(Officine d’Autore) – Intervista ad Alessandro Gabriele


Oggi vi porto a conoscere un autore, che già avete avuto il piacere di leggere in queste pagine, Alessandro Gabriele.
E’ uscito da poco il suo libro “Geografie Fuori Luogo” edito dalla Smasher.

Dalla quarta di copertina del libro:

“Cosa fare a La Paz, a Genova, a Baghdad quando sei perso; un cofanetto di esorcismi per fantasmi d’amore; come resistere a un’invasione che si annuncia via radio e altre storie di viaggio quotidiano. Sedici paesaggi geografici e interiori si snodano in queste pagine…Noi o altro da noi che ci riguarda, la pelle, le parole, i luoghi, gli incontri, ogni cosa si rende necessaria nel grande itinerario terrestre. Geografie è anche una piccola guida di viaggio per cercatori di destino.”

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“C’è il tuo silenzio all’inizio di questa storia, il tuo silenzio e il mio, pieno di parole strette tra i denti, che non mi lasci dire. C’è la tua mano che mi preme sulle labbra e l’altra che mi afferra stretta alla vita, mentre i capelli mi si sciolgono e io per un attimo eterno perdo il filo del tempo, e il sole fa uno scatto improvviso verso l’orizzonte, rendendo pericolosamente rosse le pietre di questa città.”(5 – Ramallah)

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Ciao Alessandro, presentati e parlaci di te.

E’ un po’ imbarazzante. Sono del 62, un Sagittario appassionato di culture e di Jung, scrivo, “giro e vedo (poca) gente”(cit.), appena posso prendo un aereo o una macchina o tutt’e due e me ne vado il più lontano possibile, quanto consentono le finanze del momento. Sto cercando di tirare giù i frutti alternativi della mezza età e mi perdo volentieri nel mondo di dentro, dove ci sono tesori di robe interessanti, comprese molte risposte ai quesiti collettivi del mondo. Avrei amato fare una di quelle professioni canoniche che ti prendono a diciottanni e ti scaricano alla pensione naturalmente, senza deviazioni. Invece il mio curriculum somiglia un po’ alla Salerno-Reggio, la nostra africa stradale, un patchwork di esperienze ai limiti del fallimento produttivo che avrà fatto sorridere o giocare a paper-basket diversi selezionatori, chissà. Gran parte dei miei lavori sono stati impiegatizi, impegni che ho dato in “prestito” per inseguire mete faticose, personali e collettive, che non mi riguardavano esattamente. Fondamentalmente, ho “imparato a scrivere” nei miei anni alla cayenna informatica, tra una riunione di consulenti incravattati e uno di quegli arzigogoli logici della programmazione o della sistemistica che spezzano le cervella, in mezz’ore furiose di travasi animistici, di nascosto a colleghi e capi-ufficio, con l’incombenza del rientro cristologico del pendolare romano, al maledetto capo opposto della città.

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“L’attitudine di farsi scivolare addosso ogni porcheria, la massa delle incombenze che ci ipnotizzano, la crosta di ultracorpo intangibile in cui imbozzoliamo la pena e la seccatura residua, quell’inerzia di schiavo che ci rimane dopo la centrifuga, nel potere assoluto di una faccia globale che governa tutto, una faccia che non si sa bene, se non che è piena di rughe che hanno l’andamento e la distribuzione dei grafici finanziari.”(14 – Roma Termini)

Estraggo dal tuo blog: “Si scrive per ridurre le distanze, per disegnare una prospettiva, tra l’intima lontananza di sé e l’orizzonte fisico che attende i tuoi passi. “ Qual è la tua prospettiva e come nasce il tuo blog?

Idealmente, mi piace rappresentare il percorso della vita come una tensione dinamica perlopiù irrisolta, una specie di lungo trekking che si muove tra l’universo interiore e quello del mondo visibile, sociale, incorporando azioni, sogni, deviazioni, relazioni, scavando il significato con attrezzi inclusivi. Avere una coscienza delle cose che ci riguardano, pubbliche e private, che sono infinite, a volte contraddittorie e spiacevoli, è un po’ il compito di ognuno al mondo, la radice dell’umanità se vogliamo, e anche della salute mentale. La scrittura può essere un mezzo di ricerca e una sintesi fenomenale di questo processo, penso a una scrittura che diventi febbre, metodo, ma anche svelamento e confronto, movimento verso il collettivo. Scrivere di domenica o scrivere per riempire i cassetti o i circuiti mediali degli amici o gli scaffali delle accademie non è un’attività tanto auspicabile, secondo me.
Non so bene da dove venga fuori il mio blog, so che nasce in ritardo, l’anno scorso, dopo che per anni avevo cordialmente detestato il suo formato mediale personalizzato. Per diversi motivi avevo smesso di scrivere, tre anni in cui m’ero avvicinato ai mondi della pubblicazione editoriale ma niente di quello che m’era stato proposto mi soddisfaceva in pieno, è stata un po’ la vecchia storia del gioco e della candela, fino a piantarla lì. Poi qualcosa è maturato, forse anche una piccola ribellione sensata contro il concetto di finalizzazione produttiva, ho affidato al blog il bagaglio dei miei desideri di fuga e ho aspettato che il mezzo mi desse una mano a chiarire e formulare nuovi obiettivi, non solo nel campo della scrittura.
Ho ricominciato naturalmente a scrivere senza pormi obiettivi, focalizzandomi su uno dei miei piaceri preferiti, quello di spostarsi, viaggiare, esplorare ambienti diversi, una cosa limpida e pura su cui sono tornato retrospettivamente, scrivendo le mie esperienze in forma di reportage, all’inizio, per ritrovarmi in breve nell’ambito del racconto di invenzione. E’ un po’ successo che dalla narrazione dei miei ricordi s’è rifatta strada la fiction, fa un po’ ridere ma mi sono in parte “riscritto” e completato, inoltre ho preso vecchi racconti e li ho ri-editati o re-interpretati, tutto questo lavorio è finito nel laboratorio del blog, poi è stato filtrato e messo in posa per Geografie Fuori Luogo, la mia prima antologia di racconti.

