Delta E è uguale a 0 (6 Aprile 2009)


« C’è un fatto, o se volete una legge, che governa i fenomeni naturali sinora noti. Non ci sono eccezioni a questa legge, per quanto ne sappiamo è esatta. La legge si chiama “conservazione dell’energia”, ed è veramente una idea molto astratta, perché è un principio matematico: dice che c’è una grandezza numerica, che non cambia qualsiasi cosa accada. Non descrive un meccanismo, o qualcosa di concreto: è solo un fatto un po’ strano: possiamo calcolare un certo numero, e quando finiamo di osservare la natura che esegue i suoi giochi, e ricalcoliamo il numero, troviamo che non è cambiato» (La fisica di Feynman, Vol. I, Richard Feynman)

Il foulard legava il mio polso al suo, con una annodatura tanto stretta da farmi sentire il cuore pulsare nella mano mentre procedevamo lenti, a tentoni, nell’oscurità del parco. Avvicinavamo i nostri volti pallidi di fiamma accendendo ciecamente sigarette che fumavamo snaturati, siamesi dai ritmi variabili, non sempre sincroni, ce la passavamo con la cautela tenera dei menomati. <<Devo pisciare>> disse ad un tratto scoppiando sguaiatamente a ridere. Anch’io risi. <<Prego>> e mi scottai le dita, il braccio libero steso a stento, contrito come un’aluccia rotta, col polso torto e il mozzicone piccolissimo e furente fra l’indice e il medio. La scintilla cade, scende perpendicolare nel formicolio del buio, sul dettaglio immaginario delle unghie dei malati psichici, nelle fosse presagite con lo scavo di buchette tutt’intorno. Fossimo stati noi, pensavo io, piccoli e irrequieti come bimbi problematici;  giuochi di terra e anellidi, indaffarati come i canidi, agiti da una fantasia crudele e vivida e senza permissioni, né col perdono assolutorio da concedersi agli acerbi, a chi è in età più verde. Inizi a capire davvero mentre lignifichi nel corpo e l’aghifoglia sempreverde mi sembrava consolante emblema, al manicomio “Collemaggio”. Sentii dai movimenti vaghi del suo fianco contro il mio, la confusione che la sosta dovette procurargli; le pause del respiro che attenevano la consona formulazione di una frase. Cambiò argomento. Sorrisi per incoraggiarlo, ma me ne accorsi solo io.

F=ma Si tratta della formula fondamentale della dinamica. Si erge su tutte le altre e si misura con un nome illustre, come spesso accade nella fisica e nell’analisi matematica. Ho vagliato molte stringhe, la realtà fenomenica compattata in numeri questa però ha una valenza spirituale e allegorica nella proporzionalità diretta fra il motore e l’incremento di velocità

C’è un coefficiente è quella m F ed a sono vettori modulo, uno scalare quindi, la commensurabilità una direzione e un verso

Nella geometria i vettori sono determinati da un punto di applicazione A e uno finale, che puoi chiamare B i quali punti individuano una retta

Ora, la retta è per sua natura infinita il modulo rende la finitudine e consente il paragone

F=ma è una proclamazione di stato transitorio, avente in sé gli elementi finiti dell’esistenza terrena, dell’umanità coi suo attributi di imperfetto richiamo all’infinito e quel coefficente corporeo è un potenziale moltiplicato per l’accelerazione si traduce in forza lavoro in energia…

Il silenzio della luna piena. L’erba era alta, fuori sentiero incrostata di chiocciole e zecche

Un terremoto provoca due tipi di onde e di propagazione dell’energia all’ interno della Terra.

In superficie: latrano estratti vivi.

 Garrese chinato davanti al macello.

Tese d’acqua che sembrano espanderci i toraci molli, come calamari farciti di intromissioni radiofoniche stridenti e militari in marcia verso i cumuli ritorti delle case crollate. Calco la polvere ostentandomi al sole sempre più fioco nel fuoco dei roghi, tenendo nella mano l’ammasso cellulare palpitante, abortiva, che insanguina di un rivolo la verticale delle braccia sollevate a catafalco; folla di menti e gomiti, pregna di fiati concimanti d’urla. Mezzo di marcia carnanza, la fiumana fruscia e rumoreggia e ingrossa, attonita e complessa di compressioni roboanti, conciate corpulenze semivive e sacche addominali appesantite senza scarico. Issata rigida, oltre un ventaglio di dita bruliche, la creaturina diventa meno solida e sembra che si squagli saponando di calore grasso morbido, giallastro di tessuto connettivo, filamentoso, elastico. Ci si disperde. Corro.  Corro negli ospedali, sbatacchio le pareti di corridoi bianchissimi, cupi, notturni, ma coloriti di lanternine ad olio e ceri. Sporgendo ad alte porte, e bianche pure loro, la sudditanza degli stati interessanti silenziosi. Mite papalina d’orbita convessa e rilucente: la prima maniglia a tiro, tiro e tiro e ritiro inorridita dai lettini addossati contro al muro, barchette in una insenatura, senata, fra le crepe. I materassi singoli stanno appiccicati fra di loro con dei lenzuoli colorati che sembrano la mia trapunta da neo-universitaria, tirati sin sopra la testa, sui fusi stesi, e con al centro d’ogni d’essi un vasettino basso, sopra l’ addome sfiato, plastica e spugna verde infilzata dai fiori recisi, da camera ardente battesimo o festa. Conosco ognuno. La colpa del sopravvissuto. Mi sveglio. Fuoriesco. Esco. Mentre passeggio scorro crepe laterali sul soffitto nei portoni vuoti e gli interstizi sprofondati sulle scale che imbruniscono veloci. Sono passati anni. Delicate e pressanti le note si sommano. Nella fusione della momentanea dissonanza, eccoti, riesco a coglierti nell’interezza d’un secondo d’asma. Primo semestre da aspiranti ingegneri: in primo piano, vicino, legato a me, ma debole contro lo sfondo buio. La voce è così vaga che divaga, diventa mia:

∆E=0 Esiste però un altro principio è il principio della conservazione dell’energia totale

Premetto: questo principio non è assiomatico nel significato matematico del termine è tuttavia l’assioma principe nella meccanica, nella termodinamica, nell’elettrostatica ed è stato ricavato in maniera induttiva attraverso una moltitudine di prove empiriche

E’ verità

In un sistema isolato, il quantitativo energetico non può subire mai variazioni. E l’universo tutto può essere considerato un sistema chiuso. Se l’universo è un sistema chiuso, nulla vieta di includere l’oltremondo inteso come ulteriore guscio

Da qui l’immortalità

Esistono forze dissipative come l’attrito, ma non incidono Esiste la decomposizione corporea, forma analoga, la quale elidendo la m renderebbe inservibile il principio fondamentale della dinamica newtoniana

E’ la limitazione cardine eretta fra credenti e non. L’ energia è però intangibile e non si deteriora.

Mentre le forze dissipative ledono una misura fisica incrementandone un’altra, l’energia è intoccabile.

La si può chiamare anima.

