L’ombra del padre
(Il padre come elemento mancante. Assente fisicamente perché lontano o allontanato o instabilmente presente come energia negativa. Ma la prospettiva dell’assenza ha la fuga nel rimpianto o nel rifiuto. L’elaborazione si basa su di un’ombra instabile. Ci sono versi che lo richiamano al Sole)
Umberto Saba
(dal Canzoniere)
Mio padre è stato per me “l’assassino”,
fino ai vent’anni che l’ho conosciuto.
Allora ho visto ch’egli era un bambino,
e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto.
Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,
un sorriso, in miseria, dolce e astuto.
Andò sempre pel mondo pellegrino:
più di una donna l’ha amato e pasciuto.
Egli era gaio e leggero; mia madre
tutti sentiva della vita i pesi.
Di mano ei gli sfuggì come un pallone.
“Non somigliare – ammoniva – a tuo padre.”
Ed io più tardi in me stesso lo intesi:
eran due razze in antica tenzone.
Sylvia Plath
(da Lady Lazarus)
Non servi, non servi più,
O nera scarpa, tu
In cui trent’anni ho vissuto
Come un piede, grama e bianca
Trattenendo fiato e starnuto.
Papà, ammazzarti avrei dovuto.
Ma sei morto prima che io
Ci riuscissi, tu greve marco, sacco pieno di Dio,
Statua orrenda dal grigio alluce
Grosso come una foca di Frisco.
Pietro Cimatti
(da Stanze sulla polvere)
“Tuo padre deceduto sei et trenta
Ospedale Civile ti aspettiamo”.
Sono due endecasillabi tuo padre
era il mio, l’Ospedale Civile
è la fine di un viaggio – ancora all’alba
ho attraversato un giardino marcito
e l’ho veduto – lungo, verde, antico,
come avevo da tanto desiderio.
Tutta la vita l’ho aspettato: eccomi.
La porta della camera è socchiusa;
garofani, un velario, uno sgabello.
Guarda in alto, neppure ora mi guarda.
Così disteso, è bello.
Eugenio De Signoribus
(da Istmi e Chiuse)
rispondi, padre che nel sonno affondi
e non un fiato muove la moschiera
e spento sembri come l’orizzonte…:
dobbiamo continuare il nutrimento?
preparare ancora un’altra tela?
Al padre di Salvatore Quasimodo
Dove sull’acque viola
era Messina, tra fili spezzati
e macerie tu vai lungo binari
e scambi col tuo berretto di gallo
isolano. Il terremoto ribolle
da due giorni, è dicembre d’uragani
e mare avvelenato. Le nostre notti cadono
nei carri merci e noi bestiame infantile
contiamo sogni polverosi con i morti
sfondati dai ferri, mordendo mandorle
e mele dissecate a ghirlanda. La scienza
del dolore mise verità e lame
nei giochi dei bassopiani di malaria
gialla e terzana gonfia di fango.
La tua pazienza
triste, delicata, ci rubò la paura,
fu lezione di giorni uniti alla morte
tradita, al vilipendio dei ladroni
presi fra i rottami e giustiziati al buio
dalla fucileria degli sbarchi, un conto
di numeri bassi che tornava esatto
concentrico, un bilancio di vita futura.
Il tuo berretto di sole andava su e giù
nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
Anche a me misurarono ogni cosa,
e ho portato il tuo nome
un po’ più in là dell’odio e dell’invidia.
Quel rosso del tuo capo era una mitria,
una corona con le ali d’aquila.
E ora nell’aquila dei tuoi novant’anni
ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali
di partenza colorati dalla lanterna
notturna, e qui da una ruota
imperfetta del mondo,
su una piena di muri serrati,
lontano dai gelsomini d’Arabia
dove ancora tu sei, per dirti
ciò che non potevo un tempo – difficile affinità
di pensieri – per dirti, e non ci ascoltano solo
cicale del biviere, agavi lentischi,
come il campiere dice al suo padrone:
“Baciamu li mani”. Questo, non altro.
Oscuramente forte è la vita.
Padre, se scrivere è una colpa
Padre, se scrivere è una colpa
perché Dio mi ha dato la parola
per parlare con trepidi linguaggi
d’amore a chi mi ascolta?
Ormai vecchia di anni e senescente,
dove trovare un filo di erba buona?
Che sai dei miei conventi, della grazia
matura delle sante, delle grandi
anime folli? Che posso io trovare
tra gli osanna dell’uomo di cultura?
Altrove è il canto, altrove è la parola
e Dio non la pronuncia.
(Alda Merini, da “Ballate non pagate”)
“Padre, se anche tu non fossi il mio”
Padre, se anche tu fossi a me un estraneo,
per te stesso egualmente t’amerei.
Ché mi ricordo d’un mattin d’inverno
che la prima viola sull’opposto
muro scopristi dalla tua finestra
e ce ne desti la novella allegro.
E poi la scala di legno tolta in spalla,
di casa uscisti e l’appoggiasti al muro.
Noi piccoli stavamo alla finestra.
E di quell’altra volta mi ricordo
che la sorella mia piccola ancora,
per la casa inseguivi minacciando
(la caparbia avea fatto non so che).
Ma raggiuntala che strillava forte
dalla paura ti mancava il cuore:
ché avevi visto te inseguir la tua
piccola figlia e, tutta spaventata
tu vacillante l’attiravi al petto,
e con carezze dentro le tue braccia
l’avviluppavi come per difenderla
da quel cattivo ch’ era il tu di prima.
Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo,
fra tutti quanti gli uomini già tanto
pel tuo cuore da fanciullo t’amerei.
Da “Pianissimo” 1914 – Camillo Sbarbaro –
Quest’ultima di Sbarbaro è indimenticabile per il sottoscritto. Ho molto apprezzato l’intero articolo con commenti. Grazie -.-‘
Il bambino perduto (William Blake)
Babbo, babbo, dove vai?
Oh, non camminare così veloce.
Parla, babbo, parla al tuo bambino,
O io mi perderò.
La notte era scura, nessun padre c’era;
Il bimbo era bagnato di rugiada;
il fango era profondo,
e il bimbo pianse,
e la nebbia svanì fugace.