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“E cosa ci diremo, ancora, in breve. Cosa sembreremo, in una lettera fuori dal tempo, possibilmente, ritrovata dietro una libreria, una di quelle piccole vergogne che capitano agli amati come noi. Che mentre finivi la doccia l’attesa non passava mai. Allora mi sono alzato dal letto, sono sceso nella hall e ho parlato il mio inglese fascinoso col boy della reception. Gli ho chiesto se per caso servisse una pistola, nel caso a uno venisse voglia di fare due passi fuori. Lui ha riso come Jim Carrey, con una bocca spropositata. Non ha capito che non stavo scherzando.”(8 – Near Manhattan)

Geografie Fuori Luogo, come mai questo titolo? E come hai scelto i racconti che ne sono contenuti?

Il titolo è arrivato prima dell’idea dell’antologia, è stata una di quelle intuizioni da asporto che capitano sotto la doccia, fischiettando, una mattina; mi sembrava elastico, suonava bene, comunque. Poi ci ho meditato un po’, sentirsi fuori posto in qualche momento-luogo è una delle esperienze comuni alla coscienza di tutti, di mio ci metto un’attitudine particolare a sdoppiarmi, ad evadere dall’obbligo dell’esserci pienamente, una geografia e un tema fondante per me, una cosa che m’ha creato diversi problemi in passato, finchè per amore o per forza il demone non s’è un po’ placato e s’è messo a scrivere e ad andarsene in giro per il mondo anche in solitaria, bontà sua. E dunque viaggiando fuori dall’occidente e dai binari del turismo di massa, quanto possibile, si incontrano circostanze e persone e culture per cui appariamo noi quelli dissonanti, fuori norma, ci si raschia sempre un po’, in definitiva; ma anche quando abitiamo luoghi familiari ci sono le incognite, le domande fondamentali, i destini e l’amore che ci sfuggono, cose che occupano luoghi precisi del corpo emotivo che ci contiene, messi per lo più su percorsi di cui ci sfugge una localizzazione compiuta. Ciò che tiene vivi è una dissonanza, in effetti.

“Siamo sempre quel buio cui è destinato un controluce improvviso,
non abbiamo altre bussole al collo.”(7 – Celestun)

La scelta dei racconti è avvenuta sulle coordinate della extra-territorialità geografica o emotiva, posti interessanti o particolarmente densi dove sono passato, compresa la metropolitana di Roma dove l’ambiente ti fa sentire facilmente il Blade Runner degli sfigati. C’è poi un racconto di fantascienza, mia antica passione adolescenziale, sono arrivato a possedere qualche centinaio di Urania, al tempo. In subordine, il criterio è stato selezionare scritture con registri anche un po’ differenti tra loro, ma comunque di un livello che ho ritenuto essere sufficientemente congruo e maturo.

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Ciò che scrivi nel libro, ci mette davanti ad un modo di vivere diverso, quanto di questi luoghi è rimasto in te?

Molto, naturalmente; è anche vero che, da altro punto di vista, luoghi sconosciuti illuminano parti di te al limite del percepibile, e quando questo succede quei luoghi te li prendi e li tieni stretti. Un buon esempio può essere il reportage di viaggio che apre l’antologia, non a caso, l’esperienza del passaggio in un non-luogo perfetto, la Guinea Bissau e le isole Bijagos, che ho raggiunto faticosamente tra le secche organizzative e lo sfacelo sociale di quella che è la quart’ultima economia del mondo. E’ stato un viaggio molto intenso in cui mi son trovato a domandarmi seriamente che senso avesse spezzarsi la schiena e annoiarsi giornate intere su taxi collettivi e camion lentissimi che sembrano non arrivare mai. Ho concluso provvisoriamente che avessi bisogno di mettermi alla prova, di confrontarmi col limite esistenziale, per ordini di motivi che ancora non afferro pienamente. In ogni caso, mediamente, gli africani sopravvivono alla scarsità e all’eterna attesa che passi un veicolo buono con una compostezza e una dignità che sbalordiscono; anche solo questa percezione è qualcosa di buono da portarsi a casa, così come fermarsi mezza giornata a osservare come i meccanici locali intervengono sulle vecchie Peugeot 504 crollate in assenza totale di pezzi di ricambio: veri scultori della giunzione a fuoco, dell’incredibile ferraglia arrugginita da riciclo con cui compiono miracoli. E noi ce la meniamo col marketing dei prodottini mentali del Downshifting.