La mutevolezza del pensiero di un individuo, l’imperfezione, cessa eliminando la massa; e quanto resta, la forza, ha proprietà di propulsore eterno

Un’equazione di equilibrio tanto perfetta non può essere scardinata

Pochi superstiti attardano in un brusio debilitato dal disfacimento stanco. Gerbida, congestionata e asciutta, lesa da un rimorso irrimediabile, arresa come un campo, ti stringo, adesso con le braccia chiuse in croce.


Dedicato alle 309 vittime del devastante terremoto che in questa data, sei anni fa, colpì l’area dell’aquilano. Agli amici perduti per sempre; alle famiglie di quei ragazzi che, come me, si trovavano a L’Aquila per costruire il proprio futuro. Un futuro che non avranno mai.


Simona Di Profio (Le immagini sono cliccabili e rimandano alla pagina dei rispettivi autori)

 

Voci nuove: Intervista ai Laguna


Su Words Social Forum torniamo ad occuparci delle ultime uscite musicali, prediligendo i più interessanti lavori emergenti dall’intricato dedalo dell’ underground made in Italy. Oggi abbiamo il piacere di presentarvi i Laguna.

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I Laguna nascono nel 2013, in Sicilia. Il loro intento è <<esplorare, attraverso un metal melodico e decadente, un immaginario cupo e surrealista.>>
Ma partiamo dal principio: come nasce e riceve il suo battesimo il progetto?

Come ogni band che si rispetti, trovare il nome è stato un problema. Laguna è il personaggio di un videogioco (Final Fantasy VIII): non è novità per Gabriele e Gioacchino proporre nomi legati al mondo dei videogames alle loro formazioni musicali. Il nome è piaciuto a tutta la band perché comunica due elementi cari al nostro immaginario: lo stato liquido e il mistero. In parole povere: ci piacciono gli acquitrini stagnanti.

Lo scorso 27 febbraio, avete debuttato con la vostra prima pubblicazione dal titolo: “Inside Panopticon EP“; una scelta molto suggestiva che immediatamente contestualizza l‘introA Dark Lane” in un locus spazialmente definito pur nella sua assenza di concretezza, carico e infestante come la stratificazione di un campo elettromagnetico…
Oltre ad essere un Extended play, potreste definire “Inside Panopticon” anche come un piccolo Concept Album?

Non è stato pensato per esserlo, ma a volerlo analizzare, tutti i testi dei brani hanno un elemento in comune: la prigionia. Quindi sì, è un piccolo Concept Album inconsapevole.

Noi di Wordsocialforum.com diamo molta importanza al processo creativo legato alla parola. Di cosa parlano i testi del disco? Avete subito l’ascendenza di qualche riferimento letterario?

Ci piace scrivere testi come se fossero micro-storie. Non riguardano elementi di vita vissuta dai componenti, né intendono essere esplicitamente critici verso qualcuno o qualcosa. La formula da noi adoperata consiste nel raccontare una storia suggestiva, che non si spieghi del tutto, ma che lasci all’ascoltatore la libertà di completarla con la propria immaginazione. È “micronarrativa” cupa e surreale. Ci illudiamo di poter trasmettere il senso di disagio che si avverte giocando a videogiochi horror psicologico o guardando un qualsiasi film di David Lynch.

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Mistery Man: Perturbante personaggio del film Lost Highway diretto da David Lynch

Bob: entità maligna della serie tv statunitense “Twin Peaks”, ideata da David Lynch e Mark Frost

The Host parla di un ospite, un aguzzino all’ interno del proprio corpo; Aurora racconta la fuga di due persone da una struttura sorvegliata da cani, attraverso un buco nel muro; Panopticon, che da il nome all’EP, parla di una prigionia ingiustificata e di incontri allucinati.
Non c’è un diretto riferimento letterario nelle nostre canzoni, ma riteniamo Franz Kafka e Dino Buzzati due autori che contribuiscono alla creazione dell’immaginario e dell’atmosfera che ricerchiamo.

Da amante nostalgica di “Twin Peaks”, sono rimasta piacevolmente colpita dalle vostre ispirazioni cinematografiche: David Lynch in testa, con il felice seguito di Angelo Badalamenti e, a poca distanza, BOB. E poi ancora, per quanto concerne l’ambito video-ludico: “Silent Hill” e Akira Yamaoka… nomi che rimandano ad un colore molto vicino a quello del lyrics video di “Aurora“. Come si combina la componente culturale di ciascuno di voi con la vostra musica?

Per alcuni di noi Twin Peaks è un culto! Il comparto contenutistico delle canzoni è totalmente frutto delle nostre fruizioni culturali. In diversi livelli siamo tutti appassionati di film, o telefilm, o videogiochi, o libri. Dalla realizzazione dell’artwork di copertina (l’occhio del custode del panottico, illustrato da Antonio Cascio ed elaborato graficamente da Gabriele) fino alla scelta dell’estetica del video di Aurora,  abbiamo seguito da vicinissimo i lavori, essendo il nostro grafico un componente della band e avendo ben chiaro in mente cosa volessimo citare e comunicare.

Pyramid Head -:Mostro immaginario presente nella serie di fumetti e videogiochi survival horror ” Silent Hill”

Panopticon“, fra gli altri, è un pezzo che mi è piaciuto particolarmente e che mi ha ricordato molto Opeth, Katatonia e Porcupine Tree in un’ amalgama sui generis, inedita e originale. Quali sono le vostre influenze musicali?

Opeth, Katatonia e Porcupine Tree sono nomi indovinati: il metal decadente un po’ prog del Regno Unito e dei paesi scandinavi è un nostro riferimento musicale fermo. Inoltre, provenendo da diversi background musicali, rimane in noi un certo attaccamento all’alternative rock e metal californiano: sicuramente Tool e Deftones scorrono nelle nostre vene. Infine, vorremmo condire i nostri brani di suggestioni emozionali o ambientali tipiche delle colonne sonore di Badalamenti o Yamaoka.

Sono diverse le band italiane che, soprattutto nel sud della penisola si spendono per dare vita e vigore alla scena musicale con prodotti  “di genere” che qualitativamente non hanno nulla da invidiare a grandi nomi del panorama internazionale. Eppure moltissime restano in ombra, il più delle volte conoscono notorietà soltanto all’interno di una cerchia selezionata di connazionali. A cosa è dovuto, secondo voi, questo oscurantismo italiota?

Per quanto siamo dei grandi sostenitori del “de gustibus non est disputandum”, riteniamo che la situazione riguardo alla cultura musicale in Italia sia abbastanza critica, sicuramente non favorevole nei confronti di certi generi musicali. Ci sono realtà italiane nell’underground rock/metal contemporaneo quali L’ Alba di Morrigan, PTSD, Kubark, Arctic Plateau e Klimt 1918 che non hanno nulla, ma proprio nulla da invidiare a nessun collega internazionale, eppure l’Italia “mainstream” non sa neanche chi siano.
Per concludere con un po’ di sano ottimismo, aggiungiamo che crediamo in una ripresa della cultura musicale nelle future generazioni, grazie ai social network e alla maggiore fruizione della musica su internet.

