(Officine d’Autore) – Intervista ad Alessandro Gabriele


Oggi vi porto a conoscere un autore, che già avete avuto il piacere di leggere in queste pagine, Alessandro Gabriele.
E’ uscito da poco il suo libro “Geografie Fuori Luogo” edito dalla Smasher.

Dalla quarta di copertina del libro:

“Cosa fare a La Paz, a Genova, a Baghdad quando sei perso; un cofanetto di esorcismi per fantasmi d’amore; come resistere a un’invasione che si annuncia via radio e altre storie di viaggio quotidiano. Sedici paesaggi geografici e interiori si snodano in queste pagine…Noi o altro da noi che ci riguarda, la pelle, le parole, i luoghi, gli incontri, ogni cosa si rende necessaria nel grande itinerario terrestre. Geografie è anche una piccola guida di viaggio per cercatori di destino.”

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“C’è il tuo silenzio all’inizio di questa storia, il tuo silenzio e il mio, pieno di parole strette tra i denti, che non mi lasci dire. C’è la tua mano che mi preme sulle labbra e l’altra che mi afferra stretta alla vita, mentre i capelli mi si sciolgono e io per un attimo eterno perdo il filo del tempo, e il sole fa uno scatto improvviso verso l’orizzonte, rendendo pericolosamente rosse le pietre di questa città.”(5 – Ramallah)

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Ciao Alessandro, presentati e parlaci di te.

E’ un po’ imbarazzante. Sono del 62, un Sagittario appassionato di culture e di Jung, scrivo, “giro e vedo (poca) gente”(cit.), appena posso prendo un aereo o una macchina o tutt’e due e me ne vado il più lontano possibile, quanto consentono le finanze del momento. Sto cercando di tirare giù i frutti alternativi della mezza età e mi perdo volentieri nel mondo di dentro, dove ci sono tesori di robe interessanti, comprese molte risposte ai quesiti collettivi del mondo. Avrei amato fare una di quelle professioni canoniche che ti prendono a diciottanni e ti scaricano alla pensione naturalmente, senza deviazioni. Invece il mio curriculum somiglia un po’ alla Salerno-Reggio, la nostra africa stradale, un patchwork di esperienze ai limiti del fallimento produttivo che avrà fatto sorridere o giocare a paper-basket diversi selezionatori, chissà. Gran parte dei miei lavori sono stati impiegatizi, impegni che ho dato in “prestito” per inseguire mete faticose, personali e collettive, che non mi riguardavano esattamente. Fondamentalmente, ho “imparato a scrivere” nei miei anni alla cayenna informatica, tra una riunione di consulenti incravattati e uno di quegli arzigogoli logici della programmazione o della sistemistica che spezzano le cervella, in mezz’ore furiose di travasi animistici, di nascosto a colleghi e capi-ufficio, con l’incombenza del rientro cristologico del pendolare romano, al maledetto capo opposto della città.

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“L’attitudine di farsi scivolare addosso ogni porcheria, la massa delle incombenze che ci ipnotizzano, la crosta di ultracorpo intangibile in cui imbozzoliamo la pena e la seccatura residua, quell’inerzia di schiavo che ci rimane dopo la centrifuga, nel potere assoluto di una faccia globale che governa tutto, una faccia che non si sa bene, se non che è piena di rughe che hanno l’andamento e la distribuzione dei grafici finanziari.”(14 – Roma Termini)

Estraggo dal tuo blog: “Si scrive per ridurre le distanze, per disegnare una prospettiva, tra l’intima lontananza di sé e l’orizzonte fisico che attende i tuoi passi. “ Qual è la tua prospettiva e come nasce il tuo blog?

Idealmente, mi piace rappresentare il percorso della vita come una tensione dinamica perlopiù irrisolta, una specie di lungo trekking che si muove tra l’universo interiore e quello del mondo visibile, sociale, incorporando azioni, sogni, deviazioni, relazioni, scavando il significato con attrezzi inclusivi. Avere una coscienza delle cose che ci riguardano, pubbliche e private, che sono infinite, a volte contraddittorie e spiacevoli, è un po’ il compito di ognuno al mondo, la radice dell’umanità se vogliamo, e anche della salute mentale. La scrittura può essere un mezzo di ricerca e una sintesi fenomenale di questo processo, penso a una scrittura che diventi febbre, metodo, ma anche svelamento e confronto, movimento verso il collettivo. Scrivere di domenica o scrivere per riempire i cassetti o i circuiti mediali degli amici o gli scaffali delle accademie non è un’attività tanto auspicabile, secondo me.
Non so bene da dove venga fuori il mio blog, so che nasce in ritardo, l’anno scorso, dopo che per anni avevo cordialmente detestato il suo formato mediale personalizzato. Per diversi motivi avevo smesso di scrivere, tre anni in cui m’ero avvicinato ai mondi della pubblicazione editoriale ma niente di quello che m’era stato proposto mi soddisfaceva in pieno, è stata un po’ la vecchia storia del gioco e della candela, fino a piantarla lì. Poi qualcosa è maturato, forse anche una piccola ribellione sensata contro il concetto di finalizzazione produttiva, ho affidato al blog il bagaglio dei miei desideri di fuga e ho aspettato che il mezzo mi desse una mano a chiarire e formulare nuovi obiettivi, non solo nel campo della scrittura.
Ho ricominciato naturalmente a scrivere senza pormi obiettivi, focalizzandomi su uno dei miei piaceri preferiti, quello di spostarsi, viaggiare, esplorare ambienti diversi, una cosa limpida e pura su cui sono tornato retrospettivamente, scrivendo le mie esperienze in forma di reportage, all’inizio, per ritrovarmi in breve nell’ambito del racconto di invenzione. E’ un po’ successo che dalla narrazione dei miei ricordi s’è rifatta strada la fiction, fa un po’ ridere ma mi sono in parte “riscritto” e completato, inoltre ho preso vecchi racconti e li ho ri-editati o re-interpretati, tutto questo lavorio è finito nel laboratorio del blog, poi è stato filtrato e messo in posa per Geografie Fuori Luogo, la mia prima antologia di racconti.

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“E cosa ci diremo, ancora, in breve. Cosa sembreremo, in una lettera fuori dal tempo, possibilmente, ritrovata dietro una libreria, una di quelle piccole vergogne che capitano agli amati come noi. Che mentre finivi la doccia l’attesa non passava mai. Allora mi sono alzato dal letto, sono sceso nella hall e ho parlato il mio inglese fascinoso col boy della reception. Gli ho chiesto se per caso servisse una pistola, nel caso a uno venisse voglia di fare due passi fuori. Lui ha riso come Jim Carrey, con una bocca spropositata. Non ha capito che non stavo scherzando.”(8 – Near Manhattan)

Geografie Fuori Luogo, come mai questo titolo? E come hai scelto i racconti che ne sono contenuti?

Il titolo è arrivato prima dell’idea dell’antologia, è stata una di quelle intuizioni da asporto che capitano sotto la doccia, fischiettando, una mattina; mi sembrava elastico, suonava bene, comunque. Poi ci ho meditato un po’, sentirsi fuori posto in qualche momento-luogo è una delle esperienze comuni alla coscienza di tutti, di mio ci metto un’attitudine particolare a sdoppiarmi, ad evadere dall’obbligo dell’esserci pienamente, una geografia e un tema fondante per me, una cosa che m’ha creato diversi problemi in passato, finchè per amore o per forza il demone non s’è un po’ placato e s’è messo a scrivere e ad andarsene in giro per il mondo anche in solitaria, bontà sua. E dunque viaggiando fuori dall’occidente e dai binari del turismo di massa, quanto possibile, si incontrano circostanze e persone e culture per cui appariamo noi quelli dissonanti, fuori norma, ci si raschia sempre un po’, in definitiva; ma anche quando abitiamo luoghi familiari ci sono le incognite, le domande fondamentali, i destini e l’amore che ci sfuggono, cose che occupano luoghi precisi del corpo emotivo che ci contiene, messi per lo più su percorsi di cui ci sfugge una localizzazione compiuta. Ciò che tiene vivi è una dissonanza, in effetti.