“Così adesso, come uno sputo in partenza dal labbro schifato del deserto libico. Solleviamo le nostre ossa rosicchiate di visioni, il kif ci ha pascolato zonzo dentro sogni diversi resi lucidi e crudeli dalla fame. Adesso è il momento di dirci: barca stronzo pidocchio presto!”(16 – Nero a Settentrione)

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Fuggiresti in uno di questi luoghi? Se si quale? E a fare cosa?

Oh si, questo è un sogno che mi insegue da che ho memoria, una fisima nata da bambino, suggeritami dalla frequentazione degli eroi di Emilio Salgari e dalle carte geografiche didattiche degli anni 60, quelle con il rilievo delle figure degli animali e dei selvaggi locali, cose che mi facevano sgranare gli occhi a lungo, vere piccole ipnosi precoci. In realtà sono già fuggito in tutti questi luoghi e in molti altri ordinari non-luoghi, molto vicino casa. C’è un appartamento a Roma, al Prenestino, un sesto o settimo piano fatto di intonaci anneriti e scrostati, con un grande balcone assurdo al livello della truce rampa di tangenziale che gli passa sotto il naso, dove andrei a dormire volentieri un paio di notti alla settimana.
Proseguendo, non mi piace nemmeno troppo l’idea di spiantarmi completamente in qualche isola felice, penso concretamente a uno o più luoghi dove mettere piede seriamente, per periodi di tempo che consentano di mischiarsi con la vita e la cultura locale, col biglietto per l’Italia in tasca un paio di volte l’anno. Due sono le regioni terrestri che ho candidato al progetto, Centramerica e India. Credo anche che, pacificato e liberato se stesso, ognuno abbia l’opportunità di scoprire attività di “lavoro” naturali, ecologiche e produttive a completamento del piacere di vivere ed esserci, semplicemente.

Cosa pensi dell’Italia oggi? Del suo futuro?

Non lo so, ritengo che in merito abbia già detto tutto il politico più fine e incisivo che abbiamo avuto negli ultimi cinquant’anni, uno che si chiama Corrado Guzzanti.

“Dovrò trovare il coraggio di smettere di accarezzarla, ora, come se fosse questo l’ultimo dei giorni e io, solo una lontanissima frazione di me che testimonia in silenzio. E andarmene stanotte stessa, forse, prima ancora che le torni tutta intera questa vita sorprendente, un po’ malinconica, che teniamo nascosta negli occhi.”(9 – Jaisalmer)

Ringrazio Alessandro per questo viaggio attraverso il suo libro, attraverso il suo punto di vista.

Libro acquistabile tramite l’autore e/o la casa editrice: http://www.edizionismasher.it/alessandrogabriele.html

Progetto Benefico: No Job: Visioni del Paese Irreale – Curatori: Enza Armiento, Sebastiano Adernò e Antonella Taravella – Edizioni Smasher, 2013


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L’istante faceva paura. Poi divenne periodo. Vivere subendolo.
Non capire la Crisi fino ad esserlo, noi stessi, uomini e donne in Crisi. Il male non esiste. E se c’è toccherà non me, ma forse il mio vicino.

Così ciò che battezzammo Crisi sperando fosse a termine, era già l’innominabile reflusso verso Paesi più motivati ed emergenti. Ma l’onda non è un’onda. È una marea che non rientra. Bassa.
Tanto bassa che forse col Mare ci toglieranno l’Orizzonte.

Disoccupazione, Commissariamento, Liquidazione per fallimento.
Mobilità, Cassa integrazione, Licenziamento.
Nuove povertà in aumento. Soglia ed emarginazione. Disperazione.

Lo scollamento tra Politica e reale umore di ciò che chiamiamo Bel Paese ha raggiunto livelli da compassione intellettuale verso una classe dirigente capace di garantire solo truffe in atto e privilegi.

La nostra è un’antologia di scritture, il cui nome potrebbe essere VISIONI DEL PAESE IRREALE.

Poesia e prosa ne saranno testimoni.

Il ricavato sarà interamente devoluto ad Associazioni che supportano disoccupati nuovi poveri ed emarginati. Promuovendo il libro attraverso la vasta “blogsfera” con la diffusione di booktrailers ed organizzando Reading ed Eventi che permetteranno alle nostre Voci di Carta di diventare Parola di denuncia, protesta e conforto.

Gli artisti che hanno scritto per l’Antologia

Alessandro Assiri, Alessandro Manca, Anila Haxhari, Antonella Barina, Antonella Taravella, Camillo D’Angelo, Cinzia Mastropaolo, Enza Armiento, Fabio Franzin, Fabrizio Bianchi, Ferruccio Brugnaro, Filippo Davòli, Floriana Coppola, Francesco Zanoncelli, Gerardo De Stefano, Gianni Milano, Giovanni Abbate, Giovanni Parentignoti, Julian Zhara, Lorenzo Di Stefano, Natalia Bondarenko, Ninì Ferrara, Oscar Locatelli, Paolo Maurizio Bottigelli, Raffaele Abbate, Salvatore Sblando, Salvatore Zafarana, Sandro Sardella, Sebastiano Patané, Sebastiano Adernò, Ulisse Fiolo, Viorel Boldis, Emilia Barbato, Gian Ruggero Manzoni.