Inside Panopticon EP” è disponibile su diverse piattaforme on line, da Spotify a Deezer. Quanto la rete vi sta dando soddisfazione in termini di risposta da parte del pubblico?

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Cover illustrata da Antonio Cascio. Elaborazione grafica di Gabriele Fontana

È forse un po’ presto per parlare, ma finora stiamo ricevendo dei feedback veramente positivi, e la cosa ci sorprende e ci gratifica. Ci riteniamo fortunati di vivere in un’epoca in cui realizzare un disco non è più un miraggio irraggiungibile; inoltre, per promuoverlo, oggi esiste l’enorme mare di internet. Tanto enorme che ci si può perdere, è vero, ma non è mai stato così semplice far arrivare la musica alla gente.

Progetti futuri e prossime performance live?

Nel prossimo futuro è previsto un vero e proprio album, attualmente in fase di scrittura e composizione. Per quanto riguarda le performance live, diciamo che ci stiamo lavorando, e speriamo di riservare a chi ci segue qualche sorpresa gradita.

E come da rito, dulcis in fundo: presentiamo le singole unità di questa promettente esperienza artistica!
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I Laguna sono:
Toti Castronovo (voce), Gabriele Fontana (basso), Tommaso Lombardo (chitarra), Domenico Messina (chitarra), Gianvito Di Matteo (tastiere) e Gioacchino Fulco (batteria)
.

Potete trovarli a questi indirizzi
:
Mail: bandlaguna@gmail.com
Sito Web: http://lagunaband.bandcamp.com/
Contatto stampa: metaversus.press.promo@gmail.com
Agenzia di prenotazioni: bandlaguna@gmail.com


Simona Di Profio

Da Cicerone a Petrarca, da Petrarca a Machiavelli: l’inestimabile valore dell’eredità autoriale


La cultura umanistica, con i suoi ideali, si colloca nella prospettiva delle biblioteche, delle raccolte di codici, delle edizioni di classici e delle monumentali opere di traduzione e trascrizione germinate nell’ambito delle più diverse facultates del sapere. Del resto, tale attitudine era presente anche fra gli antichi. Il tema è vasto e non è questa, purtroppo, la sede per scandagliarne approfonditamente le pieghe; ci limiteremo a indicare alcuni scorci caratteristici che possano fornire al lettore lo stimolo per rivalutare il proprio rapporto con i libri e per ritrovare negli autori che via via citeremo (ma non solo), quei comites latentes, quegli amici invisibili, con cui empatizzare al di là di ogni vincolo spazio-temporale.

Derivato dagli autori antichi e sviluppato dal Petrarca, il topos della conversazione con gli antichi ha un immediato effetto in Boccaccio; si affaccia durante il primo Quattrocento nei Ricordi di Giovanni Morelli e nelle prediche di San Bernardino da Siena, ritornando nel Teogenio di Leon Battista Alberti.
Il 10 dicembre 1513, con la famosissima lettera di Machiavelli a Francesco Vettori, il vecchio topos del dialogo con i testi acquista un’indiscussa notorietà.

Dopo mezzo millennio e un anno, vogliamo oggi celebrare il valore di tali testimonianze.

 

Niccolò Machiavelli, Il Principe

Niccolò Machiavelli, Il Principe

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Giovani Prospettive: Alex Stoddard – Omaggio di parole – 2° parte


Prima parte: http://wordsocialforum.com/2014/11/25/giovani-prospettive-alex-stoddard-omaggio-di-parole-prima-parte/

Angelica-Alessia

Morte in rosso di Alessia Marini

Il tempo fugge e la vita ti scivola dalle mani ogni istante nell’inesorabile susseguirsi di minuti, ore, giorni. Concetti formalmente riconosciuti vedono un barlume di praticità nel momento esatto in cui tutto sta per finire, in cui la vita sta per spegnersi. Inesorabile, come l’acqua che precipita da una cascata, quel tremendo momento arriva per tutti. C’è chi lo implora e chi lo teme. Chi lo ha sfiorato e chi non ci ha mai nemmeno riflettuto.
L’inconsistenza della nostra esistenza prende forma nel momento in cui finisce.
È come un concetto o un pensiero che diventa reale solo e soltanto quando smette di essere se stesso: quando trasmigra da uno stato di trascendente eternità ad uno di tangibile consistenza. Una parola che si forma nella nostra testa smette di essere un pensiero nel momento in cui la enunciamo.

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SSRI – inedito di Simona Di Profio


«Che cos’è un essere vivente?
Un essere vivente è un individuo che nasce, cresce, si riproduce e muore.»

 

So osservarmi delicata
I riflussi congeniti di nomenclature classificanti ma veritiere
Colgo sottili, le patine
Traslucide s’incrinano ove non Vuoi traspaia
E nella forma, l’indistinzione è omaggio

 

Laura Makabresku

Laura Makabresku

 

La lastra liquida riflette passi veloci, biancomarino, quando la marea decade e la luna remore del giorno mi tange quel poco, troppo, bastante per rendermi fragile: non so. Ignoro.
E sono sere che passo fra cera e matite senza osare abusarne. Eppure vorrei, ma mi trattiene affetto. Qualcosa che sporca ancora, vischio sensibile che trama contro le ossa deboli carcandole d’irrisolutezze ripide. Comincia con un fischio prolungato, gli arti si anestetizzano e sento il bisogno impellente di scappare in bagno. So che non ho niente da espellere.
Non ce la faccio più a cadere dopo inaspettati capogiri.
Le favole senza ritorno le ha ricamate l’infanzia pietosa e candida con dita carboniche.
Quando la guardo fa tutto più male.
Quando la guardo non so respirare.
Mi ostino a farlo, ed ostinatamente la vista si chiude astringendo passi. Rendendoli fermi.  Volubili. Frali.
Se solo potessi arrecare alle pagine dei troppi diari lasciati a metà, dentro quadretti di prima elementare, un ritratto più consono a quello che norma fiducerebbe… normativamente dovrei ritenermi forse colpevole dell’auto-abuso, una masochista sensibilità mono aulata, mono direzionata.
E in fin dei conti sadica.
Eccello in corse immobili;  cosa che non richiama più il contatto; distoglie. Annienta.
Non solo me.  Temo che mi obblighino a ricercare la carne. Commestibilmente. Passiva e attiva, al bivio, minacciata di tubi catodici per epilessie apparenti, reflussi o ulcere da qualificare in merito a ticket dai costi efferati e omicidi e  stillicidi organici inflaconati.  Brandiscono convulsamente perdite d’identità a cui mi sottrarrei soltanto scegliendo di massificarmi in una mole ragionevole,  almeno per apparire  membro del  mio sesso, tratteggiata e curvilinea, accettabilmente donna con quanto ne consegue mensilmente. E’ un male, invece, che voglio accentuare. Perché è male rispettabile. Non potrei ammettermi in diverso modo: una fittizia concidentia oppisitorum, iporcrita ma simmetrica, nel nome del Padre e del Figlio.
Sebbene a me manchi il coraggio per ferire e fendere, non ce ne vuole, è inevitabile.
Qualcuno ci rimette sempre.
Qualcuno che di me colga una parziale purezza, qualcuno che voglia che quello preservi. Potremmo avere un fine, tendendo confluenti e complementarmente; eppure mi basta il tremore di un cero. L’anatomia del marmo. Mi salva l’acume incolore dei pastelli accesi per ritrovare accessi,  trascendermi di nuovo.  Stuprarmi mentalmente in empirismi volontari.
Libero arbitrio, dopotutto e dopo tutto.
Non solo questo: qualcosa che vada anche oltre all’intelletto consapevole, qualcosa oltre le mani, il dolore e la gioia concepiti ormai omozigoti. Senza recriminarmi attimi. Senza  me stessa, e concludendo:
Senza.
Laura Makabresku