“Siamo sempre quel buio cui è destinato un controluce improvviso,
non abbiamo altre bussole al collo.”(7 – Celestun)

La scelta dei racconti è avvenuta sulle coordinate della extra-territorialità geografica o emotiva, posti interessanti o particolarmente densi dove sono passato, compresa la metropolitana di Roma dove l’ambiente ti fa sentire facilmente il Blade Runner degli sfigati. C’è poi un racconto di fantascienza, mia antica passione adolescenziale, sono arrivato a possedere qualche centinaio di Urania, al tempo. In subordine, il criterio è stato selezionare scritture con registri anche un po’ differenti tra loro, ma comunque di un livello che ho ritenuto essere sufficientemente congruo e maturo.

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Ciò che scrivi nel libro, ci mette davanti ad un modo di vivere diverso, quanto di questi luoghi è rimasto in te?

Molto, naturalmente; è anche vero che, da altro punto di vista, luoghi sconosciuti illuminano parti di te al limite del percepibile, e quando questo succede quei luoghi te li prendi e li tieni stretti. Un buon esempio può essere il reportage di viaggio che apre l’antologia, non a caso, l’esperienza del passaggio in un non-luogo perfetto, la Guinea Bissau e le isole Bijagos, che ho raggiunto faticosamente tra le secche organizzative e lo sfacelo sociale di quella che è la quart’ultima economia del mondo. E’ stato un viaggio molto intenso in cui mi son trovato a domandarmi seriamente che senso avesse spezzarsi la schiena e annoiarsi giornate intere su taxi collettivi e camion lentissimi che sembrano non arrivare mai. Ho concluso provvisoriamente che avessi bisogno di mettermi alla prova, di confrontarmi col limite esistenziale, per ordini di motivi che ancora non afferro pienamente. In ogni caso, mediamente, gli africani sopravvivono alla scarsità e all’eterna attesa che passi un veicolo buono con una compostezza e una dignità che sbalordiscono; anche solo questa percezione è qualcosa di buono da portarsi a casa, così come fermarsi mezza giornata a osservare come i meccanici locali intervengono sulle vecchie Peugeot 504 crollate in assenza totale di pezzi di ricambio: veri scultori della giunzione a fuoco, dell’incredibile ferraglia arrugginita da riciclo con cui compiono miracoli. E noi ce la meniamo col marketing dei prodottini mentali del Downshifting.

“Così adesso, come uno sputo in partenza dal labbro schifato del deserto libico. Solleviamo le nostre ossa rosicchiate di visioni, il kif ci ha pascolato zonzo dentro sogni diversi resi lucidi e crudeli dalla fame. Adesso è il momento di dirci: barca stronzo pidocchio presto!”(16 – Nero a Settentrione)

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Fuggiresti in uno di questi luoghi? Se si quale? E a fare cosa?

Oh si, questo è un sogno che mi insegue da che ho memoria, una fisima nata da bambino, suggeritami dalla frequentazione degli eroi di Emilio Salgari e dalle carte geografiche didattiche degli anni 60, quelle con il rilievo delle figure degli animali e dei selvaggi locali, cose che mi facevano sgranare gli occhi a lungo, vere piccole ipnosi precoci. In realtà sono già fuggito in tutti questi luoghi e in molti altri ordinari non-luoghi, molto vicino casa. C’è un appartamento a Roma, al Prenestino, un sesto o settimo piano fatto di intonaci anneriti e scrostati, con un grande balcone assurdo al livello della truce rampa di tangenziale che gli passa sotto il naso, dove andrei a dormire volentieri un paio di notti alla settimana.
Proseguendo, non mi piace nemmeno troppo l’idea di spiantarmi completamente in qualche isola felice, penso concretamente a uno o più luoghi dove mettere piede seriamente, per periodi di tempo che consentano di mischiarsi con la vita e la cultura locale, col biglietto per l’Italia in tasca un paio di volte l’anno. Due sono le regioni terrestri che ho candidato al progetto, Centramerica e India. Credo anche che, pacificato e liberato se stesso, ognuno abbia l’opportunità di scoprire attività di “lavoro” naturali, ecologiche e produttive a completamento del piacere di vivere ed esserci, semplicemente.

Cosa pensi dell’Italia oggi? Del suo futuro?

Non lo so, ritengo che in merito abbia già detto tutto il politico più fine e incisivo che abbiamo avuto negli ultimi cinquant’anni, uno che si chiama Corrado Guzzanti.

“Dovrò trovare il coraggio di smettere di accarezzarla, ora, come se fosse questo l’ultimo dei giorni e io, solo una lontanissima frazione di me che testimonia in silenzio. E andarmene stanotte stessa, forse, prima ancora che le torni tutta intera questa vita sorprendente, un po’ malinconica, che teniamo nascosta negli occhi.”(9 – Jaisalmer)

Ringrazio Alessandro per questo viaggio attraverso il suo libro, attraverso il suo punto di vista.

Libro acquistabile tramite l’autore e/o la casa editrice: http://www.edizionismasher.it/alessandrogabriele.html

Cosa cuoce in forno… report della presentazione “A’ Pizza” di Tommaso Esposito


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Il giorno 7 Febbraio del corrente anno, presso la Distilleria Feltrinelli di Pomigliano D’Arco, l’arcael’arco edizioni ha presentato il suo nuovo libro “A’ Pizza, viaggio nella canzone napoletana” di Tommaso Esposito, con CD musicale di Enzo e Floriana, quarto libro nella collana “Saperincampania.it”.

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Il libro è un lavoro ampissimo che attraverso la riscoperta delle canzoni napoletane (molte delle quali dimenticate, tra cui una risalente addirittura al 1500, di cui soltanto due erano state incise prima d’oggi) cerca di riscoprire uno degli elementi tradizionali della cucina partenopea.

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L’editore apre la serata introducendo la collana (e il portale web) “Saperincampania.it”, collocando il lavoro in un contesto più ampio di valorizzazione culturale del suolo campano.
Il palcoscenico è riempito da elementi che hanno una storia ed una carica culturale personale e vissuta, un esempio è la maschera di pulcinella data in prestito dal Museo di Pulcinella di Acerra.

Come succede spesso con l’arcael’arco edizioni, non ci troviamo di fronte al solito evento dove uno scrittore viene posizionato ex cathedra a parlare del proprio lavoro: il pubblico viene immerso totalmente all’interno dell’opera, grazie all’utilizzo di alcune canzoni presenti all’interno del CD, arrangiate da Enzo Sirletti alle chitarre, con la splendida e vibrante voce di Floriana D’Andrea.
La recitazione è invece affidata ad Antonio Clemente che meraviglia gli spettatori con descrizioni dal gusto antico del mondo del pizzaiolo.

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Nella poetica del modo di fare la pizza si ritrova la caratteristica melodia della tonalità napoletana che si trasmuta in pochi attimi in canzone.
Ma anche il teatro è elemento centrale della cultura napoletana, e nessuno – meglio della maschera di Pulcinella – può risvegliare nello spettatore un ricordo di infanzia spesso assopito. L’attore interpreta in modo incredibile e commovente la maschera, con movenze che emozionano anche l’osservatore più freddo, e con una vocalità espressiva di incredibile chiarezza e immedesimazione.

