Poesie alla madre – parte terza


eugenio riotto

LA STANZA di Luciano Nota Sabatella

Son tornato ancora una volta
Ad aprire la stanza che porta al silenzio.
Un paio di lenzuola, un rosario
E una pianta accanto ad un letto.
Si bloccano le mani a toccarne le foglie.
Resta intatta ogni cosa
Nella sua forma gentile.
Mia madre spirò su quel letto
Ignara della fine.

***

di Laura Liberale

“Non fare quella faccia”
le tue ultime parole.
Così si chiude un dialogo
lungo trentacinque anni:
con un rimprovero esalato.
Nemmeno da morente
vuoi rinunciare al ruolo
rifiuti la muta di una pelle
ormai inservibile
fino all’ultimo ti ribadisci.
E dunque ancora mi proteggi da me
dagli occhi che divorano in angoscia
la tua morte
specchiandotela infami.
Proteggi e pure chiedi protezione
mi esigi madre e psicopompo
che spenga in volto le spie paurose
e per te accenda
la verosimiglianza della quiete.

***

da Il Velo Strappato – Trittico di Nicoletta Saccon

Di notte, le tue fughe

(in ricordo di mia madre)

L’erba si piega umida nella fessura del buio, intorno il suono in rivoli corre un ritmo unico, la stanza è a riposo, conciliata, nell’ora compiuta.

Parrebbe una regale notte d’estate
tesa come un arco sopra i campi
e ci sarebbe stata, una delle tante
se non fosse che
il battito leggero della tempia sul lenzuolo
mi è caduto per sempre, smarrito,
il fiato impalpabile sull’orma piccola del corpo
mi ha rinnegato,
le stelle esplodono in spine,
non è più dato il tempo
e l’orecchio sente la corsa oltre il balcone (i tuoi passi
sono tonfi come di sogno),
il piede scalzo l’insegue oltre il fosso,
la mente sbanda in fili, si capovolgono i telai
e l’occhio bambino muore, spaccato
contro un bianco riverso sulla bocca del buio,
radice di un corpo che preme nell’erba, affonda,
m’inghiotte il respiro ed è tutt’uno in me.

(2009)

***

Madre di Else Lascker- Schuler

Bianca una stella canta un funebre canto
nella notte di luglio.
Come campane a morto nella notte di luglio.
E sul tetto la mano delle nubi, strisciante
umida mano d’ombra,
cerca mia madre.

Sento la mia vita nuda
dalla terra materna si distacca
mai tanto nuda è stata la mia vita
e tanto arresa al tempo,
come se dietro alla fine del giorno
sfiorita, fra lontane notti io stessi
sola.

***

Madre scolpita nel dolore, forestiero al tuo ventre di Roberto Carifi

Madre scolpita nel dolore, forestiero al tuo ventre
è questo tempo che trascorre piano
cantilena del vuoto martelli le terrazze
e la dimora strascica un bianco di lenzuola,
l’orma convalescente che sbiadiva
nei cuscini dell’infanzia,
l’Angelo che veglia fino all’alba
tace sulla soglia
ancora trema con le ali
e come ronza quieto il suo respiro
dove l’età si gela, ferma, nella morte.

***

UNA MADRE CHE DORME di Alfonso Gatto

Una madre che dorme
piove in dolcezza dentro di sé
come una grotta
e in fondo al lume ha il suo bambino.
Una madre che dorme
dorme al panneggio ardente d’una fiera
che la guarda mansueta.
È una dolce sera
in mezzo alla pupille
della sua onda quieta.

***

di Antonio Gramsci

Carissima mamma,

sto per partire per Roma. Oramai è certo. Questa lettera mi è stata data appunto per annunziarti il trasloco. Perciò scrivimi a Roma d’ora innanzi e finché io non ti abbia avvertito di un altro trasloco.

Ieri ho ricevuto un’assicurata di Carlo del 5 maggio. Mi scrive che mi manderà la tua fotografia: sarò molto contento. A quest’ora ti deve essere giunta la fotografia di Delio che ti ho spedito una decina di giorni fa, raccomandata.

Carissima mamma, non ti vorrei ripetere ciò che ti ho spesso scritto per rassicurarti sulle mie condizioni fisiche e morali. Vorrei, per essere proprio tranquillo, che tu non ti spaventassi o ti turbassi troppo qualunque condanna siano per darmi.