Laura Makabresku

 

Mi siedo, prendo fiato. La cera della candela sfrigola sulla punta della matita con delicate ali di fumo profuso, dalla variegatura acre e pungente che mi trafigge gli occhi costringendomi a stringere le palpebre nell’oscurità di questa stanza madida di ombre. Di bambole e Peluches. In ogni dove.
Bambole.
Tendo il polso piano,scostando i lembi delle maniche in cotone, concessore incoraggiante,  carezzevolmente. Gli angeli a cullarmi sono qui riuniti, intonatori al Kyrie, mentre offro alla grafite la parte interna della pelle. Dov’è più pallida. Dove rigagnoli bluastri diramano con eleganza perpetuandosi nelle mie dita sottilissime, dietro le nocche sporgentissime che tremano al contatto e si contraggono.
Umorali e caustici nel coito del contatto, essi arridono pungolando l’aria con il respiro flebile e frusciante, confessori verecondi.
Male per male, solvente.
Ego Me Absolvo.
Gli occhi socchiusi, le ciglia, sigillo. Resistendo all’immediato stimolo che deterrebbe la purezza supplizievole. Dalla bellezza folgorante,  di una violenza questa volta consenziente ed ancestrale.
Gli Angeli mi toccano con più vigore fra le cosce tese. Quando più e più volte infliggo godimento all’anima.
Quando l’amore di Dio eroga perfetto invisibili tracciati al lapis dei santissimi disegni in un orgasmo di passione.
Ginocchia, l’una contro l’altra. Velata e liqueforme la nudità opalina. Regalare al compensato della scrivania da cameretta libagioni vive a pentimento. Ora è un altare.
E quando poi, nell’acqua fredda la pelle sulle ustioni si solleva e gonfia in cinque piccole meduse opache sotto il getto congelato, leggerissime; quando poi la carne, resa sobria, resta accesa; quando nel fatuo impeto abrasivo dell’asciugamano bianco, lo spirito pentecostale del poco derma esposto,eroso,si eleva nitido e focale a ricordarmi quanto poco vale la mia pena nei confronti di quanto sono causa… allora, e solo allora,

 prego.

 

Laura Makabresku

Laura Makabresku

Mattino.
L’aria sussurra al mio corpo il freddo distacco da un letto in cui sentire il mio odore ristagnare. Come un lenzuolo, un sudario di moderna leggerezza, velata, tenue.
Indosso questo pigiama verde, in pile. Plastica morbida sul corpo torpido. Torbido: non riesco a vedermi al di la delle pupille infiorescenti macchie e tintinnii lucenti e fitti, acuminati, mentre le mani cercano nel lavandino correttivi di plastica anch’essi, per le miopie celate.
Non sono più me stessa, né anelo esserlo ancora. Più semplicemente denoterei una leggerezza appesantita dal supporre, quando “supposizioni” è un estetismo inutile davanti alle certezze.
Il caffè tracima e macchia, con quell’odore di bruciata infanzia onnipresente, mai paga d’appartenermi placida e soffusa, arpeggiata fra le ciglia rotte dall’ennesimo pianto. L’ennesimo rigetto d’anima.
Confesso paure mai dette e tremo giudizi mai attribuitimi, se non da me medesima.
Sento ancora il sapore: tuorlo grumoso e germico dell’asma cumulata e condensata dai singhiozzi trattenuti. E mai, mai come ieri, inginocchiata e fedele alla mia vita tanto breve quanto un rifiuto compostabile ho invocato Angeli migliori di un gorgo di sciacquone.
Ho masturbato la gola provando un trepido e fugace piacere nel figurarmi stesa anch’ io in una cassa, magari bianca, sicuramente compianta.
Amata infine.
Poi le dita macchiate di sangue. La repulsione immediata di un piccolo quadrato di carta igienica gettata sul pavimento. I riflessi delle gocce di qualche schizzo di urina mal centrata e la paura sparsa, ben distribuita in vivida punteggiatura porporina e accesa sulle piastrelle di ceramica. Unita a un utero spogliato, a-mestruale.
E violentarmi ancora, e ancora.
Non ricavarne un solo zampillio di vomito.
Con unghie tumide ed ematiche. Con la voglia di un rapido effetto delle sin troppo poche compresse sgranocchiate come caramelle amare. Con mia madre alle spalle a incitarmi, come un’amante instancabile ed estatica. Con mia sorella stravolta come avevo dimenticato potesse esserlo, inascoltata per un cosi prolungato arco di tempo.
Agnello. Infante al parto. Di primo vagito.
Brillante, un rubino.
Il passo di mio zio sui vetri rotti, contro il granito. Il suo insultarmi bestemmiando, sfuma tutto quanto.
E zar di coltri raffinate e Stige in libagioni cristalline al frangersi.
Poi la luce. Poi il sollievo. Poi gli abbracci. E infine, il sonno.
Pulcher, sepolcro.  D’assenze di sogni. Di fine dei giorni.

 

Mattino.

 

Ero tornata all’obitorio e non mi sembrava vero niente: un ammasso bidimensionale, quinte spoglie di un teatro di cartone.  I corpi sembravano sorridermi tutti, increspando appena appena le labbra cianotiche. Le persone intorno agitate come fantocci senza senso.
Mi angoscia tantissimo il mondo fuori, non lo capisco. La realtà consiste in un meccanismo fatto di gesti orribili in refrain e non ha senso. E’ elettrico, tutto.
Sì, tutti elettrici.
La colpa è un conto da saldare a cui non posso sottrarmi e nemmeno voi potreste, se vedeste.  Io so di essere un coagulo di morbidi budelli laidi, pieni di cadaveri ed è per questo che devo punirmi.
E poi, quando mi guardo allo specchio, non sono io.  Sono deforme, credimi, tremendamente pingue e deforme e trovo rivoltante quel che c’è sotto la pelle, dentro.
Mi fanno schifo gli organi, vorrei riuscire a vomitarli via per sentirmi pulita.
Quando lui morì, mia nonna si mise a lavorare il pesce che avevano comprato per Natale. Era sudicio, verdastro. Ma lei prendeva la forbice e mentre piangeva e chiamava il suo bambino che non c’era, piano piano, il lercio andava via e lei si calmava. Ecco: io vorrei essere spanciata, come i pesci. Potrei così cacciare quel gonfiore putrescente. Invece nessuno può aiutarmi, neppure se morissi: sarebbe morire con lo schifo dentro. E poi dovrei marcire e piangerebbero e io forse resterei lo stesso. Cosciente, al freddo. O forse no. In ogni caso marcirei; non è una soluzione.
Pensaci.
Noi, che cosa siamo? Siamo mangiatori di cadaveri. Mangiamo i cadaveri delle piante, degli animali e siamo destinati a diventare cadaveri. Il fulcro è questo, la verità è questa. Siamo cadaveri azionati da un sistema osceno che da ignari ci aziona attraverso l’assassinio, la necessità di uccidere, sempre.
Sempre.
Per nutrirci di morte in nome della vernice, dello smalto, della pelle: della bellezza. Quella che chiamiamo vita e che è solo un impulso elettrico di morte, che finisce con la morte e non si riaccende.
Mai più.