Book Trailer:

Link per acquistare il libro:

http://www.edizionismasher.it/antologiajob.html

(fino al 6 gennaio c’è uno sconto del 20%)

Dalle Barbie in salamoia al Corriere della Sera Così si racconta l’illustratrice Amalia Caratozzolo


Amalia Caratozzolo

Amalia Caratozzolo

È già più che una giovane promessa del panorama artistico italiano, giacché non ha ancora compiuto trent’anni e annovera nel suo curriculum mostre personali e collettive, alcuni interessanti lavori nel mondo dell’editoria, una mini-cattedra all’Istituto Europeo di Design e – non è certo da tutti – una neonata collaborazione con il Corriere della Sera.
Amalia Caratozzolo, la cocciutaggine unita alla fantasia, illustratrice siciliana e romana d’adozione, ha risposto alle nostre domande in un caldo pomeriggio di quasi metà settembre.

Come nasce Amalia Caratozzolo artista?

Non amo molto le etichette, ma bisognerà pur dare un nome alle cose. Più che artista mi definirei illustratrice. Credo che il tutto risalga al lontanto ‘87 quando alla tenera età di quattro anni devastavo le mie barbie credo nel tentativo inconsapevole di trasformarle in qualcosa di nuovo, di creare. Adesso, che sono arrivata quasi ai trenta, continuo ad amare le barbie e mi diverto a metterle in salamoia. Giocattoli a parte lavoro nel campo della comunicazione e dell’editoria. Insegno incisione, la mia grande passione, all’Istituto Europeo di Design di Roma e da quest’anno collaboro con Il Corriere della Sera. In uscita c’è poi un nuovo libro illustrato per i più piccoli firmato Edizioni Anicia. Non posso ancora svelare nulla, però prestissimo sarà nelle librerie!

Sbarbie – Barbie in salamoia

Vedo i tuoi lavori come qualcosa che respira…trasudano significati. Parlaci, dicci da cosa sei ispirata e da chi.

Per me il significato, il concetto, è fondamentale. A mio parere è molto bello che attraverso il disegno esca fuori in qualche modo la propria visione del mondo, il punto di vista di chi lo ha prodotto. Un lavoro può piacerti oppure no, ma l’importante è che si abbia qualcosa da dire.
Sono ispirata praticamente da tutto, leggo moltissimo e sono una fagocitante osservatrice del genere umano e in questo ambito il materiale non manca di certo! Forse anche per questo mi sono divertita tanto a illustrare “Salvami l’anima”, il romanzo uscito a marzo e per il quale ho lavorato in assoluta sintonia con l’autrice, la giornalista Serena Manfrè.

Libro illustrato”Salvami l'anima”- Edizioni Smasher

Libro illustrato”Salvami l’anima”- Edizioni Smasher

Libro illustrato”Salvami l'anima”- Edizioni Smasher

Libro illustrato”Salvami l’anima”- Edizioni Smasher

 

Come nasce questo duo Caratozzolo – Manfrè?

Nasce sicuramente da un connubio mentale e direi pure genetico. Ci conosciamo da troppo tempo e finalmente siamo riuscite a lavorare insieme. Anche il libro in prossima uscita porta la firma di Serena oltre che la mia. E con lei sto collaborando pure con la Casa editrice Mammeonline a una rivista per bamini.

Corriere della Sera – La Lettura - Poema di Franco Arminio - "I giorni senza miraggi del Basso Occidente"

Corriere della Sera – La Lettura – Poema di Franco Arminio – “I giorni senza miraggi del Basso
Occidente”

Corriere della Sera – La Lettura - Poesia di Etel Adnan - Intervista Di Hans-Ulrich Obrist

Corriere della Sera – La Lettura – Poesia di Etel Adnan – Intervista Di Hans-Ulrich Obrist

 

Sappiamo che da anni fai parte di Studio Arturo. Parlacene.

Studio Arturo nasce nel 2008, quando insieme ad altre colleghe abbiamo dato vita a questo progetto. Attualmente ci troviamo al Pigneto, un caratteristico quartiere romano. Arturo, oltre ad essere uno studio creativo, è un laboratorio calcografico. Durante l’anno organizziamo diversi workshop per sperimentare le varie tecniche d’incisione e partecipiamo a differenti progetti. Quest’estate, per esempio, abbiamo avuto il piacere di collaborare con i Comuni di Lacedonia e di Aliano. Abbiamo fatto lavori di decorazione murale e workshop con i bambini ed è stata una bellissima esperienza.

