Biennale Arte Dolomiti 2018


Nella splendida e austera cornice dell’ex Caserma Monte Rite prende vita la seconda edizione della Biennale arte Dolomiti, promossa e organizzata dall’Ass.Culturale Biennale Arte/PaiviProArte.Com.

La mostra dopo il grande successo della prima edizione ritorna con un tema molto particolare ed emblematico chiamato: il “Rosengarten” – il giardino delle rose. La delicatezza del petalo che si contrappone alla durezza della roccia nell’infinito scontro tra natura e uomo.

L’idea del giardino delle rose prende spunto da due elementi, la volontà di ricreare una zona di pace in cui mostrare le visioni artistiche dei quarantaquattro autori provenienti da ogni parte del mondo e recuperare, mostrandola, una parte della nostra storia recente.

Il tema proposto dall’organizzatrice Paivi Tirkkonnen va però oltre. La sua infatti, pare essere una ricerca più profonda, che sfocia nella semiotica del segno, inteso come interstizio, cicatrice fisica o mentale che l’uomo lascia su se stesso e su ciò che lo circonda.

L’esposizione si apre con la testimonianza diretta dell’artigliere Elio Humouda che ci svela e racconta della sua permanenza all’interno della Caserma Rite in uno dei numerosi campi invernali svolti durante il periodo di leva. L’inchiostro si unisce ben presto però al murales dell’artista brasiliano Andruchak. Un segno vitale e pieno di vita il suo, che attraverso arabeschi e simboli riesce ad inserire, trasformandolo, il significato di libertà e unione dei popoli che l’uomo troppo spesso dimentica di avere.

Proseguendo il nostro viaggio all’interno delle sale restiamo colpiti dalla quantità e varietà di opere presenti. Dalla fantastica installazione video performativa: “In Between” di Veronica Fernandes Schell e Pierre do Vale alla performance di Uko Sepsivart. Opere lontanissime per genere e forma che vengono accomunate dalla volontà di esplorare il mondo delle emozioni e della scultura. Il coro di voci però non si conclude qui e passando per l’australiana Karee S Dahl si arriva all’opera regina di questa kermesse, quella dell’austriaco Reinhald Schell. La sua installazione chiamata “Peace” del 2018 altro non è che una colomba composta di filo di ferro dentro ad una gabbia troppo stretta.

Proseguendo al piano superiore troviamo l’estone Kristin Reiman, che con la sua opera: “Dolby Toblerone” riproduce centinaia di piccole copie del monte Cervino formando una struttura piramidale che ha il duplice scopo di occupare lo spazio e produrre silenzio. E’ qui che si svelano le illustrazioni puntiniste e antropomorfiche di Daniel Torres che ci accompagna con il suo stile realistico e grottesco verso l’opera regina presentata da Yoko Ono.

Nutopia” pur nella sua semplicità è un appello alla pace. Un addio alle armi, in favore di una tregua ormai sempre troppo fragile fra i popoli e le religioni. Una carezza silenziosa che chiude una Biennale ricchissima e ben organizzata che ci lascia dopo la visione il suo coro di voci. Che rimangono dentro di noi in quell’interstizio cavo, chiamato memoria.

Christian Humouda

La Grande Madre – Palazzo Reale Milano 2015


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Inno a Iside

Perche’ io sono la prima e l’ultima,
Io sono la venerata e la disprezzata,
Io sono la prostituta e la santa,
Io sono la sposa e la vergine,
Io sono la mamma e la figlia,
Io sono le braccia di mia madre,
Io sono la sterile, eppure sono numerosi i miei figli.
Io sono la donna sposata e la nubile,
Io sono colei che da’ la luce e colei che non ha mai procreato,
Io sono la consolazione dei dolori del parto.
Io sono la sposa e lo sposo,
E fu il mio uomo che mi creo’.
Io sono la madre di mio padre,
Io sono la sorella di mio marito,
Ed egli è il mio figliolo respinto.
Rispettatemi sempre,
Poiché io sono la scandalosa e la magnifica.

La splendida cornice milanese di Palazzo Reale ospita “La grande Madre”, una mostra totalmente al femminile ideata e prodotta dalla Fondazione Trussardi.

Lo scopo dell’allestimento è quello di ripercorrere attraverso le 138 opere di artisti nazionali e internazionali, la condizione della donna nel suo ruolo essenziale di genitrice e madre. Le installazioni distribuite nelle trenta sale dedicate, raccontano l’evoluzione storico-culturale della figura femminile nella società di ieri e di oggi. Un percorso ambivalente quanto spesso distorto che esprime attraverso accezioni piuttosto forti il contrasto emozionale tra l’accettazione e la negazione della maternità.

Il percorso tematico proposto dalla mostra porta a suddividere, scandendoli, i diversi periodi storici dell’emancipazione. Gertrude Kasabier e Alice Guy-Blachè artiste a cavallo tra Ottocento e Novecento mostrano attraverso i propri lavori filmici e fotografici la gioia della maternità e l’accettazione più o meno volontaria del proprio ruolo.

Le immagini accompagnano lo sguardo verso “l’Abakan red I” di Magdalena Abakanowicz. Un tessuto rosso dalla forma a cuore che porta al centro una cicatrice evidente, simbolo spartiacque tra passato e futuro.

Un viaggio allo stesso tempo emblematico ed emozionale che si dipana e divide in un percorso tematico creato ad arte per destabilizzare le normali convinzioni e svelare nuove consapevolezze.

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Copyright photo Christian Humouda

Le linee somatiche delle antiche divinità si sovrappongono a quelle delle donne moderne, mentre sullo sfondo appare la terra e i suoi frutti simbolo di fertilità.

L’avvento della ragione, Freud e la sua psicoanalisi si scontrano con le opere modernissime di Lucio Fontana. La rivoluzione femminista degli anni sessanta e la rivendicazione di una più libera sessualità sfocia nel manifesto futurista di Marinetti che definisce la lussuria come: “la ricerca carnale dell’ignoto”. E ancora l’istallazione gigantesca e vivissima di Jeff Koons che si contrappone alla performance di “me and my mother” dell’islandese Ragnar Kjartansson fino ad arrivare alla cerva ferita dipinta da Frida Khalo.

L’unione tra antico e moderno è ancora evidente nel fazzoletto indossato dalle madri di Plaza de Mayo e il muro di Yoko Ono, che vanno a sovrapporre l’emozione di un condiviso quanto diverso ricordo.

E’ questa la grande madre, la dea suprema dispensatrice d’amore e di psicosi, la grande vagina che si storce scandalosa e candida nella parola mamma.

Christian Humouda