 

Laura Makabresku

Laura Makabresku

 

«Il finale non cambia.  Alla fin fine le cose accadono e accadono quelle in cui, ragionando, ti imbatti magari solo per sbaglio, per un gusto di sollucchero drammatico. Come a cercare il significato di un significante troppo abusato e vuoto.»

 

Prima o poi, tutti i vuoti vengono colmati.

La ferita dei non amati (Peter Schellenbaum-1988) di Simona Di Profio


Laura Makabresku

Nessuno mi voleva bene; improvvisamente me ne rendevo contro: ero irreparabilmente distante da tutti. Era l’inferno. Questo senso di morte era il mio definitivo calvario.

Ciò che mi sembrava guarito e rimarginato si era riaperto e aveva cominciato a sanguinare; la ferita aperta dalla mancanza d’amore c’era ancora, non si era rimarginata e non si rimarginerà mai, finché vivrò.

Come povere anime alla ricerca della salvezza, vaghiamo inquieti da una spiegazione all’altra. Tuttavia, la carica di energia è più forte di ciò che possono esprimere le parole. E così, proseguendo nel nostro tortuoso cammino, ci nascondiamo la chiara, semplice verità: “Non sono stato amato e continuo a non esserlo”. E’ una verità che vale anche per chi è stato amato troppo o nel modo sbagliato. La carenza d’amore si cela dietro molte maschere. In un senso profondo … questa verità vale anche per coloro che sono stati amati “a sufficienza”. La ferita del non amato è la ferita dell’essere uomo.

La ferita dei non amati è la causa di una carenza di “fiducia di base” (Erik Erikson): se vogliamo guarire questa è a quella che dobbiamo rivolgerci.

L’amore è “anomalo” in quanto accetta ciò che la norma rifiuta.

Poiché la fedeltà alle regole e la carenza d’amore sono legate tra loro, lo studio dell’analista non può essere un luogo di fuga dalle realtà sociali. Al contrario, deve diventare un luogo in cui l’individuo diviene più consapevole di se stesso come punto di incontro tra quanto gli è proprio e quanto proviene dall’esterno. Solo in questo modo si possono aprire nuovi spazi per quegli aspetti di umanità finora rifiutati.

E’ difficile resistere alle parole che provengono dal nostro intimo, proprio come è difficile reggere uno sguardo. Chi da bambino non è stato amato trova difficile amarsi sotto lo sguardo di un’altra persona: continua a sentirsi non amato, anche quando è vero il contrario. Quando invece riesce a rimanere nel campo magnetico di uno scambio di sguardi, diviene vitale e creativo.

Qualche volta il fallimento di una storia d’amore tra due adulti sembra raffigurare la stessa perdita d’amore della prima infanzia; in realtà ciò che avviene in età adulta è già avvenuto tempo prima, nell’infanzia e nell’adolescenza.

Se non siamo stati amati, non ci amiamo. Alla carenza di amore per noi stessi corrispondono delle zone oscure nella conoscenza di sé. Il principio dell’oracolo di Delfi “Conosci te stesso” dovrebbe essere integrato dal principio “Ama te stesso” poiché a livello psicologico conoscenza e amore sono inscindibili.

La ferita de non amati si esprime nelle dolorosa sensazione di essere respinti anziché amati.

Tutti i giochi hanno un elemento comune, ovvero il legame tra due tendenze contraddittorie: una è il trauma, cioè la ferita psicologica risalente all’infanzia, che afferma: “No, non c’è amore”; l’altra è l’Io che, disperato, controbatte: “Eppure deve esserci amore”. Da questa contraddizione nasce una “coabitazione”, una “convivenza” che ci appare naturale soltanto quando siamo abituati a quest’ambivalenza, quando ne siamo prigionieri. E ne siamo prigionieri fino a che il “no2 di uno dei due elementi del conflitto interiore mette a tacere il “si” dell’altro e viceversa.

Chi, da bambino, ha dovuto implorare amore, da adulto è predestinato a questo gioco.

Tanto più egli dà, tanto meno può ricevere, poiché a ogni novo affanno d’amore diminuisce il rispetto per se stesso.

Quando il gioco è stato visto e analizzato in profondità, emerge il desiderio di dare spazio nella propria esistenza all’infanzia e all’adolescenza perdute, così che il passato possa essere recuperato attraverso la capacità di trovare la propria strada e di affermarsi. In questo caso sono assai utili l’improvvisazione, la spontaneità e l’arguzia. In compagnia di queste persone, talvolta mi accorgo di sentirmi fiacco e stanco: e questo, quasi sempre, è anche il loro modo di vivere la vita. Eppure, com’è bello il momento in cui scoprono la leggerezza, la mancanza di premeditazione, la spontaneità!

“Se una persona mi ama, ci deve essere in lei qualcosa che non va” [Paul Watzlawick]

L’amore è tranquillità nel movimento e ricettività verso l’amore di un altro attraverso il proprio donarsi.

Anche se milioni di persone mi abbracciassero, tutte insieme non potrebbero amarmi completamente, poiché io sono un inconfondibile insieme di caratteristiche umane e quindi posso essere incompreso e non amato sotto molti aspetti.

L’analisi corporea, nel senso di una coscienza consapevolezza di ciò che avviene spontaneamente nel corpo, è una componente inestimabile di ogni analisi, soprattutto nel caso di persone che sono fissate sugli altri anziché rivolte a se stesse. … Tanto più direttamente partecipiamo agli stimoli del nostro corpo, tanto meno abbiamo bisogno di lontane immagini ideali.

L’espressione “energia vitale” si riferisce a esperienze generalmente conosciute, verificabili e legate tra loro. Ne cito otto.
1°: l’energia vitale sperimentabile nell’impulso, nell’impeto e nell’accelerazione, quindi l’esperienza dello “slancio” nell’esistenza umana: l’élan di Jean Piaget, l’élan vital di Henri Bergson, il gradiente di Carl Gustav Jung.
2°: l’esperienza della tensione pulsante e della distensione, della carica e della scarica, quindi del ritmo ordinatore.
3°: l’esperienza della tensione polare nel reggere consapevolmente gli opposti psichici, la coscienza polare.
4°: l’esperienza del blocco o ristagno dell’energia vitale in complessi psichici e in tensioni fisiche.
5°: l’esperienza della ripresa del flusso di energia, cioè del passaggio dall’assenza di stimoli all’azione.
6°: l’esperienza della risonanza: sintonia, suono, eco, armoniche vibrazioni.
7°: l’esperienza della crescita di energia mediante una consapevole autoregolazione all’interno del singolo organismo e dei rapporti.
8°: l’esperienza della unione con il cosmo.
Sarebbe più corretto parlare di otto varianti di un’unica esperienza di energia, accomunate da un’intensità soggettivamente vissuta, invece che di otto esperienze distinte.