Echino - Casa Editrice Mammeonline

Echino – Casa Editrice Mammeonline

Calendario Studio Arturo – Gennaio

Calendario Studio Arturo – Gennaio

Amalia Caratozzolo: http://www.amaliac.com

Un anno di vita: Ebook “La Stanza Clandestina” – Contest “le orme di eros”


Ebook: La Stanza Clandestina

Con questo Ebook, il Collettivo inaugura uno dei suoi obiettivi.
E’ una raccolta di voci giovani che seguo e amo per il loro modus operandi scrittorio.
Ciascun Autore ha un legame con l’altro, nelle parole e nei gesti invisibili che trasmettono.
Le fotografie, infine, sono la ciliegina sulla torta, una gentile concessione di due Amici che seguo da un anno.
Buona Lettura!

la stanza clandestina

Contest: Le Orme di Eros

Le Edizioni Smasher comunicano la nascita di una nuova Collana Editoriale “Orme rosse” , dedicata all’Eros, lontani dal voler creare spazi di volgarità gratuiti e sterili, desideriamo dare voce – attraverso la pubblicazione di ebook e volumi cartacei – a ciò che è insito in ciascun essere umano: l’eros, nelle sue varie declinazioni

Il Collettivo culturale WSF – Centro Sociale dell’Arte , di cui è capo redattore Antonella Taravella, è felice di inaugurarla con un’antologica composta da contributi poetici – narrativi – fotografici e di opere artistiche, selezionati con cura.

Dal 20 marzo al 20 maggio, entro la mezzanotte, potrete mandare i vostri contributi alla mail, wordsocialforum@gmail.com, con oggetto: Le orme di Eros e la sezione con cui s’intende partecipare:

Sezione A) poesia da 2 a 4 cartelle;
SezioneB) racconti massimo 4 cartelle;
Sezione C) fotografie e disegni o opere artistiche 3 (alta risoluzione)

Inediti di Sergio Pasquandrea


IN TEMPO DI BILANCI

ci sono anche da prendere in considerazione quegli attimi
in cui tutto sembra

non

accadere

il paesaggio oltre il davanzale si svuota le nuvole
lasciano il campo ai colori
sai quando certi dettagli ti appaiono amplificati
le proporzioni tutte rovesciate

ad esempio quelle tra i capelli e il gesto dello stupro
ci sono triangoli di nuda pelle estratti a forza dal loro
divieto

eppure nulla sta accadendo
non so nemmeno se stiamo parlando esattamente della stessa cosa
(non è mai esattamente
la stessa cosa)

ma sempre sempre ci riproviamo con questa benedetta persona plurale
ho voluto amarle le tue mani ogni volta che ho potuto
tornavi a farmi domande da bambina domande stupide e fondamentali
io pensavo a quando tutto finalmente
avrebbe toccato il fondo

niente avrebbe più avuto tutto questo bisogno di nascere
hai presenti no quegli intermezzi
l’Op. 26 n. 12 secondo tempo (Scherzo: Allegro molto)

ecco la stessa docilità alle vibrazioni proprio
così come vengono la meccanica degli arpeggi

(trovare l’ultimo verso è persino un sollievo non senti
che fatica
anche solo respirare?)


IN THE MEANWHILE

Va bene anche così con il freddo
estivo colato nelle giacche
e la luce la poca luce che bastava
per farti nuda.
Si spegneranno a lungo le parole
la pelle germoglia
oscuramente

ciò che è detto è fatto.

SU UN VERSO ARRIVATO DI MATTINA

Bisogna dimostrare che le neve stia cadendo
o che la luce attraversi la pioggia. Da sola
chissà quanto poco ne ritroveremmo alla fine
di questa povera voce immolata all’ipnosi.

Troppo il rosso
fatale l’ultima torsione.


Biografia

Sergio Pasquandrea è nato a San Severo (FG) nel 1975. Da quasi vent’anni vive a Perugia, dove insegna in un Liceo e collabora come ricercatore con l’Università. Ha pubblicato due plaquette: Topografia della solitudine. Diario newyorkese (in “Pubblica con noi”, Fara Editore 2010) e Parole agli assenti (in “Contatti”, Edizioni Smasher, 2011).
Suoi testi sono apparsi nella rubrica “Scuola di Poesia”, curata da Maurizio Cucchi per il settimanale “Lo Specchio”, e in diverse antologie, tra le quali: “Lo spazio e il tempo della scrittura” (e-book a cura del blog “Via delle Belle Donne”, 2007); “Il segreto delle fragole” (Lietocolle 2008); “Taggo e ritraggo” (Lietocolle 2010); “La giusta collera” (CFR 2011); “Ai propilei del cuore” (CFR 2012). Collabora come giornalista e critico musicale con il bimestrale  “Jazzit” e con i blog “Nazione Indiana” e “La poesia e lo spirito”. Come pittore, ha esposto a Perugia presso l’atelier “Didaskalia” e con l’associazione culturale “Il Corimbo”. È titolare di due blog: “Ruminazioni” (http://ruminazioni.blogspot.it) e “Gusci di noce” (http://guscidinoce.wordpress.com).

Visioni Di Cristina Rizzi Guelfi


Cristina Rizzi Guelfi ha fatto un corso di regia e lavorato come aiuto regista, per la fotografia è autodidatta.
Ha fatto una mostra in Irlanda e concorsi vari.
Le sue foto, solitamente, vengono ordinate e comprate.

Sono particolarmente felice di portarla qui, perchè è con lei che ho legato il mio ultimo lavoro di testi, “Aderenza”, di prossima uscita con i tipi delle EdizioniSmasher, sarà lei a dare immagine ai miei versi, con alcuni scatti di pregevole fattura e non lo dico perchè sono di parte, lo dico perchè ha davvero classe e bellezza.