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Il Napoletano deve valorizzare i propri prodotti ed andarne fiero, deve rispettare il proprio territorio perché la tradizione è un punto per ripartire: questo è il concetto chiave con cui conclude Tommaso Esposito, ricollegandosi all’introduzione dell’editore.

Dopo la presentazione i presenti sono stati invitati alla degustazione di prodotti classici e/o rivisitati nello stupendo piazzale de La Distilleria di Pomigliano.
Dai vini rossi come quello di Gragnano e i bianchi, alla mozzarella di bufala (prodotto Campano con Denominazione di Origine Protetta), per poi arrivare a rivisitazioni dolciarie (come una mozzarella con ripieno al pistacchio)… Naturalmente, non poteva mancare una magnifica pizza “chiusa a portafoglio” (ne sono state sfornate 648), forgiata da un sapore unico a partire dall’impasto, morbido ma non gommoso, che faceva da preludio all’inconfondibile sapore di pomodoro partenopeo ricoperto da mozzarella e basilico.

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Le fotografie sono state prese dalla pagina Facebook LaDistilleriaRestaurant Pomigliano.

LINK
Il libro su l’arcael’arco edizioni: http://www.larcaelarco.it/shop/it/41-a-pizza.html
Saperincampania: http://www.saperincampania.it/
La Distilleria Feltrinelli di Pomigliano: http://www.la-distilleria.it/

“In nome di Eros”, la sessualità poetica di Cristina Tafuri


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Avvampami,
esplorami, perforami.
Annusami,
osservami, esplodimi.
Avvolgimi,
accarezzami, amami finalmente.
Amami con rabbia,
annaspa tra i pertugi del mio corpo,
come un animale fiuta il mio sesso e
poi placando l’onda
che maestosa si alzò
trova porto sicuro nella mia insenatura.

“In nome di Eros”, come tutte le pubblicazioni de l’Arca e l’Arco edizioni, non è solamente una raccolta di liriche, ma un’opera d’arte completa.

Le ventitre (che suona quasi come ventre) poesie di Cristina Tafuri sono infatti armonizzate da sette chine di Antonio Petti, da una copertina di Enzo Lauria, da una dedica di Sonia Tafuri e da una post-fazione di Vinz Notaro.

Già dalla prima lirica ci rendiamo conto della potenza “atomica” e sessuale dei versi che travolgono e incuriosiscono il lettore. Si tratta di un Eros pieno di odori, sapori e sensazioni che si sviluppano oltre il semplice piano fisico e sfiorano sfere mentali e oserei dire spirituali.
C’è una tendenza a trascendere la propria sessualità e a penetrare in quella dell’amante, infatti, Vinz Notaro nella sua post-fazione rende ben presente la perplessità del lettore che più volte torna a rileggere il nome dell’autrice per capirne l’identità: “Siamo dinanzi a un ardito apparentemente eterogeneo di prime persone differenti: se non fosse per il fatto che abbiamo già appreso che l’autore è una donna, probabilmente ci domanderemmo se di autore ce ne sia addirittura più di uno”.

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Le chine di Antonio Petti si estendono e si imprimono nel lettore, creando un sottile filo nero che lega tra di loro le poesie in modo stretto, incatenando il lettore fra le linee dei versi e le macchie della china.
Un percorso erotico che sfiora l’orgasmo ed afferra saldamente il piacere. Un viatico già tracciato, comunque, dalla splendida copertina di Enzo Lauria, che nella semplicità ha trovato la chiave di apertura e di chiusura del testo.

La poesia è “Avvampami”, pag. 20.

LINKS
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Esiste ancora l’Onesto Uomo? Recensione de “Il Demone Interiore” di Thomas Toderini d.G.d.V.


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Il 18 Settembre 2013 l’Anguana Edizioni ha pubblicato “Il Demone interiore”, Saggio sulla Morale Filosofia, di Thomas Toderini dei Gagliardis dalla Volta. Il testo è già candidato per la XVIII edizione (2014) del premio letterario Internazionale “Il Molinello”.

Il trattato si ispira ad un’opera di Giambattista Toderini (abate e poligrafo, nonché antenato dell’autore) intitolata “L’Onesto Uomo”. Si articola in 18 ragionamenti che si dispongono in conformità con l’antico documento del 1780.
Gli argomenti trattati riguardano Dio, l’Onesta, la Virtù, la Temperanza, la Giustizia, la Beneficenza, la Liberalità, la Magnificenza, l’Umanità, l’Amor della Patria, l’Appetito, l’Avarizia, la Finzione, il Lusso, il Suicidio, i delitti e le pene dell’uomo non onesto e infine la Felicità.

Apparentemente il testo sembra una modernizzazione delle idee dell’avo: sono infatti spesso presenti notevoli rimandi a “L’Onesto uomo”, nonché confronti filosofici con il prozio. Dal “ragionamento” con il proprio antenato spesso si evince anche una ricerca che l’Autore fa nel proprio animo, dando uno sguardo a chi ha percorso quel sentiero prima di lui.

Si tratta sicuramente di un testo innovativo, che condensa idee attuali ed una filosofia pratica della vita. Il fulcro è l’uomo moderno, troppo preso dalle fesserie che trasmettono i Mass media, si allontana dal pensiero di Dio e quindi anche da se stesso.
«È interessante notare quante analogie si ripetano tra il popolo “timorato di Dio” del ‘700 e quello di oggi dove Dio, non rappresenta quasi più un problema… forse non è bello da dire, ma il timore è che sia proprio così: Dio non è più un problema!»

E quindi chi è l’onesto uomo per Thomas?
«Oggi “L’onest’uomo” non è più una persona che si attiene con devozione ed ossequio alle regole imposte dalla società (probabilmente non lo è mai stato!), ma è colui che smette di scendere a patti con l’Anima e si fa traghettare fiducioso da essa nel fiume della Vita per arrivare, magari inconsapevolmente, al mare: Dio.»

Un testo sicuramente interessante per chi ha intenzione di avvicinarsi alla filosofia senza averne alcuna base, infatti, l’autore esprime principalmente ciò che ha appreso attraverso i suoi viaggi e durante la sua vita.

Da notare che come immagine di copertina c’è una magnifica foto di Toderini intitolata “Swami”.

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Quanto è stato importante per te e per la tua crescita riscoprire le tue origini genealogiche?

E’ stato estremamente importante! Soprattutto passando attraverso una serie di paradossi che mi hanno portato a dover uccidere il Buddha dopo averlo incontrato per strada…
Mi spiego meglio: da oltre vent’anni mi dedico allo studio della storia della mia famiglia e questo mi ha portato ad ampliare certe conoscenze storiche, politiche e linguistiche.
E’ successo che dopo molti anni di studi e ricerche, mi sono gradualmente reso conto di essermi fatto assorbire troppo dalla mia famiglia, perdendo parte della mia individualità.
E’ come dire che per identificarmi nel “noi” della mia famiglia, avevo perso il mio “io”.
Può sembrare un discorso astratto quello che sto facendo, ma in realtà è stato proprio attraverso la percezione di come mi sia immedesimato troppo in un cognome, in una stirpe, in una storia, che ad un certo momento è subentrata la ribellione dell’io che mi voleva protagonista del mio presente, della mia vita e non semplice comparsa nella cronaca della mia famiglia…
Un certo tipo di percorso di crescita mi ha portato a capire che era arrivato il tempo di concentrarmi sul mio adesso, più che sui miei passati, recenti o remoti che fossero.
Senza l’acquisizione di questa consapevolezza, con tutta probabilità non sarei mai riuscito a realizzare “il demone interiore”…

Parli spesso del tuo operato nel campo del Volontariato. Quanto è realmente utile alla formazione di un “Onest’uomo”?