La definizione di “psicoenergetica” si riallaccia all’esperienza dell’energia: la psicoenergetica rappresenta l’accesso, mediante la psicologia del profondo, all’esperienza dell’energia intesa come esperienza fondamentale dell’esistenza, che annulla le inibizioni e costituisce la premessa per la crescita psicologica. Essa subordina l’analisi dei contenuti dei ricordi infantili, dell’attuale situazione di vita e del futuro potenziale di un individuo, espresso nei simboli, a un criterio comune: il libero fluire o l’ostruzione della vita.

Per uscire da situazioni sfavorevoli, persino da quelle distruttive, bisogna vivere a livello terapeutico ciò che tali situazioni implicano (Fritz Perls).

Scopo di ogni psicoterapia è quello di rendere attuale la capacità di autoguarigione che ogni individuo possiede.

Carl Gustav Jung ha introdotto nell’analisi dell’inconscio la componente finalistica: quale progetto di vita ancora incompiuto, quale possibilità di vita è possibile scoprire in un sogno? Noi ci poniamo la stessa domanda rispetto al corpo: quale possibilità espressiva è racchiusa in esso e vuole liberarsi? Quale messaggio si cela dietro a una voce repressa? Quale luce brilla dietro uno sguardo quasi spento? Quale emozione si esprime in un piede che oscilla?

La sola conoscenza non guarisce, tuttavia è necessaria, in quanto la sofferenza rende più consapevoli e induce alla ricerca della crisi che ci libererà da essa.

La certezza di essere amato non per ciò che è ma per ragioni fortuite perseguita il non amato.

L’amore può trasformare gradualmente l’emarginato compatito e vittima di una carenza d’amore nell’infanzia, in quello che Alan Watts chiama “l’emarginato superiore”, colui che è al di sopra delle parti, che non si schiera con nessuno. Sin dalla prima infanzia egli sa che amore e partigianeria si escludono a vicenda. Il destino della vittima si trasforma in vocazione. Tutti coloro che si sentono obbligati a seguire un cammino individuale e autonomo furono emarginati come Gesù, o senza patria, come Buddha.
Nel Cristianesimo, dove la vocazione viene vista in opposizione al mondo, si giunge inevitabilmente a una tragica conclusione: le persone “integrate” sono più numerose. … Nel Buddhismo, al contrario, la vocazione implica la libertà dalla dipendenza, che gli altri ci amino o meno. Oltre la partigianeria e la dipendenza può crescere un amore che rende liberi noi e gli altri.

Soltanto la rinuncia a un tardivo amore dei genitori può rappresentare la salvezza.
Questo perché la guarigione della ferita psicologica avviene guadagnando l’accesso a un livello più profondo, dove tutti gli esseri umani sono uguali. La sventura di un insufficiente amore parentale non può essere eliminata, ma può essere considerata in connessione con l’esperienza di una carenza esistenziale propria dell’essere umano: la mancanza di sicurezza in questo mondo.

In ogni rapporto c’è complicità, anche nei rapporti tra figli e genitori. Per complicità non intendo corresponsabilità, bensì partecipazione. Chi accetta questo principio, si sente stimolato all’attività e alla responsabilità individuale nel “qui e ora”. L'”evento” diviene esperienza, l’emarginazione un impulso verso la liberazione. Percepirsi non come vittima ma come parte attiva è segno di vitalità. Naturalmente, con questa riflessione non intendo minimizzare la tragicità di innumerevoli ferite infantili, ma piuttosto stimolare ad agire nel presente.
Non esistono forse persone troppo deboli per agire in assenza dell’amore parentale e delle cure di cui ha bisogno un bambino? Anche il più debole dei non amati ha in sé una scintilla della forza dell’eroe potenziale, cioè una piccola possibilità di trasformare l’antico “no” altrui in un “sì” verso se stesso. Il senso di carenza indica che il proprio potenziale di attività non viene utilizzato.

Il depresso “si serve della via traversa dell’autopunizione per vendicarsi sugli oggetti originari” scrive Freud a questo proposito. In questo modo si spiega anche “l’importuna loquacità che trova soddisfazione nello smascherarsi”.

Freud scrive: “Nel lutto si impoverisce il mondo, nella melanconia [cioè nella depressione] si impoverisce l’Io stesso. La persona che elabora un lutto affronta realisticamente la perdita subita. In questo modo, può maturare e arricchire la propria personalità, anche se il mondo è diventato più povero. Al contrario, il depresso si perde insieme con la persona perduta. “Il complesso della melanconia si comporta come una ferita aperta, attira a sé da ogni lato energie di occupazione e svuota l’Io fino all’impoverimento totale.” La ferita aperta della depressione attira ciò che è estraneo e respinge ciò che è proprio.

L’amore si rapporta a una persona nella sua interezza, non a singoli tratti dell’aspetto o del carattere o a singole azioni.

La bellezza, in quanto splendore della verità, è un effetto dell’amore, è amore che agisce. Una persona che ama sinceramente diffonde intorno a sé uno splendore tale che sarebbe assurdo mettere in discussione questa bellezza apertamente rivelata sulla base di criteri estetici.

Le norme hanno senso solo in relazione alla vitalità priva di norme; l’ordine solo in relazione al caos creativo; la mente solo in relazione al corpo. Chi ha dimenticato l’impulso verso la nascita ha ceduto alla morte. Le persone che non danno valore al corpo pensano contro la vita. Insieme con la mobilità del corpo esse perdono anche la spontaneità intellettuale; confondono la vitalità con catene di idee perseguite coercitivamente e concetti sopravvalutati di cui non riconoscono il carattere sostitutivo. Trasudano mancanza di piacere, poiché solo la vera espressine di sé genera piacere: il piacere dell’impulso vitale e di una nuova nascita.

Il nostro compito è di diventare tutt’uno con l’intensità della vita che lotta per esprimersi.

Di tanto in tanto, quasi tutti noi giungiamo a un punto di sopraffazione, dove l’impulso vitale si trasforma in fatica e la gioia di vivere in un senso di apatia che deriva da una pressione psicologica. Poi, una volta o l’altra, ecco arrivare la goccia che fa traboccare il vaso: sperimentiamo il repentino passaggio dall’ancora sopportabile all’insopportabile, dall’impulso alla pressione, quasi come un’espressione del destino.

Se intendiamo la vita come un dovere, la vita diventa pressione alla quale è necessario sottomettersi. Il principio di piacere deve cedere al principio di realtà. Al contrario, principio di energia, che sta sotto il segno di Dioniso, riunisce piacere e realtà nel “sì” a un’esistenza che non abbiamo più bisogno di dividere mediante effimeri giudizi. E’ importante evitare il dolore, ma è altrettanto importante diventare tutt’uno con esso quando il dolore diventa inevitabile e determina la nostra vita.