Ahimè qui le immagini non rendono, perchè son troppo rimpicciolite, ma hanno un brivido particolare che fa uscire fuori parole.

la memoria rintraccia una scelta, come quando
ci si abbraccia nella gratuitità di un ricordo
congiunzione che raccoglie un filo dopo l’altro
fino a sapersi come una bocca che mastica forme [AT]

Di questo tempo e di altro ancora

mi porto dentro un getto d’inchiostro§
una chiazza a spandersi fra i capelli
il fumo atroce di una supplica appesa
quando fuori il tempo correva le colline
e mi trascorreva tutta da cima a fondo
mirando alle nuvole, indifese e bianche
i polsini sporchi e le tue labbra nuove
sulla corteccia delle nostre parole
epidermide aperta nella fragilità del vento

[da Aderenza, 2012, Ed.Smasher]

Cristina Rizzi Guelfi:
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Recensione: Sempre in bilico – Fabio Bosco – Edizioni Smasher



Sempre in bilico, Fabio Bosco
Edizioni Smasher, ed. 2010

La colonna sonora è quella di un mare d’inverno che incessante aggredisce e corrode i bastioni dell’io, senza volto, senza tregua, senza pietà.

dalla prefazione di Jacopo De Nicola

La silloge si apre su questo sfuggire delle cose, anche se si è ad un passo dal catturarle, dal prenderne coscienza di un se che riemerge dalla luce che si schiude, piano piano.

[…]
un grigio pomeriggio d’inverno
un dolore crudo ed eterno
mi annienta, distrugge
mentre un altro sogno mi sfugge
[…]

Una necessità d’energia che chiede alla notte e al corpo, questo smettere “finzione” e vedere che al dolore, ci sia spazio per il riscatto che alla fine rinasce un po’ come il sole.

[…]
Pensando al domani come a un riscatto
vivo il presente vestito a lutto
poi chiudo gli occhi, sfinito e impotente
e mi lascio cullare dal sole nascente
[…]

Verso dopo verso, si sente quella richiesta che è quasi un urlo necessario, che vorrebbe suqarciare nubi, pelle e soprattutto la mente che a volte arranca e si chiede in una preghiera di avere la forza di continuare a sognare.
Questo sognare che rende migliori i giorni, un posto dove stare bene, “nel modo perfetto” e si crede che il vento possa portare via la gioia, perdendo i particolari.

[…]
una gioia che attraversa il mio corpo
e che il vento soffiando allontana

disperdendone il ricordo
tra grigie nubi di pioggia
[…]

Non c’è scampo, perchè tutto viene fagocitato e reso quasi estremo il dolore consuma lentamente, si ripetono le illusioni quasi un loop che non fa amare ciò che si ascolta, ma fa allrgare il dolore.
Questo andare a caccia di qualcosa che è spietato, un pensiero di non lasciarsi morire, per camminare e respirare.
Fabio è ombra/luce, in bilico proprio come dice il titolo della sua prima silloge.
La vita si fa come una lama affilata, che chiede ancora vittime e la libertà a volte è lontana.
Ci sono quegli attimi che fanno credere che da adesso in poi, la penna di Fabio si riconsegni alla luce, ma come sempre è un attimo, qualche passo ancora prima di altro buio.
Alcune sue poesie hanno domande a cui forse nemmeno noi lettori, abbiamo risposta e Fabio cerca di dare una soluzione a questa sua vita che corre veloce nelle corsie d’emergenza.

[…]
Ho ancora la speranza di credere
che il buio che incombe ora su di me
domani non sarà che un ricordo?
[…]

Sente quella mancanza che non sa gestire ed è un silenzio che è percebile appena anche se presente, vero “insistente”.
Il libro si chiude con un qualcosa che raggela, ma allo stesso tempo sospirare di gioia, perchè è quello squarcio che si aspettava, feroce, ma necessario.

Libro reperibile qui: http://www.edizionismasher.it/

Oltre la “malattia”, oltre la “normalità”: il viaggio obbligato di una mente sola di Valeria Vaccaro


Il ruolo del lettore molto spesso coincide con quello di interprete; una stessa storia, letta da individui differenti, susciterà quasi certamente diverse chiavi di lettura. Quando, però, ci si trova dinanzi a un libro come quello di Giulia Carmen Fasolo, non si può più parlare di libere interpretazioni; possiamo e dobbiamo semplicemente prendere atto di una realtà che, troppo spesso, si tenta di nascondere. Ciò che l’eclettica scrittrice ci propone è un insieme di fatti realmente accaduti. Si tratta del percorso di sua sorella Giusy: un viaggio lungo una vita attraverso istituti, carceri e, infine, l’Opg (Ospedale psichiatrico giudiziario) “Ghisiola” di Castiglione delle Stiviere. Come Maurizio Gradellini ci suggerisce nella Prefazione, «ciascuno di noi poteva essere Giusy Fasolo, così come lo possono essere i nostri figli, i nostri fratelli e le persone a noi care. Ciascuno di noi può assumere domani il ruolo di oppresso, non più di oppressore».