Il volontariato di cui parlo spesso ne “il demone interiore” è ed è stato certamente una componente primaria nella mia vita. Nella premessa del mio libro e poi all’interno di vari capitoli, ho specificato più volte il fatto di non volermi arrogare in alcun modo il titolo di “modello da seguire”, nel senso che non credo di poter incarnare i tratti della rettitudine necessari a far di me il simbolo dell’“Onest’uomo”. Certamente ho ambito ed ambisco a vivere con coerenza i miei sentimenti, anche attraverso attività che mi diano qualcosa dal punto di vista ideologico, morale, più che materiale.
Il fatto di aver spesso parlato di volontariato nel mio libro, si rifà alla necessità di raccontare qualcosa di vero, di vissuto: le esperienze maturate a contatto con persone che possono usufruire del mio aiuto, sono molto importanti, perché riescono a darmi la dimensione di quello che si traduce in uno degli scopi primari dell’esistenza umana, ovvero il servizio!
La natura ci fa da maestra in questo, in quanto tutto ciò che vi è nel creato lavora in maniera completamente gratuita ed armonica per lo sviluppo e la continuazione di tutto e di tutti. In natura non c’è niente che tragga un vantaggio soggettivo dal proprio operato. Tutto si svolge in funzione del Tutto e questo è Divino! Così nel volontariato ho compreso in parte l’essenza del Tutto e quindi del Divino, attraverso il darsi e donarsi a vantaggio della collettività, senza ricercare un mero beneficio personale.
Per tornare alla tua domanda, credo che l’Onestà possa essere ambita e raggiunta anche attraverso l’ausilio di opere, imprese che facciano emergere in noi la capacità di potersi dare al prossimo gratuitamente, ma soprattutto volentieri.

Ci racconti di come ti sei avvicinato allo gnosticismo, e di come ha influito su “Il demone interiore”?

Lo gnosticismo è diventato una necessità per me. E’ arrivato un momento nella mia vita in cui non potevo più accontentarmi delle storie che mi venivano raccontate, o peggio inculcate, attraverso “testi sacri” frutto di palesi manipolazioni.
Iniziare a leggere tra le righe di bibbie, vangeli, corani, veda e chi più ne ha più ne metta, mi ha portato a ragionare sul fatto che le nostre “guide spirituali”, siano poco inclini a raccontarci la “Verità”. I miei percorsi di crescita, attraverso profonde meditazioni e lunghi viaggi, mi hanno portato a considerare il fatto che se è vero che esiste un’unica grande “Verità”, è anche vero che per raggiungerla esistono milioni, miliardi di strade differenti.
Il Cristianesimo, così come l’Islam o lo Shintoismo c’indirizzano verso una conoscenza della “verità” che passa attraverso contesti storici, culturali, popolari, ma che molto spesso non tengono in considerazione le “ragioni” degli altri movimenti religiosi… In realtà il nostro limite è la religione stessa, perché non possiamo continuare a nutrire l’idea che non possa esistere altro Dio all’infuori di quello che la nostra cultura ci ha favorito. Dio non è confinabile all’interno di un movimento religioso, o di un’icona, o di un tempio o quello che si vuole. Dio è la Conoscenza stessa e questa Conoscenza è immensa e contiene il “Tutto”.
Noi, parte di quel Tutto, siamo la Conoscenza e quindi siamo Dio. Questa è la Verità che da sempre ci è stata negata, ad esclusivo vantaggio di quegli enti, quelle organizzazioni che detengono e voglio detenere il potere sulle masse.
Il mio non è un discorso basato sulla moderna tendenza al complottismo, ma un’analisi accurata di quello che sto vivendo giorno per giorno, nel lavoro, nella società, nei rapporti famigliari ed amicali, cercando di enuclearmi da tutti quegli standard che il sistema ci propone per essere in linea con le mode, le tendenze… Omologati, tanto per usare un termine comune.
Lo gnosticismo mi ha chiaramente portato ad una ricerca più profonda della Verità ultima, soprattutto attraverso una appassionata indagine interiore che non vede un traguardo, ma una costante attività di proiezione di me stesso verso un complesso molto più ampio: l’Universo e dunque Dio.
Quindi, tanto per usare un frase fatta: “Sono molto distante dalla Chiesa, come da qualsiasi religione. Non ho più bisogno di qualcuno che mi parli di Dio, perché Dio lo riconosco in ogni cosa”.
Questo ovviamente, senza escludere il fatto che io possa aver molto da imparare da tutti e da tutto, certamente anche e ancora dalle religioni…

BIOGRAFIA
Thomas ToderiniNato nel 1974 nella campagna padovana dove tuttora vive. È appartenente alla stessa famiglia del poligrafo Giambattista Toderini dal quale è ispirato il presente libro. Si qualifica come disegnatore grafico pubblicitario nel 1992 a Padova. Nello stesso anno si applica allo studio della genealogia, all’araldica e delle scienze documentarie della storia. Appassionatosi fin da giovanissimo alla musica e alla letteratura, diviene compositore ed autore nel 1997. Sensibilmente stimolato da vari viaggi che lo hanno portato in giro per l’Europa fino ad arrivare in India passando per l’Albania e la Bosnia Erzegovina, ha avuto l’importante privilegio di confrontarsi con varietà e traendo impulso fondamentale per la realizzazione del libro. Tra le varie attività a cui si presta con dedizione, oltre ad essere operatore olistico, vive un costante impegno in favore dei più bisognosi svolto a fianco di varie associazioni. Oltre alla presente opera, rimangono inedite alcune raccolte di “componimenti” e di studi di carattere araldico e storico e la riedizione restaurata de “L’Onesto Uomo”. Quest’ultima può essere consultata al seguente link: http://www.youcanprint.it/youcanprint-libreria/saggistica/lonesto-uomo-toderini.html

LINKS
http://www.anguanaedizioni.it
http://www.facebook.com/ildemoneinteriore
http://www.facebook.com/pages/Anguana-Edizioni/175874665880371
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“Con i tuoi occhi”, intervista a Lorenza Ghinelli


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“Irma ha solo otto anni, vive a Rimini e ha capito che la vita cambia in fretta, e spesso non in meglio. Suo padre ha fatto carriera, la madre è presa da un’altra gravidanza e così passa le giornate con la nuova babysitter, una ragazzina di soli tredici anni, ribelle e sessualmente spregiudicata, che irrompe nella sua vita come un tornado. Con lei Irma conoscerà troppo presto i segreti del sesso e l’infanzia scivolerà via lasciando spazio a giochi perversi e sconosciuti.
Carla, invece, è cresciuta a Favignana, in una famiglia affettuosa e attenta. Porta con sé il vigore dell’isola siciliana, brulla e selvatica, il calore del sole che rimbalza sul mare, le linee decise delle rocce calcaree, e conosce la vitalità, la passione e l’amore incondizionato. Nei suoi occhi luminosi si cela un segreto, nella sua anima arde un fuoco inconfessabile.
Sembra un incontro impossibile quello fra Irma e Carla, che invece, ormai donne, sono destinate a scontrarsi. Eppure la solitudine e il cinismo di Irma, caduta in una spirale di perversione e infelicità, finiranno per frantumarsi di fronte all’energia di Carla. ”

La sessualità è un tema centrale in questo racconto, come mai questa scelta?

I media e la cattiva politica degli ultimi anni ci hanno insegnato a trattare gli altri come beni di consumo, abbiamo perduto la capacità di esistere all’interno di una relazione, abbiamo smarrito il concetto di integrità. Ci diamo parzialmente e parzialmente prendiamo. Oggi molte persone intelligenti, magari anche laureate, non riescono a svolgere il lavoro per cui hanno studiato, e molte altre pensano sia molto meglio vendere il proprio corpo piuttosto che adeguarsi. Mancano delle alternative necessarie. Credo sia questa mancanza di alternative ad avere generato il fenomeno delle baby prostitute di cui tanto si è parlato negli ultimi giorni. Volevo indagare questo fraintendimento micidiale. Parlo di sessualità, è vero, ma la sessualità è a sua volta politica, ed è una componente imprescindibile del nostro essere umani.

