazzine riflesse, esclama soddisfatto: “Guarda, me ne sono procurato un intero harem!”. Poi la deflorazione, ed ecco che con l’arrivo del sangue si disvela la maschera della sessualità come aggressione; sarà sempre il sangue a guidare come un filo rosso la protagonista alla scoperta del vero volto dell’assassino collezionista di mogli; e il sogno idilliaco si trasformerà in incubo proprio con l’apertura della porta proibita, la segreta del nero desiderio maschile, fatto di crudeltà e dominazione.

Jacques Chessex
L’ULTIMO CRANIO DEL MARCHESE DI SADE
(2012, Fazi Editore)

Il libro postumo di Chessex esce in Italia a quasi tre anni dalla morte dell’autore svizzero, avvenuta per attacco cardiaco nel corso di una conferenza. E L’ultimo cranio ha certamente qualcosa di profetico, perché parla di uno scrittore che sta per morire: si tratta del famigerato Donatien Alphonse François de Sade, quel “divino marchese” che con il passare del tempo diviene una figura sempre più centrale nella cultura occidentale. La prima parte del romanzo racconta gli ultimi mesi di vita di Sade rinchiuso nel manicomio di Charenton, ormai minato nella salute a causa dei continui eccessi. La sua agonia è lenta e dolorosa: proprio lui, che ha passato gran parte della sua vita in cella, è ora costretto a fare i conti con un’altra prigione, quella della carne che va disfacendosi. Emorragie, coliche, tosse asmatica, obesità e sincopi lo rendono ancora più blasfemo e intrattabile del solito. In preda a uno sconfinato cupio dissolvi, Sade è ormai maniacalmente ossessionato dalle sue dissolutezze. La seconda parte del romanzo traccia invece la storia del suo cranio, che attraversa l’Europa e i secoli ritornando in superficie di tanto in tanto, e portando con sé un’aura magica di malvagità e sciagure. Come una vera e propria reliquia al contrario, il cranio diviene il simbolo beffardo di un ateismo che ha bisogno di martiri e di santi tanto quanto le religioni che disprezza. Questa duplicità rimanda evidentemente al celebre saggio di Klossowski Sade prossimo mio, in cui l’autore sottolinea più volte che l’ateismo del Marchese aveva necessità di una religione da vilipendere, e in definitiva anche il Sade di Chessex brucia di furia sovrumana, quasi divina. L’ultimo cranio, nonostante le accuse di pornografia e immoralità (oltre al sesso, il libro contiene anche qualche blasfemia esplicita), sorprende per la sostanziale pacatezza del linguaggio e i toni riflessivi che contrastano con la rabbia del protagonista: Chessex compone qui una misurata e matura vanitas, che ci parla della dissoluzione finale da cui non può scappare nemmeno un animo indomito.

Proprio perché l’uomo è solo, ha così terribilmente bisogno di simboli. Di un cranio, di amuleti, di oggetti di scongiuro. La consapevolezza vertiginosa della fine dell’individuo nella morte. A ogni istante, la rovina. Forse bisognerebbe considerare la passione per un cranio, e singolarmente per un cranio stregato, come una manifestazione disperata di amore di sè e del mondo già perduto“.

di Bizzarro Bazar

http://bizzarrobazar.com/