Giulia Carmen Fasolo è nata nel 1978 a Barcellona Pozzo di Gotto (Me), città nella quale vive tuttora. Si occupa di psicologia, informatica, giornalismo, multimedialità e cyber psicologia. I suoi studi e la sua tenacia l’hanno portata a distinguersi con diversi meriti: è presidente del Centro studi e ricerche di Psicologia e Psicopatologia “Sentieri della mente” e dell’associazione “Smasher”; è vicepresidente del Centro studi in Scienze psicologiche “Nuvola”; è rettore della Scuola permanente in Counseling e della Libera Università popolare del Counseling. Tutto questo a sottolineare che, pur trattandosi di una storia che l’ha personalmente coinvolta, nelle sue parole è possibile trovare spunti di riflessione di oggettiva validità.

Con l’obiettivo di dar voce alla sorella Giusy, l’autrice ci presenta un romanzo ricco di verità importanti: Da vicino nessuno è normale. Giusy e il punto di non ritorno (edizioni Smasher, pp. 54, € 10,00), con una Prefazione di Maurizio Gradellini.

La malattia… quale?

La voce narrante è quella di Giusy, che sin dai primi anni di vita sembra dimostrarsi problematica.

Uno dei ricordi più vividi nella sua mente è il comportamento violento del padre che, troppo spesso, la percuoteva con sedie, colpi di scarpa e di cintura.

Fu proprio per proteggerla dal padre, che la mamma di Giusy decise di mandarla – sin dalla tenera età – negli istituti. La lontananza dalla famiglia è un argomento centrale per la protagonista, che tutt’oggi teme di poter essere ancora allontanata da casa.

In tenera età, Giusy chiedeva spesso quale fosse la sua malattia, quella che nessuno nominava mai; non era come le sue sorelle, loro avevano “l’occhio pigro” o le “gambe malate”. Lei invece aveva qualcosa che nessuno le voleva spiegare ma per la quale tutti chiedevano se fosse finalmente guarita. Con il tempo, lei stessa arriva a una conclusione: «ho capito che la mia malattia era nella solitudine della mia mente e lì si coltivava». Quest’ultima parola deve farci riflettere più di altre. Ciò che il Dipartimento di Salute mentale del suo paese non era riuscito a risolvere, è stato indubbiamente peggiorato – e in un certo senso “coltivato” – dal percorso di due anni e nove mesi, subìto all’Opg “Ghisiola” di Castiglione delle Stiviere. In questo periodo di permanenza forzata la volontà e la consapevolezza della realtà di Giusy vengono annientate con un programma di vero e proprio contenimento emotivo. È qui che la protagonista tocca il “punto di non ritorno”. Lo stordimento provocato dalle medicine è solo uno dei terribili ricordi che tuttora albergano nella mente della povera Giusy; il suo arrivo seguito da una fiala e un letto di contenimento rendono subito note le condizioni di vita in quel luogo di paura.

Una realtà non più definita

La paura, quella che ancora accompagna Giusy, è che qualcuno possa soffrire quel che lei stessa ha subìto o, peggio, di poterlo patire nuovamente sulla sua stessa pelle. Così perdona tutti, tutti quelli che prima o dopo hanno deciso cosa lei dovesse dire, fare, pensare ma, soprattutto, subire.

Perché il perdono? Perché altrimenti qualcuno potrebbe dar loro dei bugiardi e, quindi, somministrare loro dei farmaci come era successo tante volte a lei. Le bugie di cui parla sono un altro importantissimo centro di questa storia. Infatti, in queste pagine, viene spesso sottolineato quanto fosse semplice per i medici far dire a Giusy ciò che per loro era la verità; tanto semplice quanto pesante per lei, che in breve tempo aveva finito per confondere la sua realtà con la loro, senza più comprendere quale fosse quella vera.

Riprendere contatto con la vita quotidiana e “normale” non si è rivelato affatto semplice né per lei né per la sua famiglia, che ha tanto lottato per renderla libera.

La psichiatria e il malato oggi

Quel che è certamente importante sottolineare è il tema conclusivo del romanzo. L’autrice ci spiega che non esiste una nuova psichiatria, che questa non è altro che un camuffamento della vecchia, con la semplice aggiunta di nuove congetture e nuovi farmaci… un tentativo, per i “potenti”, di redimere le proprie coscienze. Scrive l’autrice: «Perché oggi noi malati siamo soprattutto quello che ieri hanno fatto di noi».

Un libro come questo ha un grandissimo compito: denunciare una realtà che pochi osano raccontare. In questo, Fasolo ha indubbiamente trovato ispirazione; ci presenta un coinvolgente racconto, nel quale la voce narrante non perde la sua vena di semplicità quasi disarmante, pur riuscendo a farci giungere a conclusioni ben più articolate e importanti. Grazie a queste pagine, possiamo conoscere nel dettaglio una realtà che tutti prima o poi abbiamo potuto osservare o sentir raccontare. Quante volte può capitarci di incrociare sulla nostra strada una persona così detta “non normale”? Quante volte può capitarci di guardarla e provare paura, senza accorgerci che, forse, è la nostra stessa personalità a farci percorrere da quel brivido di timore? Perché in fondo, «tutti lo sappiamo: da vicino nessuno è normale».