Hai un particolare interesse nei riguardi dell’età adolescenziale?

È senz’altro un’età che mi è cara. Gli adolescenti sono acuti, intelligenti, non si sono ancora arresi al cinismo imperante, e allo stesso tempo non hanno ancora gli strumenti per contrastare le false credenze con cui spesso li si vorrebbe far crescere. È un’età violenta e preziosa. Gli adolescenti meritano storie che permettano loro di sognare e di progettare la propria vita anche al di fuori dai canoni proposti o da quelli che semplicemente vanno di moda. Hanno, e ritorno a quello che dicevo prima, bisogno di alternative.

Quanto ha inciso sulla tua crescita personale l’esperienza a taodue? 

Per la Taodue ho lavorato come editor interna e sceneggiatrice per un paio d’anni, collaborando alla scrittura del Tredicesimo Apostolo. Ma amo follemente la narrativa, e ho fatto la scelta di dedicarmici a tempo pieno.

Sappiamo che un suo libro verrà reso in film… cosa ti aspetti?

Che possa coinvolgere e appassionare il grande pubblico. Sono orgogliosa della sceneggiatura e non vedo l’ora di passare alle riprese.

BIOGRAFIA

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Lorenza Ghinelli è nata nell’ottobre del 1981.
A sette anni ha un’unica certezza: vuole scrivere. Si cimenta nella sua prima narrazione horror. Legge quel che ha scritto registrandolo con un mini recorder rosa shocking, poi lo fa ascoltare ai compagni di classe. L’ilarità diffusa che accompagna il racconto la fa seriamente riflettere.
Affronta la prima riscrittura della vita.
Ottiene il medesimo risultato.
Comprende che la determinazione non basta e si abbandona a letture compulsive: studia la concorrenza.
Vent’anni dopo qualcosa di buono le riesce.
In quest’arco di tempo abbandona il liceo classico e si rifugia nelle camere oscure dell’Istituto Statale d’Arte di Riccione, le consegnano il diploma in grafica pubblicitaria e fotografia che di buon grado accetta. Finalmente si aprono le gabbie della scuola. Ma ci ricade dentro.
Nel 2001 viene ammessa al Master in Tecniche della Narrazione presso la Scuola Holden di Torino. Lo termina nel 2003 e torna a Rimini più determinata di prima. Ma agli occhi degli altri è solo più confusa: consegue un diploma in web design, uno in montaggio digitale, fa teatro, danza, corsi apparentemente scelti giocando a mosca cieca, eppure. Lorenza ne è sicura, sta esplorando l’universo della comunicazione. E si laurea con lode in Scienze della Formazione, con una tesi sull’autobiografia nelle relazioni d’aiuto.
Inizia a pubblicare racconti e nel 2010 esce J.A.S.T. (Just Another Spy Tale), scritto con i prodi Simone Sarasso e Daniele Rudoni. Lo pubblica Marsilio.
Nello stesso anno viene assunta dalla Taodue come editor e sceneggiatrice. Si trasferisce a Roma e collabora alla scrittura del Tredicesimo Apostolo, per Canale5.
Nel 2011 Newton Compton pubblica Il Divoratore (uscito nel 2008 per le Edizioni Il Foglio Letterario). È l’anno del boom. Alla Fiera di Francoforte se lo accaparrano sette Paesi e in Italia scala le classifiche.
Nel 2012, sempre con Newton, pubblica La Colpa, finalista al Premio Strega 2012.
Il Teatro a Manovella, con la regia di Massimo Alì, mette in scena Larvale, drammaturgia di Lorenza.
Lo stesso anno torna a vivere a Santarcangelo di Romagna e lavora come freelance scrivendo romanzi, racconti, sceneggiature e facendo docenze anche per la Scuola Holden.
Ha partecipato con il suo racconto, Gentile, a Nessuna più, antologia contro il femminicidio curata da Marilù Oliva, edita da Elliot.
Fa parte della redazione di Carmilla.
Il 18 luglio è uscito Sogni di Sangue, un racconto per gli 0,99 della Newton.
In autunno Newton ha pubblicato anche Con i tuoi occhi, romanzo che ha ridotto l’autrice a un lumicino, ma che ama profondamente e di cui va fiera. Dal suo primo romanzo, Il Divoratore, verrà tratto presto un film.
Lorenza non dimentica che tutto è iniziato da un mini recorder rosa shocking.

LINK

http://www.lorenzaghinelli.com

Novità Editoriale – POESIA EROTICA ITALIANA dal Duecento al Seicento a cura di Carmine Mangone (Il Levante Libreria Editrice, 2013)


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POESIA EROTICA ITALIANA dal Duecento al Seicento, a cura di Carmine Mangone, Il Levante Libreria Editrice, Latina 2013; pp. 120, euro 15, formato 14,8×21, ISBN: 978-88-95203-39-3 [il libro non ha distribuzione commerciale; per richieste contattare l’editore info@illevante-libreria.it [o il curatore mangone@subvertising.org].
Gli autori antologizzati sono: Rustico Filippi, Dante Alighieri, Francesco Petrarca, il Burchiello, Antonio Cammelli, Annibal Caro, Pietro Aretino, Francesco Berni, Nicolò Franco, Luigi Tansillo, Anton Francesco Doni, Camillo Scroffa, Veronica Franco, Giulio Cesare Cortese, Giovan Battista Marino, ecc.

Alcuni estratti dall’introduzione di Carmine Mangone, “Quando le parole fanno sesso. Elementi per una critica dell’erotismo e del discorso amoroso”:

In ambito linguistico italiano, a partire dal XIII secolo, vengono a crearsi due distinti processi. Anzitutto, si ha la progressiva codificazione di una lingua letteraria volgare incentrata sul dialetto toscano; ciò è dovuto sia alla grande influenza esercitata dagli scrittori fiorentini (Dante, Petrarca, Boccaccio), sia al potere economico e politico dei Comuni toscani dell’epoca. Parallelamente, le specificità geopolitiche della penisola facilitano e mantengono un insieme di “lingue minori”, di imbastardimenti locali del volgare o di riviviscenze dei dialetti che produrrà incessantemente delle linee di fuga, delle sperimentazioni all’interno stesso della lingua nazionale che si va coagulando, aprendo così degli squarci di libertà (o delle semplici nicchie di sopravvivenza) a tutto vantaggio delle culture subordinate, antagoniste e minoritarie. Un chiaro esempio è lo sviluppo di quei filoni scherzosi, allusivi o pesantemente osceni che attraversano i primi secoli della letteratura italiana: dalla poesia “alla burchia” ai capitoli berneschi, dalle intemperanze aretiniane alla poesia fidenziana, da certe triviali parodie del marinismo fino ai versi erotici di autori dialettali del Settecento come il veneziano Giorgio Baffo o il catanese Domenico Tempio, si ha la continua emergenza di temi burleschi e sessuali che vanno ad attaccare, da un lato, la staticità del mondo feudale e, dall’altro, i luoghi comuni di quel nuovo potere che si va “addensando” storicamente intorno all’affermazione economica della borghesia. (…)
L’incrinarsi delle strutture feudali genera molteplici istanze di libertà e apre nuovi territori all’esperienza e al pensiero umani. In realtà, la struttura fondamentale della società cambia lentamente, se si eccettuano beninteso i nuovi contesti urbani, tuttavia s’intensificano la mobilità e la circolazione dei suoi diversi elementi. Emergono istanze sociali che attivano un dinamismo inedito – la borghesia cittadina, il ceto affaristico proto-capitalista – e, all’interno di questo movimento, anche la circolazione delle idee diventa valore e processo di valorizzazione dell’esistente. Con l’affiorare delle dinamiche capitaliste, si afferma una libertà legata a doppio filo alla circolazione economica dei valori prodotti dall’uomo, ivi compresi i valori “culturali”. A partire dal Basso Medioevo, l’impulso socioeconomico dato alla circolazione dei valori (merci, denaro, idee, forza-lavoro contadina che si va inurbando) comporta infatti una maggiore libertà di movimento e di opinione in capo ai soggetti sociali emergenti. L’individuo diventa vettore e riproduttore di valori sociali sempre più astratti e normati, anche per via della generale razionalizzazione degli apparati statali. Nella sfera politica, ogni individuo viene quindi assoggettato progressivamente al diritto positivo degli Stati, ma acquisisce di rimando un controvalore in libertà, in diritti soggettivi da poter “spendere” nella vita quotidiana.
I mutamenti e le contraddizioni dell’epoca che va verso la modernità si riflettono chiaramente anche nei processi artistici e letterarî. Gli spiriti più sensibili, consci di essere i produttori di una legittimazione culturale del potere, e pur restando aggiogati al carro di qualche mecenate gentilizio o ecclesiastico (in perenne oscillazione tra Impero, Papato e piccole sovranità locali), cercheranno nondimeno di ritagliarsi degli spazî di libertà dentro i nuovi processi storici. (…)
Una volta abbandonato il sentiero tracciato dalla tradizione petrarchesca o dal dogmatismo grammaticale dei pedanti, ci si può allora imbattere in spiriti inquieti come il Burchiello, Antonio Cammelli, l’Aretino, Nicolò Franco o Anton Francesco Doni. (…)

Domenico di Giovanni, detto il Burchiello (1404-1449)

Molti Poeti han già descritto Amore,
Fanciul nudo, coll’Arco faretrato,
Con una pezza bianca di bucato
Avvolta agli occhi, e l’ali ha di colore:

Così Omer, così Nason maggiore,
Vergilio, e tutti gli altri han ciò mostrato;
Ma come tutti quanti abbiano errato
Mostrar lo intendo all’Orgagna Pittore:

Sed egli è cieco; come fa gl’inganni?
Sed egli è nudo, chi gli scalda il casso?
S’ei porta l’Arco, tiralo un fanciullo?

Se gli è sì tenero, ove son tanti anni?
E s’egli ha l’ale, come va sì basso?
Così le lor ragion tutte l’annullo:

Amore è un trastullo,
Che porta in campo nero fava rossa,
E cava il dolce mel delle dure ossa.

Pietro Aretino (1492-1556)

Mettimi un dito in cul, caro vecchione,
E spinge il cazzo dentro a poco a poco;
Alza ben questa gamba a fà buon gioco,
Poi mena senza far reputatione.

Che, per mia fè! Quest’è il miglior boccone
Che mangiar il pan unto appresso al foco;
E s’in potta ti spiace, muta luoco,
ch’uomo non è chi non è buggiarone.

– In potta io v’el farò per questa fiata,
In cul quest’altra, e ’n potta e ’n culo il cazzo
Mi farà lieto, e voi farà beata.

E chi vuol esser gran maestro è pazzo
Ch’è proprio un uccel perde giornata,
Chi d’altro che di fotter ha sollazzo.

E creppi in un palazzo,
Ser cortigiano, e spetti ch’ il tal muoja:
Ch’io per me spero sol trarmi la foja.

Nicolò Franco (1515-1566)

Donne, la legge vuole e la natura,
Che ciascuna di voi mi sia cortese
D’un bacio almanco, poichè per le chiese
Baciate fino a i legni con le mura.

L’onor del mondo non vi dia paura,
Che un bacio non pregiudica all’arnese;
E se viver vogliamo alla francese,
Bocca baciata non perde ventura.

Ma, poichè non volete questo invito,
Andate pur, ch’io non vi vo’ invitare,
Anzi d’averlo detto son pentito.

Perocchè quel non fottere e baciare,
Ad un ch’aggia grandissimo appetito
A punto è come il bere e non mangiare.

Veronica Franco (1546-1591)

(…)
Cosí dolce, e gustevole divento,
Quando mi trovo con persona in letto
Da cui amata e gradita mi sento,
Che quel mio piacer vince ogni diletto,
Si che quel, che strettissimo parea,
Nodo de l’altrui amor divien piú stretto.
Febo, che serve a l’amorosa dea,
E in dolce guiderdon da lei ottiene
Quel, che via piú, che l’esser dio, il bea,
A rivelar nel mio pensier ne viene
Quei modi, che con lui Venere adopra,
Mentre in soavi abbracciamenti il tiene;
Ond’io instrutta a questi so dar opra
Si ben nel letto, che d’Apollo a l’arte
Questa ne va d’assai spatio di sopra;
E ’l mio cantar, e ’l mio scriver in carte
S’oblia da chi mi prova in quella guisa,
Ch’a’ suoi seguaci Venere comparte.
S’havete del mio amor l’alma conquisa,
Procurate d’havermi in dolce modo,
Via piú, che la mia penna non divisa.
Il valor vostro è quel tenace nodo
Che me vi può tirar nel grembo, unita
Via piú ch’affisso in fermo legno chiodo:
Farvi signor vi può de la mia vita,
Che tanto amar mostrate, la virtute,
Che ‘n voi per gran miracolo s’addita.
Fate, che sian da me di lei vedute
Quell’opre, ch’io desio, che poi saranno
Le mie dolcezze a pien da voi godute;
E le vostre da me si goderanno
Per quello, ch’un amor mutuo comporte,
Dove i diletti senza noia s’hanno.
Haver cagion d’amarvi io bramo forte,
Prendete quel partito, che vi piace
Poi, che in vostro voler tutta è la sorte.
Altro non voglio dir: restate in pace.

[N.B.: qui su WSF si omettono le decine di note esplicative presenti in calce ai testi e che troverete nel libro]

Cassandra. Il dono della veggenza


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Da ” Cassandra. Il dono della veggenza” poema di Lisa Orlando

Ancora una sola parola… No, non voglio cantare
da me la mia veglia funebre! Al sole,
alla sua luce suprema, rivolgo questa preghiera.

[Eschilo, Agamennone, trad. it. di P.P. Pasolini, 2001]

Apro la porta dell’orizzonte, levo in alto un lume e guardo; guardo lontano, lontano, sulla riva del giorno che arriva. C’è presagio di nero nella superficie rugosa di specchi futuri dove tutti gli uomini, tutti, hanno paura di contemplarsi il riflesso che avvampa e si affioca, che sorge e annega. Perché stagnarsi nella molle coda colante di una cometa passata?
Io no! Trascendere il limite del tempo presente, voglio, la cattura all’assenza, la pur se apocalittica verità ai venditori, vili, della menzogna, il nero luttuoso alla mercenaria ipocrisia del bianco. Sgroviglio il gomitolo del presente e afferro l’estremo bandolo con il lume della veggenza.
Sono Cassandra. La mercantessa del futuro che nessuno ha osato comprare.

