Sara Iayafly Spano


 

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Nata a Sassari nel 1983 e dopo il diploma in grafica pubblicitaria e fotografia, all’età di 20 anni, frequenta il corso triennale di fumetti alla scuola Internazionale di Comics a Roma. Dopo alcuni primi tentativi di pubblicazione su Skorpio e su una piccola casa editrice americana “Yaoi press”, viene successivamente presa come storyboard artist, colorkey artist, character design in Rainbow CGI per i film “Winx-il segreto” del regno perduto e “Winx-Magica” avventura e per “I Gladiatori di Roma”, dove affina le capacità di illustratrice, e colorista. Subito dopo collaborerà anche con Mondadori per la realizzazione di alcune cover di libi per ragazzi, tra cui la trilogia di “Robin” dove creerà l’intera grafica della saga. Contemporaneamente lavora ad alcuni progetti di fumetto come colorista per la casa editrice francese Glénat e inizia la sua attuale collaborazione con De Agostini per la creazione delle collezioni de “I Magiki”. Attualmente, oltre a continuare le collezioni dei Magiki per De Agostini, lavora come colorista per Disney America e Disney Pixar su fumetti e libri illustrati per ragazzi di film come Inside Out e Frozen, oltre a lavorare a progetti personali come autore di fumetti completo, ancora in corso d’opera.

Benvenuta su WSF Sara
Grazie, è un piacere e un onore poter essere intervistata da voi.

Come Iayafly descriverebbe Sara Spano. Come donna, madre e artista?

Non la capirebbe granché, perché Sara è estremamente contradditoria come donna. Potrebbe giudicarla scostante, ma anche estremamente disciplinata, o molto insicura di sé e a tratti molto consapevole dei suoi pregi. Sicuramente la descriverebbe come ancora in cerca del suo equilibrio interiore e inspiegabilmente altalenante nell’umore.
Come madre direbbe che è una continua sorpresa, perché Iayafly, da quel poco che sapeva, era a conoscenza del suo totale rifiuto di volere figli. Sara immaginava di non essere portata a fare la mamma e che i bambini in generale non le piacevano granché. Accudire prole era un concetto troppo lontano da lei, insensato. E invece Sara non solo ha avuto un bellissimo bimbo di nome Icaro, ma si è rivelata una madre attenta, innamorata di suo figlio, e a suo agio con questo ruolo così dolcemente irreversibile.
Come artista è un dilemma, riesce a campare modestamente bene con questa sua passione per il disegno, è orgogliosa di poter lavorare in aziende in cui da ragazza non avrebbe nemmeno sognato, è fiera del traguardo che ha raggiunto e la fiducia che molte aziende importanti continuano a darle. Ma sente di non stare ascoltando attentamente la sua voce interiore, la fanciullina che smaniava per i fumetti, che avrebbe voluto raccontare le sue storie. Vedi, io vorrei aiutarla a realizzare finalmente un progetto suo, ma deve trovare il coraggio o l’incoscenza di fregarsene se non piacerà al fitto e severo mondo della “critica”del fumetto, perché questo mondo, da quando ha iniziato a frequentare la scuola internazionale di comics, la terrorizza. Ma ce la farò a farle capire che questo salto lo deve fare, che deve attraversare la sua paura e liberarsi.

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Quando e come nasce il tuo percorso artistico?

Fin da quando ero molto piccola, non ho mai smesso di disegnare. Non avevo molti amici perché non ero molto brava nelle relazioni sociali. Quindi preferivo rimanere a disegnare a casa, perché la compagnia della mia fantasia mi divertiva davvero molto di più che cercare un confronto col mondo reale. Dicevano che avevo talento, ma credo che oltre ad una predisposizione di base ci voglia molta solitudine per coltivare qualsiasi talento. Ovviamente divoravo fumetti, ma non potevo permettermente tanti, riuscivo a comprarli solo raccimolando i soldi della merenda di scuola. Il fumetto che più mi ha fomentato l’ho letto a 14 anni, mi regalò alcuni numeri il figlio di mia madrina, si tratta di Alita di Yukito Kishiro ( titolo originale “Gunmm” la prima serie, il seguito l’ho particolarmente disprezzato, non lo considero parte della storia). Ho avuto sempre una predilizione per questo genere di manga cyberpunk particolarmente cruenti, quindi ho allargando i miei orizzonti sempre nei limiti delle mie disponibilità economiche, successivamente con Akira di Katsuhiro Otomo, e la sua trasposizione cinematografica. E da qui anche Ghost in the shell il film, che mi ha dato modo di “sbavare” su animazioni da paura, tanto da farmi balenare l’idea di intraprendere la carriera di animatore. Ma i corsi erano pochi e sopratutto inaccessibili per chi non ha molte risorse economiche di famiglia, quindi sono rimasta nei ranghi del fumetto, che comunque adoravo, ma che a conti fatti avrei potuto accedere al corso pagandomelo da sola con dei lavori estivi.