Valeria Vaccaro : http://valeriavaccaroscrittiedoltre.wordpress.com/

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 56, aprile 2012)

http://www.edizionismasher.it/giuliacarmenfasolo3.html

Sottopelle – un racconto di Daniela Montella [Vincitrice Sez. Mosaici – seconda edizione Ulteriora Mirari – Ed.Smasher]


Sottopelle ho veleno che scorre. Vene blu. Sono maligne. Le strapperei una per una dai polsi e le ingoierei a forza. C’è qualcosa di crudele che scivola lezioso appena dietro le unghie. Serra la trachea. Alzo le mani verso la luce, le vedo. Le studio. Le osservo. Le capisco. Pallide pallide e tutte ossa. Coperte. Che quasi si muovono. Ho un liquido che mi si dilaga dentro, stacca la pelle dal corpo. Tessuti lacerati. Perdo la vita. C’è aria, fra la pelle e me, si sta gonfiando tutto. Ho il sangue scoperto. Gli spifferi mi fanno rabbrividire.

Sottopelle qualcosa mi sta spogliando. Sarò un pezzo di carne che sanguina. Con gli occhi. E la vita al di sotto di essi che se ne va. Seni straziati che perdono inchiostro e labbra nere immonde. Non è una metafora. Immagino solo in bianco e nero. Ma vedo coi colori. Per pensare devo stringere le palpebre. Quando il veleno mi toglierà la pelle mi cadranno anche quelle e non potrò più dormire. Vedrò in eterno la luce, la polvere seccherà le lacrime. Staccherò ogni fibra per smettere di soffire. Finirò in un angolo cieca e nudissima. Riderò. Già rido. Pensavo fosse un’eco, pensavo fosse un film, uno spettacolo di varietà, vaudeville, felicità rappresentata perché altrimenti non si riconosce. Invece ero io. A prepararmi per il mio funerale. Voglio una tomba di ebano.
Sottopelle. Qualcosa. Sono in un angolo e sto per morire.
Hai mai pensato che forse ti amo? Perché mi accarezzi e sono liscia, e sotto ho schifo che trasuda e può infettarti. Stai attento. Hai mai capito che ti odio? Forse ti bacio. Forse vomito. Vedo conati. Forse ti faccio morire soffocato nel mio vomito. Poi ti chiedo scusa perché ti amo. O forse no. Il veleno confonde i pensieri. Non devo farmi più. Ma è tutto così bello. Quando mi illudo. La vita è così dannatamente, fottutamente, perdutamente triste. E quando ho veleno sottopelle penso che sto morendo e sono contenta. Magari ti porto con me. Ci faremo per sempre. Ti piacerà. Saremo strafatti e scoperemo e godremo come pazzi, perché siamo noi e noi siamo imbattibili. Il marcio mi illude. Ma io voglio credergli con tutto quello di integro che mi rimane. Meglio un’illusione che questo. Questa parete lercia. Questa vita di piume che volano e fuggono.
Non ho niente se non il momento in cui un ago mi trafigge il cuore e io libero – libero/me. Mamma mi tiene per mano e io ho sei anni e ho i codini. Ho dodici anni e lei non è morta. Sono libera e posso avere tutto. Rinchiusa fra sbarre immaginarie, incatenata e senza ossigeno, con i pensieri che si annebbiano e la testa che mi scoppia, e una voce che urla ‘basta, basta, basta’ io sono davvero libera. È quello che sono. Ho sfidato arpie e rapaci per essere così. Non voglio altro.
Posso avere quello che voglio.

Sottopelle.

Questa sensazione di viscido che non posso lavare. Questo orrore. Questo tunnel nero di cui io intravedo la soglia. Tubo catodico. Un giorno sarò in televisione. Sarò una stella. Avrò una bellissima piscina, mi siederò ogni sera sul bordo e mi farò, e tu sarai con me, e saremo talmente felici che ci sembrerà di scoppiare. Tanta felicità non basterà per i nostri soli corpi. Si spanderà. Sarà luce su di noi. Saremo bellissimi. Stelle sul bordo di una piscina. Ricchi famosi e vuoti. Saremo luridi bastardi, viscidi vermi, squame decomposte. Peccatori. I peccatori più incantevoli di tutti. Mi guarderai negli occhi. E mi dirai che mi ami. Come lo dici prima di fare pompini ad un represso padre di famiglia. Come lo dici quando sto per salire sull’auto di uno stronzo per lasciargli godere dell’unico buco che non mi sono fatta da sola. Sarà come lo dici sempre. Ma noi saremo belli. Saremo ricchi, illusi, vuoti, persi, derelitti. Moribondi. Scandalosamente in.na.mo.ra.ti…

Liberami. Fatti spazio su di me. Taglia le nuvole. Fammi strada. Non so più camminare.
Cado? Volo? No. Vado giù. Taglia la terra per me. Sposta i vermi che ci sono sul cammino. Ho qualcosa.
Nessuno può tenermi mentre cado.

Sottopelle c’è piombo.
Affondo.

[Si chiamava Sara. Questo è stato il suo ultimo pensiero prima di morire per overdose, il 15 Maggio del 2006.]

Biografia

Daniela Montella è nata e vive a Napoli.
Molti suoi racconti sono presenti in varie antologie e pubblicati on line su Poetarum Silva.
Vincitrice della sezione Mosaici nella Seconda Edizione del Premio Letterario Ulteriora mirari, indetto dalle Edizioni Smasher.

http://danielamontella.tumblr.com/