Mettetevi in tondo sull’orlo del cerchio del paradiso perduto. Aiutarvi ha significato farmi morire. Le parole mie non hanno rattoppato che ombre, le verità non hanno purgato lo spirito, le urla implacabili non hanno fermato il grande eccidio. Ed è tardi ormai per i miracoli. Eppure m’innalzo, ancora, nel centro della girandola e soffio il mio ultimo fiato verso di voi, terminando il vostro ritratto, uomini! Uomini stolti, crepati per la stoltezza di sentirvi immortali. Uomini, che bramate dalle vostre vite un branco di giorni gioviali. Uomini, che vi raggomitolate come gufi nel guscio delle domande facili e marcite le vostre storie nell’ignoranza, sputando sul delirio delle lingue indovine. I miei occhi hanno marciato in avanti, in avanti, tra le pietre roventi della verità dove il vostro sguardo restava cieco. La mia coscienza ha abitato il deserto del mondo sotterraneo e la steppa dei sogni che non hanno colore; mi avete lasciato sola a lingueggiare interrogativi impronunciabili per le vostre bocche a pieghe strette, e deboli, bisognose solo di risposte che portano consolazione. Mi chiedo, mentre brancolate tra cataste di uccisi, mentre le aquile e gli avvoltoi battono le ali nere su di voi, mentre la città arde e si conclude, e odo le vostre grida e il vostro delirio nelle strade infuocate della notte, anch’esse ignare del tranello tramato, mi chiedo: ne è valsa la pena?

Dire il mio nome è dire l’insidia, dire il mio nome è dire la verità che fa paura, lo sbiancare febbrile dei vostri volti. Sono Cassandra! E anche ora che sono qui, sotto l’ascia lucente della morte, sotto gli occhi di colei che mi ucciderà, non voglio sbarazzarmi dal desiderio di esserlo. Adesso affondo, adesso posso sprofondare nel lenzuolo delle tenebre. Stendo il mio corpo e resto sospesa. Non sono più sopra la fredda schiena della terra. Non sono più in piedi; non mi si può più ferire né fare del male. La paura è fuggita via, sgusciata dal corpo.
Tu, Clitennestra, che mi guardi con le pupille dure come biglie nere e lustre, e frapponi fra te e me la glaciale logica della vendetta; liquido è l’acciaio della tua scure, si scioglie nelle mie membra. Tutto è morbidezza. Tutto è cedevole, ora, come l’acqua. La morte mi porta con sé, piano, stilla dopo stilla. Nessuno mi aiuterà. Vinti e vincitori, più crudeli della mia assassina, mi lascerete cadere giù, nell’abisso, e quando sarò caduta non mi rimpiangerete. Eppure ci sono momenti in cui ho immaginato che insieme avremmo potuto soffiare una bolla di sapone così grande da contenere tutto il mondo e avremmo aleggiato nel suo interno come angeli.
Ma ormai manca poco, attimi, al buio di me, mentre guardo in alto l’ultimo sole sciogliere la cera che tiene incollate le piume di tutte ali.

[Lisa Orlando (Minneapolis, 1973), studi alla Methodic University of Ohio in arti applicate. Sceneggiatrice di spot pubblicitari; modella dal 1995 al 1999 per gli artisti della Lowery East Side di New York. Da qualche anno si dedica alla scrittura e pubblicazione di romanzi e racconti. Da dieci anni vive e lavora a Bari, dove è animatrice di una galleria di arte contemporanea.]

Novità Editoriale – Appunti di un falegname senza amici di Alessandro Assiri (Lietocolle 2013)


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è una questione di qualcosa, forse di fretta o meraviglia, ma qui si
respira male
sia le sorprese che le scuse, poi le stelle finiscono o si vedono di
meno
ed improvviso ci si scorda
che a bologna un libro in tasca lo devi sempre avere
così se ci si incontra se ne ha un pezzo da strappare

*

l’hai trovato
dentro il frigo
tutto il mondo che hai rubato, con le mani dentro al vaso e i cavalli a
dondolo a batterci in testa

*

ti vesti e io ricucio quel che di esatto c’era, tra l’erba cercavamo
copertura
è compito della luce elaborare la fame, rifarsi amanti mediocri,
lavarsi per primi
domani ti dimenticherò meglio, domani che avrò fatto acqua quando

*

saresti quello che vorrei toccare sul finale non le labbra
solo un dito la parte terminale
serve


Geppetto chiama a raccolta i suoi pezzi di legno,li inventa burattini e li brucia immolandoli al fuoco della scrittura.
Il mastro falegname che Assiri incarna e interpreta da voce al suo teatrino di personaggi che provengono da un passato irraggiungibile , figure che esistono solo se la parola le prolunga.
É alla scrittura e alle sue fatiche che Assiri torna a rivolgersi nel suo ultimo lavoro, rapporto conflittuale ed estremizzato che nasce per l’autore in un tempo definito, quegli anni settanta dove, per sua stessa ammissione la scrittura si praticava per diventare.

Estratto da un intervista con Giancarlo Roncarati

Libro disponibile in libreria e sul sito della Lietocolle.

Dan Fante – Gin & Genio: recensione di Salvatore Sblando


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Ho sempre pensato che i testi tradotti dalla lingua originale, soprattutto quando si tratta di poesia, perdessero parte della potenza data dalla unicità del linguaggio in versi.
Metafore, rime, scrittura in metrica, spesso risultano di difficile trasposizione durante la fase di traduzione.
Fino a quando non mi sono imbattuto nell’ultimo libro di Dan Fante “Gin & genio” (titolo originale: “A gin-pissing-raw-meat-dual-carburator-V8-son-of-a-bitch from Los Angeles”).
Una raccolta, quella del figlio del celebre scrittore americano John Fante, -tradotta per i tipi della Whitefly press edizioni dalla Direttrice editoriale Gabriella Montanari- che non necessita di trasposizioni di metrica, in quanto si tratta di una scrittura in verso libero ma a cui certo occorre trasporre, la carica visionaria e paradossalmente realistica della poetica di Dan Fante.
Un lavoro di traduzione fatto in maniera minuziosa, incontrando e discutendo con l’autore persino dei vocaboli inventati.
Leggendo l’edizione italiana delle WFP edizioni, si entra in un mondo maledetto, illogico e paradossale, dove l’assurdo nella vita riesce a diventare poesia, riesce a divenire attimo e sprofondo.

Tutto è improvvisamente –teatro- biglietto omaggio-
imprevedibile
orribile
ridicola
assurda
preziosa
ed
esaltante

un’avventura

so di non valere molto – ma sono quel che penso

Una purezza, una ordinata casualità e maledizione che trovano nella scrittura poetica logico riparo; perché Dan Fante questo lascia trasparire con i suoi versi. Una continua e spasmodica ricerca di un riparo sicuro così come solo la poesia è in grado di dare.

Oggi me ne sbatto se mi tira o meno
non mi aspetto niente in cambio
puoi amarmi, non amarmi
perché –vedi
ci sono voluti trent’anni
ma quelle voci –la mia follia- si sono azzittite
e
mi è stato concesso il dono
di un barlume
di
lucidità

Un riparo certo, una protezione sicura dagli eccessi della sua vita, ma anche da una poesia accomodante che fa apparire l’esistenza, solo un ritrovo per sentimenti puri.
Ed invece in Dan Fante, naturale prosecutore della lezione poetica di Bukowsky, troviamo pane per i denti degli estimatori della lirica senza zucchero, capace nonostante ciò di parlare al cuore più oscuro del lettore.

Dire ti amo non era ancora cosa da poco
per me
niente di frivolo
un sacco di trombe e di gong hanno taciuto
e tante guerre… e anni
sono passati
in cui l’alcol e la dipendenza mi hanno guidato
ossessionato
e anche esonerato
dall’equilibrio mentale
e dalla ragionevolezza

Anche la scelta del carattere utilizzato nella edizione italiana curata da Whitefly press, ricorda molto quello delle macchine da scrivere e lo si può immaginare Dan, mentre compone il suo ennesimo atto alla vita e poi cancella, e poi strappa e poi carica nuovamente il foglio.