Due persone rimangono vitali in presenza di un contatto visivo prolungato solo se vivono un’intensa, comune esperienza di comprensione e amore.

La seguente affermazione di Nietzsche vale anche per Nietzsche stesso: “Le persone profondamente tristi si rivelano quando sono felici. Hanno un modo di afferrare la felicità, come se volessero distruggerla, soffocarla.” Anche nei non amati inclini all’eroismo le inibizioni sono più forti degli istinti, la pressione più forte dell’impulso.

“Nessun simbolo può essere genuinamente nello spirito se non è genuinamente nel corpo.” (Martin Buber), cioè se non implica il compimento vitale di un gesto.

Le parole efficaci, che esprimono la realtà, sono quindi gesti linguistici. Come tutti i gesti con cui ci identifichiamo, generano emozioni. Esse attivano l’energia vitale, suggeriscono, riecheggiano, ci trasformano se ci apriamo ad esse come uno spazio risuonante. Al contrario, le parole astratte soffocano l’emozione, anche se generano un movimento convulso. Le persone che sentono il bisogno di raccontare immediatamente tutto soffocano il suono fondamentale del proprio animo, si tengono a distanza da frasi e immagini.

Il voler utilizzare qualcosa, o il volersene liberare, significa prendere le distanze per elaborare un problema dall’esterno, quasi si trattasse di lavorare un blocco di marmo con lo scalpello. Ma questo approccio è contraddittorio e disperato. Dopo tutto, chi ha problemi? Io o il blocco di marmo? E il problema non riguarda forse lo scalpello che tengo in pugno? E’ sufficiente rimanere in contatto: consapevoli, ricettivi, attenti senza essere autocritici (cioè senza il distacco da se stessi generato da un giudizio negativo), poiché null’altro che la sensibilità riguardo a ciò che sta accadendo adesso consente agli antichi modelli di energia di sciogliersi dall’interno e di aprire la via a un olistico gesto vitale. Ciò che conta è dirsi: “Sono io stesso la persona che si interrompe sempre e si mette a tacere, che soffoca la sua naturale emozione. Ora questa persona è parte della mia vita, ha un valore e io mi identifico con essa, senza critiche.” In questo modo ci uniamo alla vita e ci salviamo da noi stessi.

Sono persone che non dipendono dalle cose ma ne sono attratte, che non opprimono ma dedicano attenzione. Tutto ciò che in loro ha bisogno di esprimersi non si rivolge contro ma verso gli altri. Una persona così si percepisce come una creatura lunare, in quanto considera la luce che proietta sugli altri come riflesso della luce di questi stessi altri. Le persone che basano la loro esistenza sull’energia non si abbagliano vicendevolmente ma, al contrario, apprezzano i bagni di sole che ricevono dagli altri e vi prosperano. Non c’è contraddizione nel fatto che siano più attivo di coloro che puntano con tutta la loro volontà all’autoaffermazione. Nella loro rilassata apertura, le persone che vivono di energia attraggono energia.

Gli esseri umani sono sistemi di autosuggestione estremamente sensibili. Determiniamo il nostro destino resuscitando gli antichi ricordi, squilibrando la nostra vita. Continuiamo a rovistare nelle antiche ferite anche quando conosciamo già tutto di esse, generando così nuove ferite fino a che l’intera esistenza è sofferenza e l’unico sentimento è un intenso dolore. Così ci ipnotizziamo dicendo: “Nulla cambia; tutto rimane com’era”. Continuare a tormentarsi con gli antichi ricordi significa tormentare la ferita del non amato, una ferita che può richiudersi soltanto se la lasciamo in pace. Non si tratta di rimozione, ma di guarigione.

A livello psicologico, “essere nel corpo” e “vivere nel momento” sono sinonimi.

Ogni rapporto è polare, in quanto è identico all’area di tensione dal polo complementare. L’attrazione che due persone provano l’una verso l’altra viene ulteriormente rafforzata dalla coscienza delle polarità che esse incarnano come coppia. In entrambe vengono mobilitate polarità che, senza quel rapporto,sarebbero soltanto pura possibilità, vita non vissuta. Da ciò scaturiscono tensione, eccitazione, erotismo. Diversamente, le persone centrate su di sé, prigioniere dei dolorosi ricordi delle vecchie ferite, non possono accedere al gioco polare di un rapporto. … Dopo l’iniziale apertura estatica all’altro e di conseguenza al mondo, l’antica, traumatica chiusura si impone nuovamente. Non ci percepiamo pià dinamicamente nella vibrazione di due poli, ma staticamente come due opposti che si contrappongono. L’antico trauma, la ferita del non essere amati, riaffiora: sono respinto, abbandonato, isolato, non amato. Quale alternativa rimane a due persone che perseguono insieme il modello traumatico se non quella di riaprirsi reciprocamente le antiche ferite causando nuovo dolore?

Grazie al contatto fisico il mondo diviene incarnazione radiosa della cultura. L’apollineo nasce dal dionisiaco. La luce proviene dall’interno. Risplende dal buio e non nel buio come nel Vangelo di San Giovanni.

… come i girasoli, che crescono in tutti i paesi caldi. Volgersi verso il sole e la luce: cercare lo splendore del mondo e delgi altri, assimilando e riflettendo come fa la luna, piuttosto che preoccuparsi narcisisticamente della propria luce. Questo è l’atteggiamento dell’essere umano che basa la propria esistenza sull’energia. … Seguire la traccia del sentimento più intenso non significa ritrarsi nel proprio mondo emotivo ma, al contrario, lottare per l’espressione, la dedizione, il gesto. L’amante non si chiede chi sta amando, semplicemente sa che l’amore sta agendo.

L’esperienza di un individuo sano fluisce in inconscia armonia con il duplice movimento della respirazione. Quando inspira, tende spontaneamente a concentrarsi maggiormente verso l’interno; quando espira, si espande maggiormente verso l’esterno.

La ferita dei non amati è senza parole. Non trova parole per guarirsi. I non amati possono raccontare molto di come sono stati respinti, emotivamente abbandonati, incompresi, ma i loro racconti si riferiscono a periodi della vita in cui erano già in grado di esprimere verbalmente la loro sofferenza. I primi mesi di vita, durante i quali il bambino non è in grado di parlare, rimangono privi di espressione verbale anche in età adulta. … I non amati non potranno mai esprimere a parole ciò che hanno vissuto nella fase fetale e neonatale. Il trauma dei non amati risale al periodo preverbale precedente e successivo alla nascita. Nel contesto terapeutico, le conversazioni sulle esperienze successive sono spesso alibi che distolgono l’attenzione dalla causa primaria, ovvero dalla ferita tuttora muta del non essere stati amati. In assenza di altre possibilità, si parla di qualche cosa che non può essere avvicinato e colto a parole. La muta causa della ferita deve trovare il modo di esprimersi perché le parole che denunciano le successive esperienze di mancanza d’amore possano radicarsi e trovare un senso. Altrimenti, rimangono in una sorta di limbo. Questo dilemma apparentemente insolubile porta spesso ad analisi senza fine o ad amareggiate interruzioni della terapia analitica prima di riuscire ad aprire la desiderata breccia nella comunicazione.