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Che cos’è per te il fumetto e l’illustrazione?

Sono il mio mondo, la mia lingua e il mio pane.

Cos’ha dato e cos’ha tolto la colorazione digitale?

Ha dato tempo in più per altro, perché è molto più veloce e economica del “tradizionale”. Ha tolto la disciplina che ci vuole per cimentarsi tecniche antiche, complicate e dai tempi estremamente lunghi. Ma non credo che la colorazione digitale sia “facile”, solo più veloce per chi ha imparato ad usarla.

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Quali autori hanno maggiormente influenzato il tuo percorso artistico?

C’è una lista infinita, da Claire Wendling a Barbara Canepa. Da Marko Djurdjevic a Otto Schmidt… ma sono solo alcuni che adoro e studio in continuazione…

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Da dove trai ispirazione nella creazione dei tuoi lavori?

Dipende dai lavori. Se sono lavori richiesti da un cliente ben definito di solito mi da lui la direzione con ispirazioni generali forniti come reference. Altrimenti sono film, musica, pippe mentali su situazioni varie che non riesco bene a definire.

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A quale progetto ti senti più legata e perchè?

Gengis Khan edito da Glénat, dove ho esordito come colorista. A rivederlo adesso ci trovo una concezione molto claudicante del colore, ci rimetterei mano mille volte. Ma è stata la prima volta che ho fatto un lavoro del genere e mi sento molto affezionata a questo progetto.

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Quanto ti ha arricchito l’esperienza presso il Rainbow CGI e che ricordo ne hai?

Non mi ha arricchito, è stata una vera e propria svolta. Dico solo che prima di allora non avevo idea di come si interagisse in un team di persone, come si potesse mandare avanti qualcosa come uno storyboard, colorkey e compositing. Tutte cose che ho imparato in questa azienda, che mi ha fatto proprio da genitore. Ho un ricordo meraviglioso, nonostante le notti insonni cercando di consegnare scene del film, dei sacrifici che abbiamo fatto tutti per riuscire a fare qualcosa che ancora l’Italia si sogna, creare film con l’animazione 3D. Ho lasciato proprio un pezzo di cuore in quell’azienda.

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Secondo Orozco il murales “è la forma più alta, logica, pura e forte di pittura, è anche la più disinteressata, perché non può essere convertita in oggetto di lucro personale né nascosta a beneficio di alcuni privilegiati. Essa è per il popolo, è per tutti.” Che cos’è stato per te dipingerlo?

Dipingere murales è stato per me in passato un modo per raccimolare dei soldi per la scuola di fumetto, li realizzavo nelle case di chi me li commissionava. Non posso nascondervi che è solo per questo motivo che mi ha fatto avvicinare a questa arte e mi è capitato poche volte da adolesciente di crearli sui muri in per strada. Mi affascinava parecchio come modo di espressione artistica, ma non ne sapevo abbastanza per arrogarmi il diritto di filosofeggiarci troppo su. Conoscevo personalmente chi lo faceva per espressione di rivolta popolare e di sfogo artistico “pubblico”, ma non sono mai entrata veramente in questo mondo. Poi è anche capitato di farlo per una scuola elementare, con circa 150 piccoli aiutanti (gli alunni). Mi sono divertita parecchio. Solo questo posso dire…mi dispiace!

Poco tempo fa James O’Barr in un’intervista ha detto: “se a 40 anni ti frega ancora di cosa succede agli X-Men, forse dovresti farti vedere da un bravo psicanalista”, qual è la tua opinione in merito?

Che a me fregherà cosa succede agli X-Men anche a 40 anni. Ma sono ben altri i motivi per cui mi serve un bravo psicanalista…

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Cosa apprezzi e cosa cambieresti dell’attuale sistema fumetto?

Apprezzo il calore e l’amicizia che si instaura tra colleghi. Ma parallelamente vorrei far sparire la cattiveriache invece ne dimostrano altri, per fortuna molto pochi, anche se possono essere la spinta per migliorare. la sfida. Ma se potesse sparire la cattiveria non piangerei calde lacrime. Ma è utopia. Nella pratica forse molti più editor con l’occhio lungo sul talento, e non solo sul curricuuim di un fumettista.

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Cosa puoi anticiparci sui tuoi fumetti ancora in corso d’opera?

Che ci saranno almeno due miei progetti a fumetto personali in futuro, uno di questi concreato con la mia dolce metà Davide La Rosa. Non posso dire altro.

Grazie Sara

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Christian Humouda