Quando penso a papà –oggi
oggi che è davvero famoso
e la gente finalmente dice di lui
quello che lui già sapeva
e diceva a tutti trent’anni fa

mi rendo conto che non ha mai dubitato del suo genio
che la sua rabbia e le sue amarezze
erano guerre contro la vita

piccole esplosioni nucleari non rivelate –
un modo per marcare il territorio

Per papà non faceva differenza

La vita era una gran puttana

Di seguito infine, per gli amanti dei testi in lingua originale, tre poesie di Dan Fante, tratte dalla raccolta “Gin & genio” in inglese (USA), gentilmente concessi dalla Whitefly Press edizioni.

1#

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Ho incontrato il più miserabile dei gatti
un bastardo affamato
mentre leggevo
su una panchina
e mi accendevo una Lucky dopo l’altra
sulla spiaggia di Venice

Mi ha visto e si è fatto avanti
bianco
sudicio
un occhio verde
l’altro giallo
e uno squarcio ancora fresco sull’orecchia sfregiata

Arrabbiato come un lupo ferito
si teneva a distanza
con l’aria di dire, dammi da mangiare
o levati dalle palle
su questa panchina sei nel mio territorio

Quel che non sapeva è che anch’io conosco la disperazione
e la pazzia
e quello che possono farti il vuoto la solitudine
e la rabbia quando in tasca hai solo la tua sofferenza
e come casa una Pontiac del ‘78 scassata piantata in
un vicolo di West L.A. e quella voce in testa che ti
accoltella e ti uccide ogni giorno un po’ di più e tu
ti svegli e bevi ancora di quel vinaccio che sa di
piscia di topo per sottrarti alla follia in agguato
e dio diventa un tipo che esce da un 7-Eleven e ti sgancia qualche spicciolo per un altro cazzo di
bottiglia e la paura è il più bel sentimento che
provi e l’amore è morto e il tempo è morto e persino
i tuoi occhi puzzano e le tue budella sono gonfie delle urla di tutti quelli che odi e l’unico rimedio sta nel piccolo miracolo di buttare giù un altro bicchiere

Il misero gatto bianco non sapeva che siamo fatti
della stessa stoffa
l’unica differenza tra noi
sono dieci anni
e una macchina da scrivere.

2#

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Ieri
silurato di fresco
per l’ennesima volta
e senza prospettive
ho trascinato
il mio umile culo
nella camera sul retro della vecchia e fredda casa
di mia madre

Quarantun’anni
il conto in banca a due cifre
dozzine di lavori andati a monte
una scatola piena di foto di bambini ed ex-mogli
e
nessuna idea sul da farsi

allora

ho tirato fuori
il mio ultimo romanzo non pubblicato
le mie due — anzi ora tre — commedie non rappresentate
le mie centinaia di poesie
e i miei racconti alla Ray Carver
e
la mia biancheria sporca

Ho incrociato mia mamma nell’ingresso,
lei ha distolto lo sguardo
forse pieno di vergogna — di certo seccato
alla vista
di quel figlio fallito nel quale, un tempo
alcuni avevano visto
del potenziale

Poi, non avendo altro da fare
mi sono preparato una tazza di caffè,
ho preso le sigarette,
e ho fatto il giro lungo fino alla scogliera
sopra l’oceano
e

laggiù
al freddo sulla roccia
connesso al momento
ho spalancato gli occhi
appena in tempo
per contemplare
un altro perfetto tramonto a Malibù.

3#

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Di notte
quando scopiamo
mi capita a volte di non riuscire a concentrarmi
e mi va via la voglia
allora torno indietro di venticinque estati
e penso a
Stinky
che aveva diciannove anni quando ci siamo incontrati ai corsi serali
le piacevano le mie scarpe logore
e le mie poesie sgraziate da tassista
non era mai stata a letto con un bianco
aveva la più sublime e morbida pelle nera
e un vitino da vespa
i suoi vecchi erano proprietari di una stazione di servizio nel nord dello stato
arrivava da me con il New York Central
passava i fine settimana nella mia camera sulla 51esima
a bere Mad Dog 20-20 tutta la notte
il bagno nell’entrata — e tossici ovunque
che vagavano come zombi
la radio che sussurrava per ore intere
le mitiche canzoni d’amore
e quell’incredibile continua e insaziabile fame
l’uno dell’altra

Allora
quelle notti – in cui mi va via la voglia
e pare che anche la magia tra di noi se ne sia andata
Stinky è la mia arma segreta
ripenso a lei — al suo modo di far festa
succhiandomi il cazzo
fino al midollo
e al suo sorriso che diceva sempre fottimi ancora
e così
ritrovo quella perfezione
e in silenzio — come siamo soliti scopare — la ringrazio
per l’aiuto che mi dà
con questo terzo stanco matrimonio.

Whitefly Press: http://www.whiteflypress.com/

articolo di Salvatore Sblando

Secondamarea&Tiziano Sclavi: quando le arti, incrociandosi, disegnano meraviglie oscure


[…]Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose,
Regina de la melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno.[…]

Dino Campana – La Chimera

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Come nasce il progetto Secondamarea?

Secondamarea nasce nel 2005 dall’incontro tra Andrea Biscaro, cantautore e scrittore e Ilaria Becchino, cantante e compositrice. In questi anni abbiamo scritto decine di canzoni, pubblicato dischi e concept-album, fatto centinaia di concerti in tutta Italia e all’estero.

Credete nella poesia? E nella poesia che si mescola alle altre arti?

Ci crediamo a tal punto che sin dall’inizio della nostra carriera abbiamo deciso di cantare i poeti. Il nostro primo disco “Chimera” nasce proprio dai versi di un grande poeta, Dino Campana. Amiamo la trasversalità delle arti, il felice connubio tra forme espressive diverse. La nostra musica si sposa spesso con la poesia, la letteratura, l’arte figurativa.

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Ballate nella notte oscura, come nasce?

Una decina di anni fa mettemmo in musica “…”, uno splendido testo di canzone tratto da “Il lungo addio”, forse il più bell’albo di Dylan Dog. Inviammo il provino alla Bonelli e dopo pochi giorni ci telefonò Sclavi in persona per complimentarsi: la canzone gli era piaciuta moltissimo. Ci disse anche che uno dei suoi sogni era sempre stato quello di diventare cantautore. “Mi è sempre andata male, però. Tra l’altro sono stonato come una campana!”, fece lui con una timida risata. Tutto finì lì. Ognuno tornò alla propria vita, finché qualche anno fa leggemmo “Il tornado di valle scuropasso”, l’ultimo romanzo di Tiziano. Ed ecco di nuovo due meravigliosi testi di canzone ad arricchire la prosa di Sclavi e a stimolare la nostra fantasia di musicisti. Li mettemmo in musica subito, il risultato ci piacque molto. Fu in quel momento che pensammo: perché non facciamo un intero di disco con i testi di Tiziano? Allora gli telefonammo, lui si mostrò entusiasta all’idea. Ci spedì “Nel buio”, una raccolta di oltre cento testi di ballate, un vero e proprio canzoniere. Iniziammo a lavorare e in breve nacque “Ballate della notte scura”, ma soprattutto nacque una splendida amicizia tra noi. Il provino del disco fu presentato due anni fa in anteprima alla grande mostra di Pavia dedicata a Sclavi “I volti di Tiziano”. La canzone “…” è diventata “Il lungo addio”, il brano che ora potete ascoltare in anteprima sul sito della casa editrice:

http://www.squilibri.it/catalogo/interferenze/item/131-tiziano-sclavi,-secondamarea,-ballate-della-notte-scura.html#

Fan Page Secondamarea: http://www.facebook.com/Secondamarea?fref=ts

Sito Casa Editrice: http://www.squilibri.it/