Se la crescita di un bambino è accompagnata dallo sguardo affettuoso di una persona a lui vicina, egli può restituire quanto ha ricevuto: possiede la forza di uno sguardo vitale che, nell’adulto, diviene la forza di stabilire dei rapporti.

Chiunque riesca finalmente a rivivere l’antico dolore sotto lo sguardo partecipe di un altro va oltre il proprio dolore e scopre la propria forza. Ora può dare a se stesso ciò che la madre o il padre gli hanno rifiutato: attenzione emotiva, calore, sicurezza, affidabilità e soddisfacimento dei bisogni fondamentali.
Solo il dolore che rimane bloccato è distruttivo: il dolore liberato, cui è stata concessa piena espressione, è creativo. Per liberare questo dolore, l’essere umano, che è essenzialmente concentrato sui rapporti, ha bisogno di un altro essere umano al quale possa rischiare di mostrarsi.

Non è l’amore, ma la paura dell’amore che rende necessaria la terapia. L’amore esplode spontaneamente nella nostra vita quando ogni resistenza svanisce, sia l’amore per gli altri sia l’amore per se stessi.

Se le persone che da piccole non sono state amate dedicano a se stesse la calda attenzione di cui non hanno potuto godere al momento opportuno, si vivono in modo del tutto nuovo, cioè si sentono amate. In ultima analisi, non è l’amore di un altro che può guarirci dall’antica depressione, ma l’amore che diamo a noi stessi attraverso un’attenzione diligente.

Il dolore non è positivo o negativo, semplicemente, è; è ciò che siamo. La nostra vigile attenzione, allora, diviene identica ad esso. … Quando ci limitiamo ad “accettare” un dolore come se provenisse dall’esterno non accade nulla, se non, forse, lo sprofondare nella depressione o la ricerca di una sovrastruttura religiosa, come la fede in un dio sofferente e in un’eternità senza dolore. Se invece ci viviamo in questo dolore non rifiutato, accadono cose impreviste.
La guarigione non avviene mediante il superamento violento o la repressione del dolore ma, al contrario, stabilendo un legame con l’energia in esso contenuta.

L’amore è indivisibile. Chi esclude se stesso dall’amore lo perde completamente.

“Il vostro cattivo amore per voi stessi da della vostra solitudine una prigione” [Nietzsche]. Le persone che non si sopportano e soccombono all’apatia e all’inquietudine non appena rimangono sole, le persone che non si piacciono abbastanza per sentirsi bene in compagnia di se stesse, sono prigioniere della mancanza di amore di sé. Inutilmente vagano per il mondo alla ricerca di qualcuno che abbia la chiave per aprire la loro prigione dall’esterno. Cercano nuovi amici, nuovi amori, nuovi analisti, nuove guide ideologiche, maestri, guru, lama che svelino loro il segreto della parola magica e li liberino dall’isolamento. Ma la porta della prigione si apre soltanto dall’interno, e loro stessi sono la chiave che può aprire quella porta. La liberazione dalla prigionia nell’Io inizia con l’amore di sé.

Nel Buddhismo non esiste il concetto di redenzione dall’esterno, ma soltanto quello dell’autoliberazione, che implica amore e liberazione dalla prigionia dell’Io. Soltanto l’esperienza personale può aiutare a comprendere questo paradosso.

L’alterità individuale, come per esempio l’appartenenza ad una razza diversa, un handicap, un difetto, un interesse sessuale che contraddice la norma, il mancinismo, un talento straordinario o un vizio disprezzato, indica la fondamentale alterità di ogni essere umano. E’ importante identificarsi con la propria alterità individuale in modo da dedicare un’attenzione amorevole a questo particolare tesoro.

“Tessere un bozzolo con il filo di seta della propria anima, farsi crisalide e attendere la trasformazione” [Strindberg] rende possibile un nuovo orientamento basato sulle proprie risorse.

Che cosa accade in me se non rifuggo la solitudine come un qualcosa di negativo ma divento tutt’uno con essa, ne traggo energia e ne faccio un potenziale di sviluppo? La risposta a questo interrogativo può venirci dalla meditazione, intesa non come contemplazione o visualizzazione di immagini, ma nel senso del buddhismo, soprattutto Zen, come vigile non agire, lasciando consapevolmente che i processi corporei avvengano, specie nel respiro nel suo andare e venire, in rilassata, benevola attenzione verso ciò che spontaneamente accade in noi, in una postura del corpo che stimoli questa attenzione.

Così, nella meditazione emerge che solitudine e amore per l’altro sono identici. Nell’abbandonare ciò che è mio e ciò che è tuo, scopriamo che “la sostanza dell’universo non può strapparsi” [Pierre Teillard de Chardin]; che stare bene con se stessi significa al tempo stesso essere nel mondo o, meglio ancora, essere il mondo; che il corpo con i suoi organi di senso, così come il resto del mondo, sono rapporti, legami ed energia pulsante; che esiste un unico amore indiviso, cioè l’amore per tutto ciò che esiste; e che, infine, l’amore non è altro che questo vigile, ardente essere nel rapporto, che crea unione. Nei momenti di silenzio interiore l’uomo riconosce l’illusoria natura dei pensieri che lo separano dalla vera vita, dall’amore.[Pirandello, L’umorismo].

Ogni segreto è racchiuso nell’arte del lasciarsi andare, del non opporre resistenza.

La compostezza significa rinunciare a ciò che vuole la mia volontà isolata e accettare ciò che ora vuole accadere, essere disponibile, lasciarmi coinvolgere dal reale e perseguirlo.

E’ magnifico essere solo se quell’uno in cui vivo la mia solitudine è il mondo.

Un giorno l’uomo si trova scaraventato nel mondo, come in una “nascita prematura” che dura per tutta la vita, sentendosi familiare ed estraneo al tempo stesso, riflettendosi nell’altro e avvertendo un’abissale diversità. Può ribellarsi a questa contraddizione e diventare un insulso ottimista che nega la segreta agonia dell’essere separato, o diventare un insulso pessimista che rifiuta la sicurezza e la vicinanza. In alternativa, può affermare questa contraddizione: l’amore e la distanza dall’amore, la similarità e l’alterità, il calore dell’essere abbracciato e la freddezza dello spazio vuoto. Amandosi come totalità, egli scopre un nuovo amore e si lascia alle spalle il vecchio amore fatto di debolezza e disperazione, in cui tratteneva ed era trattenuto, era vittima e carceriere. Sperimenta ora un nuovo amore che riunisce in sé distanza dall’amore e essere non amato; un amore discreto e ardente che incorpora la solitudine; un amore che non ha un fine specifico ed è quindi aperto e disponibile; un amore che, amando le ferite d’amore, le guarisce.

La ferita che il non amore ci ha inferto è il ventre dal quale veniamo generati molte volte.

articolo a cura di Simona Di Profio