Che tu comprendessi bene, anche col sentimento, che io sono un detenuto politico e sarò un condannato politico, che non ho e non avrò mai da vergognarmi di questa situazione.

Che, in fondo, la detenzione e la condanna le ho volute io stesso, in certo modo, perché non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione. Che perciò io non posso che essere tranquillo e contento di me stesso. Cara mamma, vorrei proprio abbracciarti stretta stretta perché sentissi quanto ti voglio bene e come vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente.

La vita è cosí, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini.

Ti abbraccio teneramente.
Nino
Ti scriverò subito da Roma. Di’ a Carlo che stia allegro e che lo ringrazio infinitamente.
Baci a tutti.

***

di Mila Kačič

Mi scaricò
sul pavimento mia madre
nell’ora delle sue doglie.
Il mio primo pianto
non fu un alleluia
ma il grido di un intruso
espulso dal rifugio dell’utero
nell’insidioso freddo.
Mi salutarono
la Vergogna
la Paura
l’Ansia.
Con sguardi biechi
m’inchiodarono al suolo.
Cominciai dal fondo.
O Dio
con quanta pena mi sono sollevata
con quanta fatica mi sono raddrizzata.

***

Il lupo sbrana di Maddalena Capalbi

Mia madre non vuole
l’immagine allo specchio
ed io non ho mai dato resto
al conto della bellezza.
La gola è secca
e non confessa le colpe,
l’unica vanità permessa
oggi
è guardarla
ma nessuno sa
quando il lupo sbrana.

Poesie del padre (parte terza)


Quello che rimane del paterno egoismo in noi è il rifiuto. Non si accetta che una malattia (vero simbolo dl male, del diavolo, del male che si compiace di fare del male) spenga il padre, l’oscuri, lo svanisca in vita. Non c’è morfina di comprensione che allontani il dolore di vedere un altro uomo nel corpo del padre,  mentre doloroso è in noi il ricordo di ogni sua memoria ormai non più viva nella sua)


Davide Puccini

UNA PIAGA

Mio padre si allontana lentamente
un passo dietro l’altro,
ridotto ad uno scheletro vivente;
un vecchio mangiapreti
ormai lungodegente,
che per tutta la vita
è sempre stato renitente a Dio
con cieca ostinazione.
Ma è nato il 25 di dicembre
ed ha anche lui una piaga nel costato.

Else Lascker-Schuler

E

E sdegnassi il mio cuore –
Felice avrebbe raggiunto in volo i cieli
Via dalla stanza angusta!
Sempre lo sento bussare
Quando la luna va a spasso,
Sino a tardi sovente.
Delicata orditura di fili d’argento
Il mio bianco strumento –
Opaco ora il suo bagliore

Elio Andriuoli

INVANO IL TEMPO

Forse dovrei provare ora tristezza
per il tuo volto desolato e i bianchi
capelli e per le curve spalle, un giorno
sì forti (mi portavi sorridendo
in collo per le stanze e mi pareva
di andare per il mondo); ma non questo
è ciò che innanzi a te sento. Mi appari
ancora forte nella tua saggezza
di sempre, che mi fu vanto e ristoro.
Io, di te tanto più giovane, guardo
la tua fronte serena e mi abbandono
come una volta al tuo virile amore.
Intatti ci ritornano quegli anni;
invano il tempo si accanì su noi.

Dylan Marlais Thomas

NON ANDARTENE DOCILE IN QUELLA BUONA NOTTE

Non andartene docile in quella buona notte,
I vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno;
Infuria, infuria, contro il morire della luce.

Benché i saggi conoscano alla fine che la tenebra è giusta
Perchè dalle loro parole non diramarono fulmini
Non se ne vanno docili in quella buona notte,

I probi, con l’ultima onda, gridando quanto splendide
Le loro deboli gesta danzerebbero in una verde baia,
S’infuriano, s’infuriano contro il morire della luce.

Gli impulsivi che il sole presero al volo e cantarono,
Troppo tardi imparando d’averne afflitto il cammino,
Non se ne vanno docili in quella buona notte.

Gli austeri, prossimi alla morte, con cieca vista accorgendosi
Che occhi spenti potevano brillare come meteore e gioire,
S’infuriano, s’infuriano contro il morire della luce.

E tu, padre mio, là sulla triste altura maledicimi,
Benedicimi, ora, con le tue lacrime furiose, te ne prego.
Non andartene docile in quella buona notte.
Infuriati, infuriati contro il morire della luce